MARK KNOPFLER “Down The Road Wherever tour” – Live @ Teatro delle Terme di Cara …
Lasciando da parte osservazioni dal carattere forse puramente enciclopedico capaci di destare solo curiosità di pochi e passando alla musica, c’è da dire che le due date romane (20 e 21 luglio) hanno fatto il tutto esaurito, dimostrando che nonostante un percorso singolare del Knopfler solista, il pubblico gli è sempre stato fedele anche dopo lo scioglimento dei Dire Straits avvenuto nel 1993.
In una calda e piacevole serata estiva il Teatro delle Terme di Caracalla, che ospita un educato e multiforme pubblico, si rivela un posto indovinato per l’esibizione della seconda data romana di Knopfler. L’impatto visivo è dominato dalle rovine romane che si stagliano in un ampio spazio aperto in cui ad essere evocata, è una purezza di atmosfera dai rimandi bucolici che aspetta solo di essere respirata appieno. Una semplicità che viene ribadita dall’annuncio dato da un pittoresco e multicolore presentatore (quasi fossimo ad un incontro di boxe) con una Union Jack adattata a camicia e dal conseguente ingresso sul palco di Mark e della sua fedele band che fa ingresso alle 21.15 precise. Una crescente ed avvolgente base ritmica preannuncia “Why Aye Man” (che nel 2002 anticipava il campestre THE RAGPICKER’S DREAM del 2002): semplice ed avvolgente in cui le accennate vibrazioni alla chitarra del leader, non fanno che surriscaldare una famelica audience capace di apprezzare uno di quei brani in grado di guadagnare ancor più consensi in sede live. Al colorato blues elettrico di “Corned Beef City” (lo slang per definire la città di Dagenham) il compito di tradurre in note una situazione di disagio che vedeva la classe lavoratrice negli anni ‘30, muoversi tra i problemi di disoccupazione e relativa indigenza. “Sailing To Philadelphia” resta un caposaldo per bellezza melodica di un’intera discografia, e l’interpretazione del drummer Ian Thomas (ovviamente insieme a Mark), pur non avendo l’ardire di sostituire quella di James Taylor immortalata sul disco omonimo, è comunque in grado di esprimere un’intensità non comune e capace di rendere quasi reale la conversazione immaginaria tra i due astronomi Charles Mason e Jeremiah Dixon, passati alla storia per aver demarcato il confine che aveva risolto tra il 1763 ed il 1767 una disputa tra le colonie britanniche tra gli stati americani della Pennsylvania e del Maryland, nota proprio come linea Mason-Dixon. Il ripescaggio di “Once Upon a Time In The West” dal celebre COMMUNIQUÉ del 1979 (che fu immeritatamente bistrattato da molta della stampa del tempo, in quanto visto come niente più di una clonazione pure parzialmente riuscita dell’omonimo ed impeccabile esordio dei Dire Straits!) genera un unanime consenso nell’audience che canta le strofe del testo che piaccia o meno è diventato anch’esso storia. Un suadente tappeto di tastiere ed il pizzicato del Dobro introducono “Romeo and Juliet”, incantevole dalla prima nota sino a quell’assolo finale che tutti conoscono e che non vedono l’ora di far proprio. Probabilmente non è stato facile scegliere i due brani per presentare l’ultima fatica discografica DOWN THE ROAD WHEREVER, facendo ricadere la scelta su atmosfere oltremodo rilassate come per “My Bacon Roll” (piacevolmente orecchiabile e scorrevole) e “Matchstick Man” (toccante ed essenziale nel contempo), entrambe accolte da un rispettoso silenzio durante l’esecuzione ed applausi nel finale. Per la band introduction che negli anni siamo stati abituare a sentire come intermezzo tra i ritmi caraibici di “Postcards from Paraguay” (anche stasera presente in una caliente e trascinante versione), per questa tournée viene propinata al pubblico come un vero momento di presentazione all’affettuoso pubblico che sembra gradire una presentazione ricca tanto per gli ultimi arrivati Graeme Blevins (saxophone) e Tom Walsh (trumpet) quanto per gli storici Guy Fletcher (keyboards) , Richard Bennett (guitars, bouzouky), Jim Cox (piano), Glenn Worf (bass), Ian Thomas (drums), John McCusker (violin), Mike McGoldrick (flute and tune) e Danny Cummings (percussions and vocals). L’evocativa “Done With Bonaparte” (presa dal buon GOLDEN HEART del 1996) mantiene quell’aura di semplicità che “Heart Full of Holes” (da KILL TO GET CRIMSON del 2007) tende ancor di più a diffondere anche per via di “She’s Gone” (tratta da quella METROLAND, per Mark ultima colonna sonora del millennio trascorso) ove la dolcezza della tromba nel finale fa presagire e la riconoscibile intro della splendida “Your Latest Trick”. Ancora Dire Straits con il trainante giro di accordi arpeggiato di “On Every Street” ed una sfrenata versione di “Speedway At Nazareth” con un meraviglioso alternarsi di luci tiepide sulle rovine romane, a cui fa seguito l’inossidabile “Money For Nothing” (con tanto di rimaneggiata e comunque vincente introduzione) ed il commiato di “Going Home: Theme of the Local Hero”.
Un altro viaggio musicale che giunge al termine dopo quasi due ore, in cui momenti del passato e del presente del glorioso percorso musicale del chitarrista scozzese, si sono succeduti tra gli applausi dei presenti. Uno show privo di trovate scenografiche pur se gli storici ruderi che contornavano il palco non ne hanno fatto sentire il bisogno, facendo sì che una performance dove a dominare è stata una musica diretta e senza fronzoli, vincesse anche l’imperdonabile delusione preannunciata – come già accaduto nel citato Get Lucky tour, – l’assenza della storica “Sultans of Swing”. Un’eccessiva coriaceità caratteriale che ha sempre caratterizzato anche vita artistica e professionale del nostro verrebbe da pensare, ma a noi Mark ha sempre lasciato decidere: prendere o lasciare. E venendo qui stasera abbiamo già fatto la nostra scelta.
CLAUDIO CARPENTIERI
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Nasco Ia Ferrara nel 1966 ma dopo alcuni anni per questioni di lavoro il mio papà si trasferisce a Roma dove attualmente vivo. Cresciuto come in molti della mia generazione con lo Zecchino D’Oro dell’indimenticato Mago Zurlì (in pancia però già scalciavo al ritmo di (I Can’t Get No) Satisfaction) muovendo i primi passi verso un ascolto di massa con trasmissioni come Discoring (ispirato al Top of the Pops inglese) e successivamente mi mostravo affascinato all’iperspazio dell’innovativo Mister Fantasy(condotto da Carlo Massarini). I primi amori? Dire Straits, The Police, Deep Purple e Supertramp. Ma nel mio bel mobile ove ancora oggi continuo a custodire ed a collezionare Lp e Cd l’eterogeneità regna sovrana e c’è sempre stato spazio per tutti! Al fianco di un disco di Dylan è facile trovare un album dei Duran Duran, come subito dopo i Van Halen trovare inaspettatamente i Visage, ma anche trovare come “vicini di casa” Linkin Park e Nirvana. Sì, la musica è bella perché varia e Tuttorock incarna al meglio un luogo magico dove la disuniformità del mondo delle sette note, non può non attrarre chi alla musica non ha mai posto confini. Keep the faith…