FRONTIERS ROCK FESTIVAL IV – Live @ Live Music Club, Trezzo sull’ Adda (MI) 29/30- …
Siamo già giunti alla quarta edizione di un festival nato sulla falsariga di tanti altri che riguardano il rock melodico in Europa e che a questo punto è diventato un appuntamento immancabile visto il bill, ogni anno più succulento e che mischia sempre grandi ritorni di vecchie glorie, anniversari, giovani leve con tanta buona musica targata Frontiers Records, l’etichetta napoletana diventata con gli anni grande punto di riferimento per gli amanti del genere da tutto il mondo.
Ed è da tutto il mondo che la audience proviene, ho incontrato e parlato con Finlandesi, Spagnoli, Statunitensi Svedesi, Tedeschi, Inglesi, Giapponesi ed in generale tanta gente che si è spostata da tutta Italia per affollare la venue che ospita questa evento rock, il Live Club di Trezzo che si dimostra sempre un’ottima scelta.
Aprono le danze i Palace, giovane band svedese che ha da poco sfornato un buon album – Master of the universe e capitanata dal singer Micheal Palace, una sorta di giovane Harry Hess con il timbro di Tony Harnell ma che purtroppo non è riuscito a dare il meglio di sé in questa abbondante mezz’ora riservatagli.
La band si presenta sul palco molto tesa infatti e – complici alcuni problemi con le basi – faticano a coinvolgere il pubblico e lasciarsi andare se non sul finale, con il buon singolo Part of Me e la trascinante title-track Master of the universe.
Rimandati a settembre quindi, sicuro che una maggiore esperienza non potrà che giovare ad una band che ha delle doti musicali evidenti (soprattutto la sezione ritmica) che deve solo sapere meglio gestire in sede live.
Poco prima delle 16 irrompono sul palco i giovani finlandesi One Desire – ed il cambio di registro è subito evidente: trascinanti, coinvolgenti e potenti come una band già consumata e forti dell’ omonimo album andato esaurito in breve al banco del merchandising grazie anche alla loro grande performance.
Il cantante e chitarrista André Linman sa davvero come coinvolgere l’audience e nonostante siano in tour non sembrano perdere colpi e lo si nota soprattutto sui brani migliori del combo nordico: il singolo Apologize e la semi-ballad Injection. Il loro suono richiama molto i connazionali Brother Firetribe, con quell’Hard Rock tastieroso con puntate più heavy e incalzanti – sentiremo molto parlare di loro anche in futuro, ne sono sicuro!
Giusto in tempo per tirare il fiato, ecco on stage i Crazy Lixx preannunciati da un intro che riporta il tema del film cult “Fuga da New York” che poi sfociare nella tumultuosa Wild Child – ottima per aprire le danze di un set che comprenderà 10 brani, molti tratti dal nuovo Ruff Justice.
Forti di grande esperienza e presenza scenica i Lixx offrono un sound che richiama molto lo Street/Glam degli eighties, richiamando molto i Ratt e i primi Def Leppard e a cui si rifanno tante band della succulenta scena svedese che sta prendendo piede in questi anni seguendo la scia di Hardcore Superstar o Crashdiet.
Molto potente la quarta traccia Whiskey Tango Foxtrot subito seguita da Walk the wire, dalle sonorità più classicamente AOR e dall’ anthemica Heroes are Forever.
Chiusura col botto affidata al singolo Hell rising women e dalla trascinante 21 ‘til I die, dal loro fortunato lavoro precedente New Religion.
Danny Rexon e soci hanno saputo dunque offrire ciò che si aspettava da loro: forza, divertimento e coinvolgimento- una vera garanzia in studio e dal vivo!
Una ulteriore garanzia sono i successivi Eclipse, oramai degli abitué del festival (è la terza partecipazione in 4 edizioni). La band di Erik Martensson ci ha abituato molto bene – in costante movimento tra tour e album – sono sempre perfetti e anche stasera lo dimostrano offrendo uno dei momenti più alti dell’intera giornata grazie ad una scaletta che mescola brani del nuovo album Monumentum (come il singolo Never look back, proposto quasi subito) e brani dei loro precedenti lavori.
Entusiasmanti su tutte le tracce eseguite, ci riservano una bella sorpresa quando a metà concerto salta sul palco assieme a loro il nostro Michele Luppi per duettare (egregiamente) con Martensson in Jaded, sempre tratta dall’ultimo lavoro.
Dopo la successiva Hurt arriva il momento topico dell’intero set: gli Eclipse imbracciano la chitarra acustica e accennano la loro Wide Open per passare poi alla epica Battlegrounds – brano che in questa versione offre ancora più pathos e il cui ritornello l’istrionico Martensson fa cantare a tutti i presenti a squarciagola.
Un vero spettacolo che prosegue in elettrico con Downfall of Eden e Black Rain per poi esplodere nel gran finale con il trittico Stand on your Feet, Runaways e la grandiosa I don’t wnna say I’m sorry: gli Eclipse ci hanno fatto saltare e cantare per 60 minuti come solo pochi ormai sono in grado di fare… un live che – soprattutto per chi li ha visti per la prima volta – non si dimenticherà facilmente.
Dopo una prestazione del genere le pretese non possono che essere alte e quindi ecco arrivare il supergruppo Revolution Saints, composti da Doug Aldrich (Whitesnake, Dio, Burning Rain…) alla chitarra, Jack Blades (Night Rangers, Damn Yankees…) al basso e alla voce e Deen Castronovo (Wild Dogs, Bad English, Hardline, Journey…) alla batteria e alla voce coadiuvati alle tastiere dal nostro Alessandro Delvecchio – già produttore del loro omonimo album datato 2015.
Causa alcuni problemi i 3 assi si esibiscono insieme e con questo nome per la primissima volta e questo ha contribuito a creare una grande aspettativa, che infatti non viene delusa: Deen Castronovo canta egregiamente e il suo drumming è spettacolare mentre Doug Aldrich e Jack Blades sfoderano tutta la loro bravura e carisma conquistando la folla.
Al quarto brano Deen lascia la batteria per occuparsi delle lead vocals mostrando tutta la sua tecnica soprattutto in Way to the sun e Dream on in cui fa cantare anche il pubblico, seguite dalla struggente In the name of the father, dedicata alla memoria del padre di Serafino Perugino – mastermind di Frontiers.
Castronovo torna alla batteria – è il momento del tributo ai gruppi in cui i tre elementi hanno suonato: Love will set you free degli Whitesnake è quasi meglio dell’originale ed in successione Coming of age dei Damn Yankees e Higher Place dei Journey concludono una esibizione spettacolare. Buona la prima, li aspettiamo in tour!
E’il momento dei Tyketto! Hanno un nuovo album – Reach – uscito da qualche mese ma la loro presenza stasera va a celebrare soprattutto i 25 anni dell’ uscita del loro album di maggiore successo, l’esordio Don’t come easy.
La band di Danny Vaughn si presenta in grande forma e lo stesso cantante non sembra avere perso nulla del suo smalto: grande presenza e tanta voglia di interagire con il pubblico raccontando aneddoti e parlando di sé… “all’inizio il successo sembra essere una Maserati e una grande casa vicino l’oceano, passati 10 anni il successo è un’Audi e una casetta… e ora guido una Toyota Yaris!”
Don’t come easy viene quindi suonato per intero ed al contrario, dalla prima all’ultima canzone, con la esaltante Forever Young cantata da tutti e che va a coronare una prestazione super del combo americano e che si conclude con due “super bonus” come Rescue me e Reach.
Una prestazione esaltante, band in grande forma e tutta la audience sodisfatta, cosa potere chiedere di più ad una band straordinaria come i Tyketto a cui è mancato molto poco per raggiungere il successi che meritava? Grandiosi.
Il momento topico e conclusivo del giorno 1 è affidato agli Steelheart di Miljenko Matijevic, prima volta in Italia e per questo tanto atteso – attesa che viene ripagata solo in parte in quanto il cantante di origini croate appare si in gran forma ma è francamente poco comunicativo e più impegnato a sottolineare le sue doti vocali che a relazionarsi con il pubblico.
A causa anche di una scelta sonora che si discosta parecchio da tutto quanto sentito sinora e da lunghe parti strumentali la esibizione degli Steelheart fa un po’ perdere interesse al pubblico che infatti è molto meno numeroso rispetto alla grande concentrazione delle band precedenti.
Suoni heavy, percussivi con poco spazio alla melodia fanno guadagnare l’uscita dei rockers meno interessati al genere nonostante la presenza di brani arcinoti come Blood Pollution – inoltre la presenza di un bassista tarantolato e francamente un po’ invadente non ha certamente aiutato.
Trovano il tempo anche di presentare qualcosa di nuovo che pare avere un suono più hard e meno heavy rispetto agli altri brani presentati in scaletta che fa ben sperare per il futuro della band.
Ma ecco che arriva il momento che tutti aspettavano, Matijevic presenta She’s gone: cala il silenzio e ci sono solo le note – altissime – prese dalla voce del virtuoso singer, non più quello di vent’anni fa ma pur sempre in grande spolvero.
Gli applausi non mancano e da adesso in poi il concerto fluisce rapidamente fin alla conclusiva apoteosi finale che sfocia in We all die young, altra grande perla targata Steelheart ripresa nel film RockStar.
In sintesi, gli Steelheart si rivelano per quello che sono in fondo – una One Man Band al seguito del potente Matjievic che con un po’ di furbizia musicale ed empatia in più avrebbe potuto conquistare tutti in serata. Sarà per la prossima – in attesa del nuovo lavoro del Cuore D’Acciaio statunitense.
Cala dunque il sipario sul primo giorno del FRF – assoluti vincitori gli Eclipse e i Tyketto con la new sensation One Desire subito a ruota – giornata indimenticabile!
Day 1
- Palace
- One Desire
- Crazy Lixx
- Eclispe
- Revolution Saints
- Tyketto
- Steelheart
Photoset day 1 Marco ‘Bill’ Cometto
Come per il giorno precedente, il giorno 2 viene aperto in sordina e protagonisti loro malgrado sono gli Svedesi (manco a dirlo) Cruzh, per l’occasione con Philip Lindstrand –già chitarrista nei Find Me di Robbie LaBlanc visti a questo stesso festival lo scorso anno – a sostituire Tony Andersson alla voce.
Le sonorità offerte sono quelle più classicamente AOR con similitudini ora ai primi Bon Jovi, ora ai Danger Danger, ora agli Europe ma senza minimamente avvicinarsi all’estro degli ispiratori. La loro prestazione infatti non lascia tracce ed il pubblico non sembra rispondere bene alle incitazioni del bassista impellicciato Dennis Butabi Borg: interessanti ma tecnicamente e musicalmente molto migliorabili.
Si volta pagina, è L’ora del primo gruppo italiano a calcare finalmente il palco del Frontiers Festival – i Lionville del talentuoso chitarrista genovese Stefano Lionetti con l’eccellente cantante Lars Safsund, già frontman dei superbi Work of Art. La qualità dei loro lavori in studio é indubbia e anche dal vivo mostrano una precisione ed una tecnica non comune riportandoci a sonorità AOR molto mature e vicine allo stile dei Toto.
Brani come World of fools (title-track del loro ultimo lavoro), la buona ballad No turning back e The power of my dreams risultano efficaci convincendo e coinvolgendo il pubblico che dimostra il suo affetto lanciando una bandiera genovese (o inglese?) con il nome della band e che Lars mostre con fierezza.
Degna conclusione di una grandissima prestazione, la finale Bring me back our love fa capire quanta qualità vi sia in questo prodotto del genio musicale italiano. A proposito… perché Lionetti e soci non si sono rivolti al pubblico acclamante nella loro lingua? Ma la domanda più importante è: a quando il prossimo live? Ottimi.
Non è ancora l’ora del tè quando salgono sul palco i sopravvalutatissimi Adrenaline Rush, noti più per la fisicità della loro cantante che per l’effettiva qualità dei brani che spaziano da sonorità più AOR a momenti decisamente più hard n heavy senza incidere più di tanto.
Punto di forza visivo è certamente la bellissima cantante Tave Vanning: grinta rock, movenze alla Shakira e voce alla Britney Spears che offre però una prestazione per nulla all’altezza e la band si salva solo grazie al valore e ai tecnicismi del chitarrista solista Sam Soderlindh, evidente fanboy del connazionale Yngwie Malmsteen.
Stancano in fretta questi 5 scandinavi da cui ci si aspetta decisamente di più.
Fortunatamente il programma prevede come act successivo nientemeno che Kee Marcello, formidabile chitarrista svedese già in forza agli Europe dal 1986 al 1992 lasciandoci capolavori quale Out of this world o Prisoners in Paradise. Proprio da quest’ultimo album Marcello ha ripescato delle outtake scritte assieme a Joey Tempest e le ha utilizzate nel nuovo album Scaling Up, un lavoro di valore che sta riscuotendo consensi e i cui brani verranno proposti dal vivo assieme ad alcune chicche del periodo Europe.
Girl from lebanon e More than meets the eye si alternano infatti alla title-track Scaling up e alla melodica e convincente Don’t miss you much per poi tornare a Tower’s calling (da Out of this world) e quindi al primo singolo dell’album solista Black Hole Star.
Il momento magico arriva invece con Superstitious, cantata a gran voce da tutti nell’intermezzo reggae che Marcello sfrutta bene per interagire con il pubblico.
Chiude la “marchetta” finale The Final Countdown, immancabile che da un lato fa saltare tutti i presenti ma dall’altro ci lascia la voglia di un finale diverso e più “personale”.
Ottima prestazione – ma d’altronde si conoscono le doti chitarristiche dello svedese – in attesa di vederlo ancora una volta in tour.
Salgono in cattedra gli Unruly Child dell’iconica Marcie Free, tanto attesa dal pubblico del festival memore dei grandi lavori con i Signal e King Kobra o il primo album solista a nome Mark Free – Long way from love.
Il gruppo si dimostra in forma ed è tecnicamente ineccepibile, Marcie incanta tutti con la sua voce pur facendo fatica ad essere comunicativa, forse sente un po’ la tensione e la responsabilità di un evento così importante ed anche per questo si fa aiutare da un PC portatile agganciato all’asta del microfono che le permette di leggere i testi: francamente antiestetico ma in qualche modo funzionale.
La scaletta è piuttosto varia, con brani presenti anche dal recente Can’t go home, ma sono soprattutto le ballad a catturare l’attenzione e la partecipazione dell’esigente audience che tributa onori a Marcie chiamandola a gran voce. I migliori momenti sono su To be your everything e la conclusiva When love is gone a sottolineare una prestazione convincente ma poco coinvolgente.
Freddini ma molto, molto bravi: alla prossima!
La tensione sale, le criniere cotonate aumentano: arrivano gli L.A. Guns dei finalmente riuniti Tracii Guns e Phil Lewis ed è subito potenza!!! La formazione Losangelina forte della grande esperienza non ha nulla da invidiare a nessuno, nemmeno ai “cugini” Guns N Roses e lo dimostra con una esibizione da manuale del rock n roll. Oltre un’ora di grandi classici eseguiti con potenza, precisione e passione come meglio non potevamo aspettarci.
Phil Lewis è in grande forma, Tracii Guns suona come non mai e lo dimostrano in grandi classici come la straripante Sex action, Speed o Kiss my love goodbye. Grande coinvolgimento anche su Don’t look at me that way, ma è su Never enough – anticipata dalle note iniziali di Hells Bells degli AC/DC – che l’intera venue esplode, prima di essere travolta dalla classica finale The ballad of Jayne.
Un grande spettacolo in tutto e per tutto, gli L.A. Guns non perdono un colpo dimostrano anche a giovani band che invecchiare non è sinonimo di regredire ed inacidirsi – se il rock n roll scorre potente nelle vene!
Ed eccoci al gran finale – il ritorno sulle scene dei TNT, tra gli ultimi a firmare per l’etichetta di casa nostra e nuovamente con il dotatissimo Tony Harnell al microfono. Non si celebra però solo una reunion, ma è anche il 30esimo anniversario del loro fortunato Tell No Tales e per questo la band norvegese annuncia che il concerto verrà interamente ripresto per un prossimo DVD-
Si parte alla grande con Send me a sign – Tony Harnell dimostra di essere in perfetta forma non lesinando gli acuti (forse a volte utilizzandone più del necessario) e aizzando il pubblico che lo segue partecipe. Il chitarrista Ronni LeTekro é sempre lo stesso – preciso e incisivo come dimostra nella traccia Invisible Noise tratta da My Religion e dando sfogo ad un buon assolo subito dopo la più dimessa Child’s play.
I TNT non si dimenticano di un grande album come Intuition impreziosito in studio grazie all’apporto del grande Joe Lynn Turner e il pubblico tributa una vera ovazione sulle note di Forever shine on e la grande title-track che Harnell fa cantare a tutti, nessuno escluso.
Valanga finale con le trascinanti Seven seas e Listen to your heart, con una successiva 10000 lovers in cui Harnell fa un po’ il verso a Freddie Mercury giocando con il pubblico con maestria.
Gran finale lasciato alla epica Everyone’s a star, coinvolgente e trascinante prima dei saluti.
Un eccellente prestazione di una grande band – degna conclusione di un festival sempre più ricco ed esaltante il cui secondo giorno ha visto sicuramente gli L.A. Guns vincitori assoluti seguiti dagli headliner ma soprattutto dai nostrani Lionville senza dimenticare la bella prestazione di Kee Marcello.
Insomma, due giorni indimenticabili con tante grandi band e tanta gente da tutto il mondo a sottolineare come – se ce ne fosse necessità – come la musica sia in grado di unire tutti in un grande cuore che batte a ritmo di una cassa accelerando sugli assoli di chitarra e sciogliendosi al suono di grandi melodie.
Non vediamo l’ora di una nuova edizione – e non vediamo l’ora di esserci!
Uno speciale ringraziamento ai miei compagni di musica e di viaggio Joana Lachkova e Claudio Maccone e al grande amico e consulente Simone Schirolli con i quali ho condiviso più di una opinione e ogni esaltante momento di questo grande festival – we rock!!!
Santi Libra
Credits: si ringrazia la Frontiers per la gentilissima disponibilità e la perfetta organizzazione dell’evento con Live Music Club.
Day 2
- Cruzh
- Lionville
- Adrenaline Rush
- Kee Marcello
- Unruly Child
- L.A. Guns
- TNT
Photoset day 2 Elena Arzani
Elena Arzani è Docente presso la University of the Arts London di Londra. Fotografa e Consulente in marketing, comunicazione e social media management, segue artisti e progetti del settore culturale e moda e musica. Master di Laurea in Design Studies, presso il Central Saint Martin's di Londra, ha completato la sua formazione tecnica al Sotheby's Institute of Arts di NY ed alla 24Ore Business Schoold di Roma. Tra le sue collaborazioni, illustri aziende ed iconiche personalità della cultura contemporanea, da Giorgio Armani, Tina Turner, Aubrey Powell, a Guerlain, Fondazione Prada, e molti altri. Elena Arzani, Art Director di Tuttorock - elena.arzani@tuttorock.com