La data romana dei Firewind ha rappresentato una ghiotta occasione per offrire al pubblico della capitale una sorta di mini festival power metal davvero molto interessante, con la partecipazione di Even Flow, Timestorm e Dragonhammer, che hanno colto l’occasione per presentare il loro nuovo album “Obscurity”.
Il compito di scaldare l’ambiente, nel contesto di un Jailbreak Live Club purtroppo ancora poco gremito, è affidato agli Even Flow, che non solo hanno assolto il proprio compito a dovere, ma hanno rappresentato la vera sorpresa della serata. Con una line up potenziata dall’ingresso in formazione di Marco Pastorino (ex chitarrista dei Secret Sphere ed attualmente in forza nei Temperance), gli Even Flow hanno presentato cinque brani del proprio repertorio in grande scioltezza. Il loro power prog melodico è risultato essere piacevolissimo e il già citato Marco, qui esclusivamente nei panni di vocalist, si è dimostrato un front man carismatico, oltre che tecnicamente molto dotato. Il suo piglio solare e la sua espressività sono state estremamente coinvolgenti e hanno impreziosito la prova dei musicisti che, d’altra parte, hanno badato a offrire una prova strumentale senza sbavature. Se questa line up saprà replicare su disco quanto di buono è stata in grado di offrire on stage, sentirete ancora parlare degli Even Flow!
Secondi in scaletta i romani Timestorm, power metal band capacissima che ha avuto la sfortuna, in passato, di pubblicare il proprio album d’esordio in un periodo storico non proprio felice per il genere proposto e per di più sotto l’egida di un’etichetta discografica che di lì a poco sarebbe fallita. Chi li conosce sa che i Timestorm, dal vivo, sono una forza della natura, in buona parte (anche in questo caso) grazie all’energia e alla potenza vocale del proprio singer Claudio Vattone. Forse leggermente meno dirompenti rispetto ai propri standard, i Timestorm hanno comunque offerto una prova convincente. Dopo un lunghissimo periodo di silenzio discografico (il loro unico album “Shades Of Unconsciousness” è datato 2000), i Timestorm stanno per riaffacciarsi sul mercato discografico e nel breve lasso di tempo a loro disposizione hanno colto l’opportunità per presentare ben due brani inediti, “Sea Of Hate” e “Genesis”, oltre a tre estratti dal loro valido album d’esordio che fa sempre molto piacere riascoltare dal vivo.
Per i veterani Dragonhammer, come anticipato, si trattava di un battesimo del fuoco per tornare sulle scene con i brani di “Obscurity”, album fresco di stampa che sta ricevendo ottimi consensi da parte di webzines e stampa specializzata. I Dragonhammer sono musicisti navigati che fanno della coerenza stilistica un vero e proprio vessillo da sbandierare con fierezza di fronte a i propri fedelissimi fan, ma a anche in faccia a chi la loro musica non la ha mai digerita. Tra i solchi di Obscurity è possibile rintracciare qualche sonorità più moderna e inedita per la band, ma nel complesso la proposta rimane saldamente ancorata a quel power metal epico tanto in voga in Italia, così come in altri paesi europei, una ventina di anni fa. E se su disco, qualche pecca a livello di arrangiamenti e produzione può essere evidenziata, dal vivo i nuovi brani rendono davvero alla grande sia per la bontà intrinseca delle composizioni, sia per l’energia con la quale i cinque musicisti sono in grado di riproporli. Su tutti ha spiccato senz’altro “Under Vatican’s Grounds”, epica cavalcata che grazie al suo incedere possente e alle sue melodie memorabili è in grado di risvegliare l’animo metallaro in chiunque la ascolti. Altri estratti dal nuovo album: le più tirate The “Eye Of The Storm” e “Fighting The Beast”, oltre alla title track “Obscurity”, atmosferica e vagamente progressiva. Con una chiusura affidata all’inno “Dragonhammer”, i romani guidati da Max Aguzzi e Gae Amodio hanno suggellato una prova di qualità, che ha reso giustizia e impreziosito i nuovi brani per la gioia dei fan, ma anche per il resto della platea che ha mostrato di aver apprezzato non poco l’esibizione.
Ed eccoci ai Firewind. Se qualcuno tra presenti si era recato al Jailbreak solo ed esclusivamente per gustarsi il funambolico chitarrista Gus G., credo che a fine serata si sia ampiamente ricreduto, poiché i Firewind hanno dimostrato on stage di essere attualmente quanto di meglio si possa desiderare in ambito power metal melodico. Non lo hanno forse confermato appieno con il loro ultimo lavoro in studio “Immortals”, buono, ma inferiore a lavori quali “Allegiance” o “The Premonition”. Dal vivo però è stata tutta un’altra storia, nonostante una scaletta incentrata proprio sull’ultimo album (ben sette estratti). Gus G. rimane senz’altro il musicista che catalizza maggiormente l’attenzione, con i suoi assoli incredibilmente precisi, le sue pose da guitar hero e il suo grande carisma nonostante il viso da bravo ragazzo, antitesi dell’immagine della rock star maledetta. Gli altri componenti della band, tuttavia, non sono da meno e nell’insieme, la band è una vera e propria forza della natura. Il nuovo frontman Henning Basse (Metalium) non ha fatto minimamente rimpiangere il pur bravissimo Apollo Papathanasio, dimostrandosi estremamente accattivante in quanto a presenza scenica e sfoggiando perfino maggior precisione dal punto di vista vocale. Sin dalle prime note di “Ode To Leonidas” ci si è resi conto della maestria della new entry, ma anche su brani marchiati a fuoco dalla voce di Apollo quali “Head Up High” o “Few Against Many”, il buon Henning ha stupito davvero tutti facendoli propri e proiettandoli sul pubblico all’ennesima potenza. Se la sezione ritmica ha fatto il proprio dovere con potenza e precisione, non possiamo non spendere elogi sperticati per l’incredibile talento del polistrumentista Bob Katsionis. Non lo scopriamo certo oggi, istrionico e giocherellone, sul palco è il giullare di turno, ma l’apparenza non inganni: Bob è un vero fuoriclasse delle tastiere (da ascoltare i suoi ottimi solo album), nonché un ottimo chitarrista. Se il buon Gus G. non avesse prestato servizio alla corte di Ozzy Osbourne, oggi i Firewind non sarebbero ricordati come la sua band, ma come la band di Gus e Bob. In quanto a talento puro, l’uno non ha nulla da invidiare all’altro e assieme formano una coppia di musicisti incredibile.
Tra i tanti brani estratti dall’ultimo album “Immortals” e almeno un esponente di ciascuno dei precedenti lavori in studio, il concerto è volato via velocemente, lasciando il pubblico quasi frastornato per il torrenziale fluire di note ed energia positiva. Unica concessione alla dolcezza, la buona ballata “Lady Of A 1000 Sorrows”, presentata immediatamente prima delle straripanti melodie di “Mercenary Man” e della più aggressiva “Tiranny”, con le sue deliziose concessioni neoclassiche. All’immancabile bis sono state riservate “Live And Die By The Sword”, forse il brano più epico ed evocativo di “Immortals”, e la tellurica “Fallig To Pieces”.
Rispetto a uno spettacolo tanto valido, il pubblico intervenuto al Jailbreak non è stato, purtroppo, quello delle grandi occasioni, tanto che Henning Basse ha chiesto ai presenti di portare qualche amico in più alla prossima occasione, nel caso avessero gradito lo show. Il consiglio di Henning lo giro a voi lettori, se amante il metal, ma non solo, non lasciatevi nuovamente scappare l’occasione di ammirare i Firewind dal vivo.
Report & foto RICCARDO ARENA
Credits: si ringrazia il Jailbreak Live per la gentilissima disponibilità e la perfetta organizzazione dell’evento.