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Dogstar @ BOnsai Garden Bologna 29-6-2024

Dogstar @ BOnsai Garden Bologna 29-6-2024

Dogstar @ BOnsai Garden Bologna

I Dogstar danno tutta l’impressione di essere un gruppetto di amici che viene fuori dall’ampio garage accessoriato di una villetta a Beverly Hills e a giudicare da quanto si legge in rete, viene da pensare che la loro epopea corrisponda a quanto ivi descritto. “Somewhere Between the Power Lines and Palm Trees“, proprio come l’ultimo album che presentano al Parco delle Caserme Rosse di Bologna o BOnsai Garden per gli avvezzi. Terza data del tour italiano, insieme a Gardone Riviera, Udine e Torino.
Nascono nei primi anni novanta dall’incontro casuale (a quanto asserito all’interno di un supermercato) tra gli allora quasi trentenni Robert Mailhouse, noto per aver partecipato alla situation comedy americana “Seinfeld” (è il caso di dirlo… che sigla, ragazzi!) e di un altro attore hollywoodiano, tale Keanu Reeves che in quegli anni si affacciava al successo globale interpretando il ruolo del bad boy bello e dannato in Point Break (1991).
Basso & batteria sono un’accoppiata vincente e nel caso dei ragazzotti è il caso di dire che il feeling tra le parti è decisamente ottimale.
Al duo si uniscono successivamente Gregg Marc Miller (chitarra e voce) che dopo un anno abbandonerà la band e l’attuale chitarrista e cantante Bret Domrose, promosso automaticamente e con votazione unanime da seconda a prima voce.
Il gruppo si mantiene in attività fino ai primi anni duemila, salvo sciogliersi e ricongiungersi grazie alla recente pandemia globale che a questo punto verrà ricordata anche per aver fatto cose buone.
Fin da principio le intenzioni paiono chiare: prendono in prestito il nome dal libro Sexus di Henry Miller, dopo essersi attribuiti goliardicamente – giusto per volersi bene – qualche appellativo colorito tipo “Small Fecal Matter” e “BFS” acronimo di “Big Fuck** S***”.
La stella canina si concentra più sulla conversione delle emozioni in musica piuttosto che sulla performance o sui tecnicismi.
Abbigliamento essenziale e quasi grunge. Poche le parole di Domrose a riempire i vuoti, che oltretutto sembrano quasi non esistere, visto che le canzoni si susseguono in un divenire dalle 20.30 alle 21.30, un’ora spaccata di concerto nè più nè meno: il giusto. Senza fronzoli.
Rullate di batteria che ti fanno muovere e motivetti invitanti. Keanu Reeves suona il basso con estrema autenticità. Il modo in cui si rapporta sul palco – quasi un introverso rinchiuso in questo mondo ritmico interiore – riflette l’immagine del filantropo che dipingono i media.
Traspare un essere umano di grande bontà d’animo e semplicità, puro nel modo di porsi, come lo sarebbe un ragazzino che si diverte a suonare il suo strumento.
Non si perde in inutili e pedanti filippiche ma anzi si concede poco alle fan, sorridendo poco e usando gli occhi per farlo.
Si muove indemoniato, come un animale in trappola che scalpita per uscire da una gabbia.
Non è “solo” un bassista è orgogliosamente bassista e slegato dal ruolo scalognato solitamente inflitto al presunto commediante.
Lui lo sa e a fine concerto alza il basso verso al cielo per mostrarlo a tutti.
Risulta apprezzabilissimo nel suo essere laconico e velatamente punk rock, alla Ramones per intenderci. Plettrate veloci, stile scarno ed irruento, produce riff originali e veloci che funzionano ritmicamente bene e soprattutto risultano accattivanti senza strafare, con qualche slide sapientemente inserito a delineare un aspetto inaspettatamente brioso.
Ascetico: la scelta del basso, l’unico impiegato durante la serata, ricade su Fender precision custom con una colorazione blu a degradare verso l’esterno, meccaniche argentate, pickguard nero e thumb rest (di cui però non fa impiego durante la serata) curiosamente posto in prossimità delle corde alte che fa pensare al mancinismo – anche se in questa occasione suona destrorso – o ad un eventuale impiego in palm muting.
Incredibilmente gradevole sentirlo suonare, ti fa capire che è possibile spassarsela con poco e ti fa venire voglia di imbracciare il basso per suonarti un bel brano dei The Cure, ad esempio “Just Like Heaven” che è anche un ottima encore.
Una serata che trascorre veloce ed afosa, figurandosi il contorno definito delle palme stagliate sullo sfondo dei colli di una Beverly Bologna carica di aspettative.

SUSANNA ZANDONÀ

Photoset by Andrea Nascetti

Credits: si ringrazia Unipol Arena e D’Alessandro & Galli per la gentilissima disponibilità e la perfetta organizzazione dell’evento.

SETLIST:
Blonde
Lust
Everything Turns Around (anticipazione dal nuovo album)
Out Of
Glimmer
Dillon Street
Math
Shards Of Rain
Overhang
Sleep
Runway
Marmelade
Breach
Encore:
Just Like Heaven
Shallow Easy
Upside
Jackbox