Now Reading
BRUCE DICKINSON + MICHAEL MONROE @ Rock In Roma, Ippodromo delle Capannelle, Roma, 05/07/2 …

BRUCE DICKINSON + MICHAEL MONROE @ Rock In Roma, Ippodromo delle Capannelle, Roma, 05/07/2 …

BRUCE DICKINSON + MICHAEL MONROE @ Rock In Roma, Ippodromo delle Capannelle, Roma, 05/07/2024

Il grande rock torna nella capitale grazie a Michael Monroe e Bruce Dickinson, due artisti monumentali, icone dei rispettivi generi musicali, che hanno dato a fuoco e fiamme il palco dell’Ippodromo delle Capannelle nell’ambito della manifestazione musicale più importante e capillare delle estati romane, il Rock In Roma.

Monroe non ha bisogno di presentazioni tra gli appassionati di glam rock.

Cantante e fondatore degli Hanoi Rocks, band finlandese che ha avuto un impatto enorme sulla scena sleaze/glam rock statunitense degli anni ottanta, Michael, chiuso definitivamente il capitolo Hanoi, ha continuato a calcare le scene con una costanza che rasenta la testardaggine.

I riflettori per lui si sono spenti da tempo, anzi il successo planetario che hanno riscosso Guns N’ Roses o Motley Crue (gruppi che agli Hanoi Rocks devono molto, se non tutto) è sempre stato una chimera per il cantante, ma il rock è la sua vita e il palcoscenico il suo habitat. Così, ancora oggi, all’età di 62 anni, Micheal se ne frega di tutto e di tutti, continua a incidere album di innegabile qualità e si sbatte sui palchi di mezzo mondo con un’energia da far invidia a orde di teenager rampanti.

La sua fama di performer esplosivo, dunque, lo precede, e il pubblico del Rock in Roma non ha potuto far altro che constatare quanto ancora oggi uno show di questo incredibile frontman sia quanto di più esaltante si possa mai desiderare in ambito rock.

In esterna, con la flebile luce della sera ancora a rischiarare il cielo, senza una propria scenografia, privo di effetti coreografici e scenici di sorta, Monroe ha offerto semplicemente ciò che sa fare meglio: del puro e semplice rock ‘n’ roll “in your face”, senza fronzoli, suonato con grinta e ingigantito dal carisma magnetico di Monroe.

Oltre a cantare e suonare l’armonica (peccato non abbia eseguito brani col suo leggendario sax), il singer si è esibito in tutto il suo epico campionario di pose plastiche e siparietti, inclusi divertenti rifacimenti di trucco e ammiccanti sventagliate, ha corso ininterrottamente per ogni centimetro del palco, ha cantato in piedi sulle transenne stringendo le mani dei fan e si è arrampicato in cima alle torri del palco facendo correre più di un brivido lungo la schiena di un pubblico ormai completamente rapito da questo dio del rock sceso in terra.

Scontato sottolinearlo, ma anche la prestazione offerta dalla band, sorretta da un’acustica ottimale, è stata impeccabile, compatta e con un’attitudine perfettamente complementare allo stile squisitamente ottantiano dell’artista. Non a caso in line up erano presenti musicisti del calibro di Sam Yaffa (bassista degli Hanoi Rocks) e Steve Conte (chitarra dei New York Dolls), oltre a Rich Jones (tante le sue collaborazioni prestigiose in ambito hard rock) e Karl Rosqvist (Steel Prophet, Danzig e tanto altro).

Calata l’oscurità sull’Ippodromo delle Capannelle, per il pubblico romano ancora elettrizzato dall’esibizione adrenalinica di Monroe, è il momento di accogliere uno dei cantanti più amati della scena heavy metal mondiale, sua maestà “The Air-Raid Siren” Bruce Dickinson.

Non c’è il sold out, ma l’affluenza è stata più che soddisfacente e l’ovazione dei fan all’ingresso del cantante, sulle note di Accident of Birth, è fragorosa. L’album del ritorno al metal di Dickinson dopo l’esperimento poco apprezzato del progetto Skunkworks è ancora molto amato dai fan e la title track è indubbiamente uno dei brani più rappresentativi del lavoro. Si inizia quindi con la massima carica di entusiasmo possibile.

Sapevamo che in questo tour Dickinson stava inanellando prestazioni canore di altissimo livello, come forse non faceva da anni in seno agli Iron Maiden e la data di Roma ha confermato lo stato eccezionale del cantante sessantacinquenne, nonostante abbia impiegato due o tre brani per andare a pieno regime. Su Abduction e Laughing in a Hiding Bush c’è stato qualche problemino non tanto di intonazione quanto di metrica e ritmo. Il singer doveva forse spezzare il fiato per via di una partenza al fulmicotone dal punto di vista dell’energia straripante messa in campo fin dal primo istante, ma già sulle note della nuova Afterglow of Ragnarok lo show è decollato per uno viaggio che è filato via liscio fino alla conclusiva The Tower.

L’artista crede molto nel nuovo album e ha buone ragioni per farlo. Si tratta di un lavoro molto eterogeneo, forse poco coerente nell’insieme per il fatto che i brani sono stati composti nel corso di un ventennio, ma dopo ripetuti ascolti necessari a farlo decantare, The Mandrake Project non ha deluso le importanti aspettative che si erano generate per via dell’interminabile pausa dal precedente Tyranny Of Souls . La setlist della serata tuttavia ha offerto una panoramica ben bilanciata della carriera solista di Dickinson. Sono stati completamente trascurati solo Tattooed Millionaire e Skunkworks, che rappresentano gli episodi meno apprezzati dai fan e i cui brani poco si sarebbero sposati con l’approccio metal oriented riabbracciato ormai da anni dal cantante. In tal senso ha persino sorpreso l’esecuzione di Laughing In The Hiding Bush che sull’album Balls To Picasso aveva un piglio più alternative rock, ma in sede live è stata appesantita a dovere per non sfigurare in un contesto intriso di atmosfere più oscure, epiche e solenni.

Dopo la magniloquente Chemical Wedding, il cuore del concerto è stato dominato da una versione davvero evocativa della monumentale Tears Of The Dragon, immortalata da centinaia di smartphone e cantata a squarciagola da tutti i presenti (compreso il sottoscritto).

Resurrection Men e Rain On The Graves, gli altri due episodi estratti dal nuovo album, sono stati accolti decisamente bene dal pubblico. Dal vivo non hanno sfigurato al cospetto dei tanti classici in scaletta e probabilmente avranno fatto ricredere qualche fan meno entusiasta del “progetto Mandrake”. Bruce su queste note è ancor più a suo agio vocalmente, mentre sul fronte della presenza scenica, non sarà straripante come il collega biondo crinito che lo ha preceduto, ma resta pur sempre uno dei più grandi frontman della storia della musica. Pur cantando divinamente, è ancora estremamente mobile, incita il pubblico da ogni angolo del palco con i suoi proverbiali “scream for me” e assume le sue pose da antologia del metallo come se la clessidra di fosse fermata durante il World Slavery Tour del 1985.

La band multinazionale assemblata da Dickinson per questo tour, se mai ci fosse qualche dubbio in merito, si è dimostrata decisamente all’altezza e ha dato prova di sé durante un intermezzo strumentale (Frankenstein). Aperto da un assolo di batteria intenso ma fortunatamente molto stringato, lo strumentale è stato interessante musicalmente e divertente per gli occhi. I musicisti si sono presentati sul palco con elmi da centurioni ed è stato un susseguirsi di gag, tra Philip Näslund che perdeva l’elmo e Mystheria che glielo riposizionava e Bruce Dickinson che picchiettava i compagni con le bacchette della batteria. Quest’ultimo ha anche dato sfoggio del suo estro musicale suonicchiando le percussioni e il theremin! Un peccato che Roy Z (chitarrista e produttore che lavora con Dickinson da circa trent’anni) non fosse della partita, ma le chitarre del già citato Philip Näslund e di Chris Declercq hanno garantito un sound pieno e avvolgente, mentre la sezione ritmica, oltre a precisione e potenza, ha offerto tanto carisma grazie alla presenza scenica dell’affascinante bassista irlandese Tanya O’Callaghan (Dave Moreno alla batteria). Menzione particolare per il musicista di casa, il romano Mystheria. Faceva il suo ingresso all’occorrenza imbracciando la sua caratteristica keytar rossa fiammante, con giacca e cilindro da prestigiatore, e quasi rubava la scena al suo “datore di lavoro”! Indimenticabili i suoi duetti “posati” assieme all’altrettanto carismatica Tanya, nell’ambito di una prestazione dinamica, alla ricerca continua di interazioni col pubblico e con i compagni di palco.

A questo punto il concerto volgeva al termine, ma alcuni dei brani più celebrati dovevano essere ancora eseguiti, per un finale a dir poco pirotecnico. Si sarebbe potuto sorvolare su una The Alchemist, il cui incedere solenne non ha trovato la sua dimensione ideale nel contesto live e ha fiaccato leggermente gli entusiasmi dell’audience. A chiudere la prima parte del concerto nel migliore dei modi ci ha pensato però Darkside Of Aquarius, cavalcata metal in pieno stile Iron Maiden che fece commuovere i fan di Dickinson all’epoca di Accident Of Birth e che tutt’oggi è uno dei brani più amati della sua discografia.

Al bis di rito sono stati affidati altri due classici intramontabili. La sognante Navigate The Seas Of The Sun ha regalato brividi quanto e forse più di Tears Of The Dragon, il che è tutto dire, mentre Book Of Thel, ideale seguito di Darkside Of Acquarius, è stata un’altra perla indimenticabile che ha acceso focolai di pogo in un concerto dove tale rituale non è propriamente contemplato.

Seconda scelta parzialmente sorprendente della serata è stata quella di chiudere sulle note di The Tower, brano assai godibile che tuttavia non garantisce il climax necessario per concludere un’esibizione dal vivo importante al massimo dell’intensità. Le sue ritmiche si sono tuttavia rivelate propedeutiche per presentare efficacemente la band e garantire il meritato applauso a tutti i musicisti.

Al termine del concerto, tra i fan in deflusso, sono stati inevitabili i confronti tra l’esibizione di Dickinson, ancora vivida negli occhi e nelle orecchie, e uno a caso tra gli ultimi show degli Iron Maiden. Il responso è stato pressoché univoco: i live dei Maiden, con le loro coreografie imponenti e tutti gli ingranaggi perfettamente oliati, sono esperienze indiscutibilmente spettacolari e indimenticabili, ma se si vuole godere di un Dickinson più rilassato, più a suo agio tanto vocalmente quanto come performer, e forse anche un pizzico più entusiasta, bisogna puntare assolutamente su una sua esibizione da solista.

RICCARDO ARENA

Photoset by RICCARDO ARENA

Credits: si ringraziano Daniele Mignardi Promopress Agency, Rock In Roma e Vertigo per la gentilissima disponibilità e la perfetta organizzazione dell’evento.

Michael Monroe line up:

Michael Monroe – Voce
Steve Conte – Chitarra
Rich Jones – Chitarra
Sam Yaffa – Basso
Karl Rosqvist – Batteria

Bruce Dickinson line up:

Bruce Dickinson – voce
Philip Näslund – Chitarra
Chris Declercq – Chitarra
Tanya O’Callaghan – Basso
Mystheria – Tastiere
Dave Moreno – Batteria

Michael Monroe Setlist:
Dead, Jail or Rock ‘n’ Roll
I Live Too Fast to Die Young
Murder the Summer of Love
Horns and Halos
Young Drunks & Old Alcoholics
Ballad of the Lower East Side
Up Around The Bend (Creedence Clearwater Revival Cover)

Bruce Dickinson Setlist:
Accident of Birth
Abduction
Laughing in the Hiding Bush
Afterglow of ragnarok
Chemical Wedding
Tears of the Dragon
Resurrection Men
Rain on the Graves
Frankenstein (intermezzo strumentale)
The Alchemist
Darkside of Aquarius
Navigate the Seas of the Sun
Book of Thel
The Tower