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Il 2 Gennaio del 1971 “ALL THINGS MUST PASS” arriva al primo posto delle class …

Il 2 Gennaio del 1971 “ALL THINGS MUST PASS” arriva al primo posto delle class …

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Il 2 Gennaio del 1971 “ALL THINGS MUST PASS” di George Harrison arriva al primo posto delle classifiche inglesi, restando in vetta per sette settimane. “Nei Beatles, dovevo sempre aspettare dieci delle loro, prima che John e Paul ascoltassero anche solo una delle mie canzoni. Questa è la ragione per cui questo disco ha così tanti pezzi, perché nella band era come se fossi ‘costipato’…” . È naturale partire dai Beatles, per parlare del debutto solista di uno dei suoi membri, tra l’altro il primo disco di canzoni vere e proprie pubblicate da un ex Beatle, dopo il loro scioglimento, che raggiunge il primo posto nelle classifiche. L’album non sarebbe lo stesso se non parlasse anche della liberazione di un artista incompreso, schiacciato dai più “esuberanti” compagni. Il disco, questo è il messaggio che George vuole mandare, è un’opera rock in cui la spiritualità è il vero modo di intendere la vita. Un disco in cui la filosofia hindu si fonde con il gospel e la musica nera in generale (sono diversi i riferimenti al filone Motown sparsi per il disco). Tante le collaborazioni, che renderanno “All Things Must Pass” una delle opere pop-rock collettive più memorabili della storia. Una su tutte, fondamentale, quella con Phil Spector. Questo album viene infatti ritenuto la sua ultima grande produzione “wall of sound”: nei brani spesso sono presenti due percussioni, due batterie, quattro o cinque chitarre, due bassi, due pianoforti, oltre ai vari arrangiamenti orchestrali e ai cori. In più, le tracce venivano spesso suonate live a oltranza con tutti gli strumenti insieme, per aumentarne la risonanza. Previste per poche settimane, alla fine le registrazioni durarono cinque mesi. Eric Clapton, Ringo Starr, Phil Collins, Billy Preston, Gary Brooker e Alan White sono i nomi più riconoscibili di una lista di musicisti che sembra (più che un elenco) una riunione di amici, e un “riassunto” del mondo del rock di quegli anni. A partecipare alle registrazioni ci sono anche tutti i musicisti che accompagnano in tour Delaney & Bonnie, e un importante contributo verrà dato da una band sotto contratto con la Apple, i Badfinger. Ma ci sono altri due ingredienti fondamentali: l’ammirazione che George nutre nei confronti della Band (da cui vengono le parti più “tradizionalmente” americane del disco, ad esempio “Behind That Locked Door”, che ancora si favoleggia eseguita dalla Band stessa, e la title track) e l’inizio della collaborazione con Bob Dylan. E’ la scelta del primo singolo a dare l’impronta all’esordio: “My Sweet Lord”, un pezzo gospel chiaramente ispirato a “Oh Happy Day”, con gli “Halleluja!” del coro che poi si trasformano in “Hare Krishna” , in una stramba mutazione ecumenica. Il brano parla della ricerca di Dio, non come concetto astratto, ma come visione concreta. E nella semplicità con cui utilizza gli ingredienti principali del gospel, si percepisce tutto il senso di liberazione interiore che accompagna ogni nota del disco. È in questo senso che va intesa anche la lunghezza di “All Things Must Pass”, che uscì come triplo album, l’ultimo denominato “Apple Jam” e contenente cinque jam strumentali, un album esplosivo che non ha nulla a che fare con la maniacalità dei dischi dei Beatles .