“DAVID BOWIE IS” il Duca Bianco in mostra @ Museo di Arte Moderna di Bologna M …
by tuttorock
23 Agosto 2016
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Quando ho ascoltato per la prima volta Black Star, il giorno stesso in cui è uscito, mi sono ritrovata a pensare cosa avrei chiesto a David Bowie se avessi avuto la possibilità di fargli una sola domanda. La domanda sarebbe stata questa: “Ma tu sei Dio?”. Racconto questo episodio non perché ritengo che le mie elucubrazioni mentali possano interessare a qualcuno, ma perché la mostra “David Bowie Is” – in corso al Museo di Arte Moderna di Bologna Mambo dove rimarrà fino al 13 novembre per poi trasferirsi a Tokyo – è una mostra che ha tanti e diversi piani di lettura e credo sia giusto chiarire che il mio punto di vista non può non risentire dell’amore che provo nei confronti di questo immenso artista.
La mostra è stata realizzata dal Victoria & Albert Museum di Londra nel 2013 (dove è stata vista da circa 1 milione e 400 mila persone), curata da Victoria Broackes e Geoffrey Marsh. Una mostra-tributo quindi, non commemorativa, come è stato sottolineato dagli stessi curatori, un onore che pochi artisti hanno avuto in vita. Vi sono esposti circa 300 oggetti provenienti per la quasi totalità dagli archivi personali di David Bowie e, così come è stata strutturata, “David Bowie Is” si pone ai più alti livelli di multimedialità oggi possibili, diventando una sorta di pietra miliare degli allestimenti museali contemporanei.
Un viaggio totalizzante nell’arte di David Bowie dal quale si evince sopra ogni altra cosa che David Robert Jones era un uomo culturalmente insaziabile e onnivoro che ha scelto la musica come mezzo di espressione principale, ma certamente non esclusivo: pittura, letteratura, teatro, cinema, arti grafiche e moda sono tutti campi che Bowie ha attivamente praticato e dei quali si è nutrito per le sue creazioni, elaborandoli e dando loro una forma nuova. Sempre e comunque all’avanguardia, a volte persino troppo presto.
Il buio che avvolge i visitatori nel percorso museale è squarciato continuamente dai colori che l’arte di David Bowie ha generato: i tanti costumi esposti, tutti iconici – alcuni di essi, da soli, hanno definito un’epoca – e le copertine dei dischi, esposte nella loro versione originale con gli studi grafici e fotografici che hanno portato alla loro definizione (la maggior parte dei disegni originali sono dello stesso Bowie), danno vita a un manuale di iconografia contemporanea. E ancora: oggetti personali, dipinti e testimonianze sotto varie forme di personaggi cardine nella sua storia: Lindsay Kemp, Kansai Yamamoto, Andy Warhol (che Bowie interpretò nel film “Basquiat” del 1996), Iggy Pop, Lou Reed, William Burroughs. A proposito di quest’ultimo, è esposta e descritta anche la tecnica di “cut up” che Bowie sviluppò in maniera personale e utilizzò in varie produzioni dopo esserne rimasto affascinato a seguito dell’incontro con Burroughs (da cui scaturì una memorabile intervista fra il musicista e lo scrittore pubblica il 28 febbraio del 1974 su Rolling Stones, intitolata “Beat Godfather Meets Glitter Mainman”).
La cuffia di cui ogni visitatore è fornito (inclusa nel prezzo e parte integrante del percorso) è il mezzo che permette di avere sia le informazioni che i pannelli informativi da soli non potrebbero dare, sia l’isolamento necessario per calarsi totalmente in questo viaggio straordinario, dove ognuno incontra il “suo” David Bowie. Naturalmente accompagnando con la musica corrispondente ogni tappa del percorso.
Difficile rimanere indifferenti di fronte al testo manoscritto di Rock’n’Roll Suicide, per citarne uno fra i vari esposti, dove si possono leggere le correzioni e le modifiche che hanno portato alla versione finale. Così come di fronte al costume indossato nel video di Ashes To Ashes, mentre quel video scorre a fianco, o alla tuta indossata durante la mitica puntata di Top Of The Pops del 6 luglio del 1972 (proiettata sullo sfondo su un megaschermo), ovvero la presentazione del nuovo singolo Starman (apparizione televisiva ricordata da una intera generazione come fonte di ispirazione e punto ideale di partenza delle scene artistico-musicali che da lì a poco avrebbero rivoluzionato l’Inghilterra).
Una citazione particolare merita l’ultima grande sala: una sorta di palcoscenico a 360 gradi con musica ad alto volume dall’acustica impeccabile, enormi video-wall dove scorrono immagini di concerti, manichini posti a vari livelli con altri costumi originali e un gioco di luci spettacolare creano una stupefacente full immersion multisensoriale nell’arte di David Bowie.
Questa sala è stata voluta dai curatori pensando che ogni visitatore giunto al termine dell’itinerario museale avrebbe avuto un solo desiderio: vedere David Bowie esibirsi. Avevano ragione.
La mostra è stata realizzata dal Victoria & Albert Museum di Londra nel 2013 (dove è stata vista da circa 1 milione e 400 mila persone), curata da Victoria Broackes e Geoffrey Marsh. Una mostra-tributo quindi, non commemorativa, come è stato sottolineato dagli stessi curatori, un onore che pochi artisti hanno avuto in vita. Vi sono esposti circa 300 oggetti provenienti per la quasi totalità dagli archivi personali di David Bowie e, così come è stata strutturata, “David Bowie Is” si pone ai più alti livelli di multimedialità oggi possibili, diventando una sorta di pietra miliare degli allestimenti museali contemporanei.
Un viaggio totalizzante nell’arte di David Bowie dal quale si evince sopra ogni altra cosa che David Robert Jones era un uomo culturalmente insaziabile e onnivoro che ha scelto la musica come mezzo di espressione principale, ma certamente non esclusivo: pittura, letteratura, teatro, cinema, arti grafiche e moda sono tutti campi che Bowie ha attivamente praticato e dei quali si è nutrito per le sue creazioni, elaborandoli e dando loro una forma nuova. Sempre e comunque all’avanguardia, a volte persino troppo presto.
Il buio che avvolge i visitatori nel percorso museale è squarciato continuamente dai colori che l’arte di David Bowie ha generato: i tanti costumi esposti, tutti iconici – alcuni di essi, da soli, hanno definito un’epoca – e le copertine dei dischi, esposte nella loro versione originale con gli studi grafici e fotografici che hanno portato alla loro definizione (la maggior parte dei disegni originali sono dello stesso Bowie), danno vita a un manuale di iconografia contemporanea. E ancora: oggetti personali, dipinti e testimonianze sotto varie forme di personaggi cardine nella sua storia: Lindsay Kemp, Kansai Yamamoto, Andy Warhol (che Bowie interpretò nel film “Basquiat” del 1996), Iggy Pop, Lou Reed, William Burroughs. A proposito di quest’ultimo, è esposta e descritta anche la tecnica di “cut up” che Bowie sviluppò in maniera personale e utilizzò in varie produzioni dopo esserne rimasto affascinato a seguito dell’incontro con Burroughs (da cui scaturì una memorabile intervista fra il musicista e lo scrittore pubblica il 28 febbraio del 1974 su Rolling Stones, intitolata “Beat Godfather Meets Glitter Mainman”).
La cuffia di cui ogni visitatore è fornito (inclusa nel prezzo e parte integrante del percorso) è il mezzo che permette di avere sia le informazioni che i pannelli informativi da soli non potrebbero dare, sia l’isolamento necessario per calarsi totalmente in questo viaggio straordinario, dove ognuno incontra il “suo” David Bowie. Naturalmente accompagnando con la musica corrispondente ogni tappa del percorso.
Difficile rimanere indifferenti di fronte al testo manoscritto di Rock’n’Roll Suicide, per citarne uno fra i vari esposti, dove si possono leggere le correzioni e le modifiche che hanno portato alla versione finale. Così come di fronte al costume indossato nel video di Ashes To Ashes, mentre quel video scorre a fianco, o alla tuta indossata durante la mitica puntata di Top Of The Pops del 6 luglio del 1972 (proiettata sullo sfondo su un megaschermo), ovvero la presentazione del nuovo singolo Starman (apparizione televisiva ricordata da una intera generazione come fonte di ispirazione e punto ideale di partenza delle scene artistico-musicali che da lì a poco avrebbero rivoluzionato l’Inghilterra).
Una citazione particolare merita l’ultima grande sala: una sorta di palcoscenico a 360 gradi con musica ad alto volume dall’acustica impeccabile, enormi video-wall dove scorrono immagini di concerti, manichini posti a vari livelli con altri costumi originali e un gioco di luci spettacolare creano una stupefacente full immersion multisensoriale nell’arte di David Bowie.
Questa sala è stata voluta dai curatori pensando che ogni visitatore giunto al termine dell’itinerario museale avrebbe avuto un solo desiderio: vedere David Bowie esibirsi. Avevano ragione.
ANGELA ZOCCO
Note:
L’audio della mostra è curato da Sennheiser, partner negli allestimenti.
“David Bowie Is” è stata portata in Italia da BPM concerti.
Credits: si ringrazia il Comune di Bologna e l’Ufficio Stampa del Mambo per la gentile disponibilità.
1. Striped bodysuit for the Aladdin Sane tour, 1973. Design by Kansai Yamamoto.
Photograph by Masayoshi Sukita
© Sukita / The David Bowie Archive
2. Publicity photograph for The Kon-rads, 1966.
Photograph by Roy Ainsworth
Courtesy of The David Bowie Archive
Image © Victoria and Albert Museum
3. Photo-collage by David Bowie of manipulated film stills from The Man Who Fell to Earth, 1975-6.
Film stills by David James
Courtesy of The David Bowie Archive
Film stills © STUDIOCANAL Films Ltd.
Image © Victoria and Albert Museum
9. Original photography for the Earthling album cover, 1997.
Photograph by Frank W Ockenfels 3
© Frank W Ockenfels 3
11. David Bowie, 1973. Photograph by Masayoshi Sukita
© Sukita / The David Bowie Archive
12. Print after a self-portrait by David Bowie, 1978
Courtesy of The David Bowie Archive
Image © Victoria and Albert Museum
13. Promotional photograph of David Bowie for ‘Diamond Dogs,’ 1974.
Photograph by Terry O’Neill
Image © Victoria and Albert Museum
15. Ice-blue suit, 1972. Designed by Freddie Burretti for the ‘Life on Mars?’ video
Courtesy of The David Bowie Archive
Image © Victoria and Albert Museum
16. Asymmetric knitted bodysuit, 1973. Designed by Kansai Yamamoto for the Aladdin Sane tour
Courtesy of The David Bowie Archive
Image © Victoria and Albert Museum
17. Red platform boots for the 1973 ‘Aladdin Sane’ tour
Courtesy of The David Bowie Archive
Image © Victoria and Albert Museum
18. Quilted two-piece suit, 1972. Designed by Freddie Burretti for the Ziggy Stardust tour
Courtesy of The David Bowie Archive
Image © Victoria and Albert Museum
Photograph by Masayoshi Sukita
© Sukita / The David Bowie Archive
2. Publicity photograph for The Kon-rads, 1966.
Photograph by Roy Ainsworth
Courtesy of The David Bowie Archive
Image © Victoria and Albert Museum
3. Photo-collage by David Bowie of manipulated film stills from The Man Who Fell to Earth, 1975-6.
Film stills by David James
Courtesy of The David Bowie Archive
Film stills © STUDIOCANAL Films Ltd.
Image © Victoria and Albert Museum
9. Original photography for the Earthling album cover, 1997.
Photograph by Frank W Ockenfels 3
© Frank W Ockenfels 3
11. David Bowie, 1973. Photograph by Masayoshi Sukita
© Sukita / The David Bowie Archive
12. Print after a self-portrait by David Bowie, 1978
Courtesy of The David Bowie Archive
Image © Victoria and Albert Museum
13. Promotional photograph of David Bowie for ‘Diamond Dogs,’ 1974.
Photograph by Terry O’Neill
Image © Victoria and Albert Museum
15. Ice-blue suit, 1972. Designed by Freddie Burretti for the ‘Life on Mars?’ video
Courtesy of The David Bowie Archive
Image © Victoria and Albert Museum
16. Asymmetric knitted bodysuit, 1973. Designed by Kansai Yamamoto for the Aladdin Sane tour
Courtesy of The David Bowie Archive
Image © Victoria and Albert Museum
17. Red platform boots for the 1973 ‘Aladdin Sane’ tour
Courtesy of The David Bowie Archive
Image © Victoria and Albert Museum
18. Quilted two-piece suit, 1972. Designed by Freddie Burretti for the Ziggy Stardust tour
Courtesy of The David Bowie Archive
Image © Victoria and Albert Museum