Intervista ad Antimo Magnotta il pianista con il mondo nel cuore.
Ciao Antimo, per cominciare diciamo a tutti chi sei.
Ciao, mi chiamo Antimo Magnotta, ho quarantaquattro anni e sono un musicista e scrittore di origini campane. Vivo a Londra da più di tre anni. Dopo il diploma di pianoforte e gli studi classici sono partito e ho girato mezzo mondo suonando a bordo di navi da crociera, alberghi e sale da concerto. Nel gennaio del 2012 ho vissuto un’esperienza drammatica a cui sono miracolosamente sopravvissuto. Ero imbarcato come pianista di bordo sulla nave Costa Concordia durante il naufragio all’Isola del Giglio.
Non amo far rivivere brutti momenti o far riaffiorare ricordi che turbino le persone ma visto che c’è comunque per te un lieto fine ti voglio chiedere se hai avuto, in quei momenti, paura di morire e se ti stavi accorgendo di ciò che stava accadendo agli altri.
La paura è un’anticamera buia che innalza il tuo stato di allerta. A mio avviso è normale e necessario avere paura e io ne ho avuta, come tutti quelli che erano sulla nave con me del resto. E’ importante però saperla gestire e reagire. Morire su quella nave era una possibilità non troppo remota e la paura di soccombere era un sentimento collettivizzato in quei momenti. Tutti hanno avuto paura di morire quando la Concordia si è piegata su di un lato e la gente è andata in panico. C’erano feriti e vittime, urla nel buio e rumori indescrivibili di parti metalliche della nave che si schiantavano.
Un luogo di svago diventa all’improvviso una trappola mortale per più di quattromila persone.
Un film dell’orrore senza effetti speciali.
Dopo questo episodio la tua vita è cambiata totalmente, non hai perso solo il lavoro, giusto?
Un episodio del genere lascia tracce indelebili nella memoria. Cambiano molte cose, cambiano i rapporti che hai col mondo, la tua percezione e sensibilità, cambia il tuo approccio alla vita e la considerazione che hai di essa. Ho perso molto, soprattutto il sonno, durante le fasi iniziali del post naufragio. Devi essere forte e rialzarti, altrimenti l’incidente diventa un tuo naufragio esistenziale. Dopo aver perso tutto, ho dato fondo alle mie risorse, quelle che non si separeranno mai da me: l’amore per mia figlia e la musica.
Sei andato a vivere a Londra ma non eri più seduto su uno sgabello, di cosa ti sei occupato?
Sono ripartito da zero a poco più di quarant’anni, senza un lavoro, senza una casa, senza soldi. Meno male che hanno inventato un mestiere che puoi farlo ovunque, il cameriere. E’ sono ripartito da quello, da un gradino molto tosto, lontano dai fasti della nave da crociera.
Quando la Costa Concordia ha urtato lo scoglio delle Scole all’Isola del Giglio, io sono stato sbalzato dallo sgabello mentre suonavo. Quella caduta mi è sembrata metaforicamente una cacciata dall’Eden. Uno sgabello e un pianoforte non ce l’avevo più. Ma avevo la mia vita e allora si riprende da quella. Sarebbe potuto anche andare diversamente.
E la musica? continuavi a sentirla dentro di te? Era ancora la tua fiamma di speranza?
La musica è la mia migliore espressione. Se senti che quella è la tua voce, non si fa il musicista, lo si è. E dentro c’è tutto.
Hai trovato comunque lavoro al Victoria & Albert Museum, non un locale qualsiasi…
Una società londinese che gestisce la ristorazione all’interno di importanti sedi museali inglesi mi ha assunto come cameriere. Tra le locations c’era il Victoria and Albert museum, dove sono stato assegnato.
Ma più che al Caso io credo nella Necessità. Non credo di essere capitato lì per caso, appunto.
Ma in sala c’era un pianoforte che ti guardava tutti i giorni, sentivi il suo richiamo?
Impossibile non riflettere sulla strana coincidenza che proprio lì ci fosse un pianoforte e non in altre locations di Londra dove sarei potuto capitare. Sono stato assegnato a quel museo molto probabilmente per una mia segreta volontà. Il pianoforte era lì, io lo suonavo mentalmente da lontano, vestito da cameriere. Dopo un po’ l’ho suonato sedendomici proprio di fronte e diventando il pianista residente del Caffè storico del Victora & Albert museum.
Com’è nata la tua passione per la musica?
Avevo sei anni quando ho chiesto ai miei di imparare a suonare il piano. Non ricordo bene, ma mi è stato detto che avevo visto qualcuno suonare in tv esprimendo il desiderio di fare la stessa cosa. E’ stato da sempre il mio linguaggio preferito. Suonare per esprimere me stesso senza parole. Poi sono venute anche quelle, tant’è che scrivo pure.
Da poco è uscito un tuo libro, vuoi parlarcene?
Il mio libro “Sette squilli brevi e uno lungo” (Edizioni Il Foglio) è una raccolta di racconti e di memorie dell’ultima settimana a bordo della Concordia. Sono stato sempre molto curioso e girare il mondo suonando il pianoforte non ha fatto che amplificare enormemente la mia attitudine a raccogliere storie, immagini, suoni e tutta la magia che vedo nel mondo. Lo faccio tutt’ora, infatti non esco mai di casa senza il mio taccuino di appunti, la mia piccola camera e quando posso un registratore.
Nel libro osservo il mondo dal mio privilegiato punto di osservazione, il palco dov’è posizionato il pianoforte, che chiamo il mio “balconcino privato sulla commedia umana”. E’ un’avventura che intraprendo insieme ad altri compagni di viaggio, inconsapevoli di un pericolo imminente che cambierà qualcosa nella vita di ognuno di noi.
Il mio libro è in corso di traduzione e presto diventerà un progetto molto più ampio.
Ora che non sei più a bordo di una nave da crociera, quanto ti manca non viaggiare così spesso?
Viaggiare è stata sempre una mia passione ma non mi manca tanto la peregrinazione fisica in sé. Vivo a Londra, un polo culturale di enorme importanza che mi da soddisfazioni incredibili e mi tiene ancorato qui per la maggior parte del tempo. Prima andavo personalmente alla scoperta del mondo adesso mi piace immaginare che, lavorando in un museo internazionalmente conosciuto e visitato da migliaia di persone al giorno, sia il mondo a farmi visita mentre continuo a suonare il pianoforte.
E poi basta considerare che a Londra c’è una rappresentanza di buona parte delle culture del mondo. Il quartiere dove vivo, Peckham, è tra le aree con la più alta diversità etnica del Regno Unito. Basta guardarsi intorno e osservare e il viaggio diventa un viaggio da fermo.
Questa esperienza ha cambiato il tuo modo di interpretare la musica?
Tutti cambiamo col tempo in maniera differenziata. Se poi hai un vissuto particolare la tua espressione si plasma alla tua esperienza. Dopo il naufragio la mia visione è diventata più intima e ne è nato un progetto musicale dal titolo “Inner Landscape”, paesaggio interiore per l’appunto. Una metaforica finestra che invece di aprirsi verso il mondo esterno, si apre all’inverso, rivelando un percorso diverso, una geografia emozionale inaspettata dentro di me.
E quanto questa esperienza ti ha cambiato come persona?
La mia identità non cambierà mai. Non l’ha cambiata il naufragio e non la cambia Londra. Mi sembra solo di avere più occhi, più orecchie, forse più cuore di prima.
Sei anche un compositore, inciderai qualcosa?
Col mio progetto originale “Inner Landscape” sono attualmente in cerca di un produttore. Finora ho preferito la performance dal vivo ma ora voglio che ci sia una testimonianza concreta della mia musica. Sto lavorando a diversi altri progetti, il più ambizioso è “ the Raphael Project”, una suite per pianoforte in sette movimenti ispirata ai sette quadri, cosiddetti “Cartoni”, di Raffaello Sanzio esposti al Victoria and Albert museum di Londra.
La performance prevede una mia personale interpretazione attraverso la musicalizzazione dal vivo delle opere del grande Maestro del Rinascimento italiano.
Daniele “DiKi” Di Chiara