FINISTèRE – Intervista al chitarrista Carlo Pinchetti
by tuttorock
21 Dicembre 2015
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Immersi nello spirito natalizio che affolla questa piccola serra in provincia di Varese ci sentiamo tutti un po’ più allegri e uniti dopo il live, sottovoce e quasi in segreto, dei Finistère. Mentre gente festeggia sdraiata su cuscini e tappeti stesi per l’occasione, io e Carlo ci mettiamo un attimo in disparte per fare quattro chiacchiere su questo progetto che sembra coinvolgere un dignitoso gruppo di ascoltatori.
Raccontaci un po’ com’è nato questo disco. Che approccio avete avuto?
Noi non siamo cantautori, ci piace fare canzoni pop, con testi pop.
La particolarità di questo disco è che la stesura è nata completamente da me e Matteo scrivendo canzoni e dicendoci che se ne sarebbe valsa la pena avremmo tirato dentro altra gente, per svilupparle meglio.
Arrivati intorno alla settimo pezzo abbiamo capito che c’era del buono, così abbiamo coinvolto altri membri nella band per finire un lavoro che di base aveva già una personalità molto forte sebbene abbozzato solo da due chitarre e due voci.
Ognuno ha una sua identità nel disco, com’è avvenuta la vostra ricerca sonora?
I nostri suoni sono certamente ricercati, ma non quanto quelli di una band psichedelica che li ricerca in maniera ossessiva e a ragione.Abbiamo fatto una selezione precisa ma volta a ricavare sonorità semplici.
Siamo partiti con in testa i Lemon Heads e i Dandy Warhols e abbiamo concluso con un disco che racchiude anche un po’ dei Travis e un po’ del rock anni 2000 come potevano essere gli Strokes in quel periodo. Pop, ma di qualità, tendenzialmente indipendente e in parte anglosassone.
Ascoltando il disco a primo colpo, il brano che risalta subito come classico singolo di lancio è Sabba, perché invece non l’avete ancora sfruttato?
Sono molto affezionato a quella canzone, se non altro perché il ritornello è roba mia ed ero gasatissimo di ciò. Di primo acchito, quando le canzoni erano solo una bozza, pensavamo potesse essere il primo singolo da lanciare, ma dopo i primi live in elettrico ci era sembrato non girare abbastanza e che fosse troppo bambinesco. Probabilmente c’è stata un’illusione collettiva, nata da una serata in cui non l’abbiamo suonata molto bene e da un mood più adulto che ci portava a metterla da parte. Non è la prima volta che qualcuno esprime un parere positivo su questo pezzo, sicuramente vedremo di riprenderlo.
E’ la settimana di Natale, andiamo incontro al 2016. Quali sono i progetti futuri?
Di sicuro non vogliamo fermarci, finché ci sono date noi suoniamo. Però cii siamo messi sotto a lavorare su quattro o cinque bozze, di cui una stupenda. Le dinamiche sono cambiate dal momento che si sono aggiunte altre due persone e il lavoro di stesura va separato tra il mio metodo di scrivere in solitaria e quello di Matteo che preferisce sperimentare e comporre in gruppo. Ci stiamo un attimo studiando, ma quando saremo sulla giusta direzione il disco uscirà in un attimo.
Conservi un ricordo in particolare di quest’anno passato? Una data, un aneddoto o momento preciso del tour?
Ogni data dei Finistère finisce sempre con gente che si rotola in terra, come è successo un attimo fa e persone che vanno avanti a suonare all’infinito, quindi siamo abbastanza dionisiaci come band. E’ sempre una festa ed è raro che non ci si diverta. A me hanno gasato tantissimo le prime due date di release del disco: la prima, all’Ohibò di Milano, eravamo carichissimi, c’era un sacco di gente e ci baciavamo sul palco; alla seconda, all’Edonè di Bergamo, in una sala piccolissima e con un impianto super abbiamo fatto il classico concerto sudato e pieno di gente. Oppure all’ A Night Like This di Chiaverano, un festival molto carino che abbiamo vissuto in camper, dormendo lì e girando il posto dopo la serata; la classica zingarata. A me piacciono molto le situazioni un po’ punk, un po’ club e un po’ pub, quindi questi sono alcuni dei ricordi più belli che conservo. La nostra fortuna è quella di avere molta gente che ci segue e sostiene, come al Leo Bar, quando eravamo di spalla all’Officina della Camomilla e Matteo aveva un braccio rotto per una caduta sulla neve. Dario, il chitarrista della mia vecchia band, ha imparato in una settimana tutte le parti di chitarra salvandoci la data e accompagnando Matteo sul palco che si divertiva col braccio ingessato.
Definiscimi, in una frase, chi sono i Finistère.
“Siamo io e Matteo che siamo riusciti a tirare in piedi questa cosa scrivendo belle canzoni, avendo al nostro fianco dei musicisti incredibili che in un attimo sono diventati parte della famiglia.”. Davanti a un primo scoglio, quando da due membri ci siamo allargati a quattro abbiamo trovato delle persone sono che diventate subito parte della famiglia. Quando se ne sono andati per motivi personali abbiamo trovato di nuovo altre due persone che hanno ritrovato immediatamente questo spirito di famiglia e legame. La figata dei Finistère è che siamo sempre noi quattro. Non cambia mai nulla nel mood o nello spirito di suonare e la storia si ripete, sempre.
Raccontaci un po’ com’è nato questo disco. Che approccio avete avuto?
Noi non siamo cantautori, ci piace fare canzoni pop, con testi pop.
La particolarità di questo disco è che la stesura è nata completamente da me e Matteo scrivendo canzoni e dicendoci che se ne sarebbe valsa la pena avremmo tirato dentro altra gente, per svilupparle meglio.
Arrivati intorno alla settimo pezzo abbiamo capito che c’era del buono, così abbiamo coinvolto altri membri nella band per finire un lavoro che di base aveva già una personalità molto forte sebbene abbozzato solo da due chitarre e due voci.
Ognuno ha una sua identità nel disco, com’è avvenuta la vostra ricerca sonora?
I nostri suoni sono certamente ricercati, ma non quanto quelli di una band psichedelica che li ricerca in maniera ossessiva e a ragione.Abbiamo fatto una selezione precisa ma volta a ricavare sonorità semplici.
Siamo partiti con in testa i Lemon Heads e i Dandy Warhols e abbiamo concluso con un disco che racchiude anche un po’ dei Travis e un po’ del rock anni 2000 come potevano essere gli Strokes in quel periodo. Pop, ma di qualità, tendenzialmente indipendente e in parte anglosassone.
Ascoltando il disco a primo colpo, il brano che risalta subito come classico singolo di lancio è Sabba, perché invece non l’avete ancora sfruttato?
Sono molto affezionato a quella canzone, se non altro perché il ritornello è roba mia ed ero gasatissimo di ciò. Di primo acchito, quando le canzoni erano solo una bozza, pensavamo potesse essere il primo singolo da lanciare, ma dopo i primi live in elettrico ci era sembrato non girare abbastanza e che fosse troppo bambinesco. Probabilmente c’è stata un’illusione collettiva, nata da una serata in cui non l’abbiamo suonata molto bene e da un mood più adulto che ci portava a metterla da parte. Non è la prima volta che qualcuno esprime un parere positivo su questo pezzo, sicuramente vedremo di riprenderlo.
E’ la settimana di Natale, andiamo incontro al 2016. Quali sono i progetti futuri?
Di sicuro non vogliamo fermarci, finché ci sono date noi suoniamo. Però cii siamo messi sotto a lavorare su quattro o cinque bozze, di cui una stupenda. Le dinamiche sono cambiate dal momento che si sono aggiunte altre due persone e il lavoro di stesura va separato tra il mio metodo di scrivere in solitaria e quello di Matteo che preferisce sperimentare e comporre in gruppo. Ci stiamo un attimo studiando, ma quando saremo sulla giusta direzione il disco uscirà in un attimo.
Conservi un ricordo in particolare di quest’anno passato? Una data, un aneddoto o momento preciso del tour?
Ogni data dei Finistère finisce sempre con gente che si rotola in terra, come è successo un attimo fa e persone che vanno avanti a suonare all’infinito, quindi siamo abbastanza dionisiaci come band. E’ sempre una festa ed è raro che non ci si diverta. A me hanno gasato tantissimo le prime due date di release del disco: la prima, all’Ohibò di Milano, eravamo carichissimi, c’era un sacco di gente e ci baciavamo sul palco; alla seconda, all’Edonè di Bergamo, in una sala piccolissima e con un impianto super abbiamo fatto il classico concerto sudato e pieno di gente. Oppure all’ A Night Like This di Chiaverano, un festival molto carino che abbiamo vissuto in camper, dormendo lì e girando il posto dopo la serata; la classica zingarata. A me piacciono molto le situazioni un po’ punk, un po’ club e un po’ pub, quindi questi sono alcuni dei ricordi più belli che conservo. La nostra fortuna è quella di avere molta gente che ci segue e sostiene, come al Leo Bar, quando eravamo di spalla all’Officina della Camomilla e Matteo aveva un braccio rotto per una caduta sulla neve. Dario, il chitarrista della mia vecchia band, ha imparato in una settimana tutte le parti di chitarra salvandoci la data e accompagnando Matteo sul palco che si divertiva col braccio ingessato.
Definiscimi, in una frase, chi sono i Finistère.
“Siamo io e Matteo che siamo riusciti a tirare in piedi questa cosa scrivendo belle canzoni, avendo al nostro fianco dei musicisti incredibili che in un attimo sono diventati parte della famiglia.”. Davanti a un primo scoglio, quando da due membri ci siamo allargati a quattro abbiamo trovato delle persone sono che diventate subito parte della famiglia. Quando se ne sono andati per motivi personali abbiamo trovato di nuovo altre due persone che hanno ritrovato immediatamente questo spirito di famiglia e legame. La figata dei Finistère è che siamo sempre noi quattro. Non cambia mai nulla nel mood o nello spirito di suonare e la storia si ripete, sempre.
CRISTIAN SALMISTRARO
Membri:
Matteo Griziotti – chitarre e voci
Carlo Pinchetti – chitarre e voci
Marco Brena – pelli e piatti
Pietro Trizzullo – basso
https://www.facebook.com/finisterivolta