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DANILO “Kakuen” SACCO – Intervista sul nuovo album “Gardé”

DANILO “Kakuen” SACCO – Intervista sul nuovo album “Gardé”

Ciao Danilo, complimenti per il disco e l’impegno, ma venendo a noi, sei partico con il rock a mille di Mellencamp e Petty, per finire al cantautorato, come è avvenuto questo cambiamento?
Grazie, è stato sofferto, ci abbiamo messo un poco, ma è andata bene. La fretta non è mai una buona consigliera, non serve fare un disco all’anno, ma registrarlo quando hai qualcosa da dire, soprattutto se hai la fortuna, come ho io, di avere una produzione che non ti mette fretta.
 
Sei anche uscito dal solito filone della musica italiana, dai soliti argomenti triti e ritriti che sono il classico filone di tantissimi dischi che escono in Italia.
Me lo auguro! Spero diventi anche un poco scomodo, sono storie accadute, cose poi di tutti i giorni, basta aprire un qualunque giornale per accorgersene. A livello di testi senz’altro, cerco nel mio piccolo di coniugare la mia anima rock con testi particolari, anche militanti volendo. Pensa che i miei più grandi amici sono Francesco Guccini e Massimo Bubola, nella vita ho imparato tanto, ma ho ancora da imparare moltissimo. In Italia abbiamo avuto i cantautori di gran lunga migliori del mondo, non vorrei che questa tradizione andasse a perdersi. Magari mi sbaglio, ma non vedo in questo momento una grande spinta verso il cantautorato, detto questo è bene ricordare che è un genere nel nostro dna, e spero di non essere io l’ultimo della stirpe. Per me è un grande onore essere definito un cantautore, definizione che pare vecchia, ma a me pare attualissima.
 
Hai fatto tour in ogni angolo del mondo, fino in Cile e Palestina, il posto più strano dove ti è capitato di trovarti?
Sono stati davvero tanti, Israele, Palestina, in India quando sono stato a Darhamsala, sono stati carissimi ed ho avuto la possibilità di conoscere una cultura bellissima, è stato un arricchimento notevole. Sono stato in Chiapas, un’altra esperienza meravigliosa.
 
Mi pare che sia stato particolarmente importante l’incontro con il Dalai Lama, fino a diventare Monaco laico Zen presso il Monastero Fu-Denji ed assume dal Maestro Taiten, il nome di Kakuen traducibile come Zingaro perfetto o Nomade nella polvere del vento.
E’ stata una cosa quasi immediata, io non ci pensavo, poi quando sono andato a Dharamsala a trovare il Dalai Lama, io non ci pensavo proprio, non ero minimamente buddista. Non mi ritenevo particolarmente interessato, poi invece dal ’95 mi sono interessato sempre di più, e con lo studio, con il tempo, ho compreso che ci ero dentro. Ho deciso di fare questo passo ed ora sono felice, questo si ripercuote nella tua vita e nel tuo lavoro, non perché prendi le cose con leggerezza, ma dando il giusto valore alle cose. La fama, il consenso sociale, sono cose che vanno e vengono, invece sono da rivalutare il valore dell’amicizia, della famiglia, del non mentire, del non sacrificare a qualunque costo, per la tua carriera, cose che sono importanti per te e la tua vita.
 
Fare il cantante in un gruppo storico come i Nomadi, che esperienza è stata?
Sono stati 20 anni straordinari, ho avuto la possibilità di viaggiare in giro per l’Italia, scoprendo le tantissime bellezze che abbiamo in questo paese. Comprendendo di vivere in paese unico e nemmeno ce ne rendiamo conto.
 
Una vittoria sanremese con il duetto assieme a Roberto Vecchioni, che impressione ti ha fatto il festival che è sempre al centro di elogi e critiche?
Ho fatto Sanremo tre volte, con i Nomadi, con Vecchioni e poi con Grignani e Irene Fornaciari; io mi sono molto divertito, è un’esperienza che rifarei volentieri. C’è chi lo ama e chi lo odia, ma resta il fatto che si tratta di una vetrina imperdibile.
 
I rapporti tra te e Guccini? Da quel annuncio a Musicultura ne hai preso il posto quale testimonial di una canzone di resistenza e protesta?
Da lui ho imparato tante cose che nemmeno all’Università ti insegnano, la sua capacità di scrittura, lui è una leggenda ed io non sono nessuno. Però ho imparato a scrivere in un certo modo, a modulare in un certo modo, parliamo di maestri e sarebbe un dramma perdere questi insegnamenti che, personalmente, cerco di portare avanti nel mio piccolo, anche se non sarò mai Francesco Guccini.
 
E con la protesta arriviamo ai giorni nostri ed a questo nuovo lavoro Gardé, dove il primo simbolo è quel Mimmo Lucano e tutto quello che rappresenta in termini resistenza e socialità. Che idea ti sei fatto della società italiana e come ti è nata l’idea di dedicare una canzone al sindaco di Riace?
Non è un problema, io ci sguazzo in queste cose, le critiche vanno benissimo purchè restino nei limiti dell’educazione e del buon gusto. Lo scambio di opinioni diverse è il pilastro della democrazia, ma ho sposato questa causa in cui ho creduto subito. Perlomeno lui ha proposto delle soluzioni, al contrario di gente che non lo fa mai e presenta solo problemi aspettando che siano altri a risolverli. C’è bisogno di gente che si esponga e non abbia paura, perché la paura è contagiosa.
 
Sul tema centrale si innestano alcune considerazioni, ad esempio come lo sport possa unire, vedi i casi Van Der Vesthuizen/Lomu e Owens/Long.
Lo sport è una metafora della vita, forse è la metafora della vita. Bisognerebbe sempre ricordare che lo sport è fatto di vittorie e di sconfitte, che sono due facce della stessa medaglia. Il voler vincere ad ogni costo, magari con disonore, non è poi gran cosa, ci vuole un’etica che oggi forse manca.
 
Non manca una parte dedicata alle donne, come vedi la situazione italiana in questo contesto?
Se ne parla tanto, se ne continua a parlare tanto, ma alla fine? Credo bisognerebbe partire dall’educazione, ai nostri figli, questa violenza è inaccettabile. Spero se ne parli ancora tanto, ma alla fine si trovi una soluzione, dobbiamo educare i nostri figli al rispetto, altrimenti avremo sempre problemi.
 
La canzone di lotta e protesta nel 2019 ha ancora forza e significato dopo i grandi movimenti rock che portarono al cambiamento negli anni 60/70?
Ci credo fermamente, perché penso sia proprio questo il momento di resistere, di tenere duro, ribadire che la vita non è facile, ma dobbiamo diventare più critici. Oggi gli italiani sono troppo acritici, credono a tutto quello che viene detto senza porsi il problema se sia vero o meno. Il rock ha questo compito, anche di raccontare la storia, indicare di andare a vedere quello che è veramente successo, come Owens e Long.
 
Ma Neil Zaza con cui hai collaborato nell’album?
Neil Zaza non è solo un grande chitarrista, ma una persona squisita di una educazione spettacolare. Collaborare assieme è stato meraviglioso, e sicuramente non è una cosa destinata a finire qua, lavoreremo ancora assieme.
 
Progetti futuri?
Il tour è iniziato il 22 febbraio, siamo sempre in giro, ho una band con cui giro, siamo in cinque in tutto, classica formazione rock, voce, chitarra, basso, tastiera, batteria.
 
Per chiudere, cosa ascolti al momento che trovi interessante?
Pensa che adesso sto ascoltando musica medioevale, e mi sto divertendo tantissimo.
 
MAURIZIO DONINI

Autore

Supervisore Informatico, Redattore della sezione Europa in un quotidiano, Opinionist in vari blog, dopo varie esperienze in numerose webzine musicali, stanco dei recinti mentali e di genere, ho deciso di fondare un luogo ove riunire Musica, Arte, Cultura, Idee. https://www.mauriziodonini.it