SUN KIL MOON – Live @ Laboratorio culturale I’M, Abano Terme (PD) 13-7-2016
by tuttorock
23 Luglio 2016
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Stasera non e’solo un concerto. Alcuni discorsi che sembrano non c’entrare con il live si stanno impossessando di me e del palco. Vuoi per i testi pregni di vicende profonde e vuoi per un sound incline alla riflessione.. be’ se m’impegno vedrete come stasera si parla anche di morte e loop sonori, di com’è la vita senza filtri ma con l’occhio di bue puntato contro.
Filtri. Si abbassano i riflettori, si accende stranamente la realta’. La velleita’ del descrivere la vita reale (o meglio umile e quotidiana) tramite l’atto artistico è cosa ardua e seducente perche’ comprensibilmente fallimentare ma in alcuni, lo sforzo di raccontare con questo stile, anche soltano il tentativo, ha portato a grandi vertici.
Loop. Se ne ha scritto anche un giornalista di Repubblica allora ho il pass per volgarizzare anche io. Penso all’uso dei “disse” nei racconti di R.Carver. Che uno dice -ma che valore possono avere?-Eppure se ne mette cosi’ tanti in quel miracolo che è il suo “di’ alle donne che usciamo” e scandisce tutti i suoi chirurgici dialoghi con quei –disse– concitati ad ogni personaggio, c’è di sicuro il volere di dare un preciso ritmo alla scrittura. Una tecnica che inconsciamente fa digerire quelle battute scarnissime e da la parvenza del vero. Non è la vita come viene, per quanto minimale ci sta mettendo del suo. Come fare un efficace montaggio (quasi assente) in una serie di difficili scene di un film. Ma se c’è tecnica c’è artificio. Non importa: realta’ e arte stanno entrando uno nell’altra in questo alto tentativo di odierna letteratura. Cosi’ potrei dire che questo concerto ha qualcosa di cinematografico: e’ un piano sequenza sulla vita di Mark Kozelek che fa il cantante folk.
Morte. Perche’ ascoltiamo cosi’ tanta musica triste? Chiede un ragazzo a fine concerto. Lui c’è finito per sbaglio ed e’ sconvolto. Il suo tanta significa anche –pesante- per come è composta. Penso la risposta sia semplice, la stessa nella mia testa e in tutti quelli che decidono di guardare a caso un film di M.Haneke o un Park Chan Wook, per i moltissimi lettori della buona letteratura, per i fruitori di musica classica e per la maggior parte delle opere d’arte. E’ tanta la musica che parla di morte e vendetta, la musica masochista, aggressiva, cacofonica o colma di spleen, non contiamo quanta alla fine si è stampata nelle nostre membra. Percio’ gente allegra che sia cosi’ triste o arrabbiata perdonatela, mira solo ad una forma di catarsi. Per prima quella dell’artista stesso. Solo la melodia pop ha altre velleita’.
Chissa’ perche’ le persone solari non riescono ad abbracciare l’oscurita’ mentre pare che l’altro mondo, quello d’inclinazione dark, debba dolentemente e obbligatoriamente partecipare al “fun” mondiale di cui sono fatti i concetti patinati (borghesi?) di famiglia, lavoro o futuro. Forse mi sto incarnando nella Daria dei cartoni animati.
Non penso sia un discorso da metallaro sfigato. Oddio forse sono un metallonzo e non me ne sono mai accorto? A proposito c’è qualcuno che fa la differenza nell’ultimo album dei Sun Kil Moon e, udite, e’ di area metal!
Profumo di rinnovamento quindi (non sto scherzando)e pollice in erezione per questo nuovo disco, proprio una figata di disco. Veramente post -nuclear-indie-folk. Forse c’è lo zampino del nuovo collaboratore, Justin Broadrick detto Jesu che regala filamenti elettro e nuove idee di chitarre apocalittiche e alla fine viene fuori qualcosa di appena meno moderno ma spanne sopra Zola Jesus e Chelsea Wolf, giovani e piu’ postate regine del contemporaneo pop doom.
E’ Un disco che ricordero’ quando pensero’ a Kozelek. Chi avrebbe scommesso su ‘sto ragazzotto? E invece arrivato dopo una ventina di album fra Red House Painters, Mark Kozelek solista e Sun Kil Moon negli anni zero, ha anche il coraggio di cantare meglio che mai questo suo ultraminimalismo che Carver lacrimerebbe.
Peccato solo che stasera delle chitarre di cui vi raccontavo e dell’elettronica non ce n’è manco l’ombra. Invece umbratile, la chitarra indossata non spessissimo da Kozelek, lo e’ rimasta e riesce a fare squadra con la parte melodica che e’ spesso incarnata da un piano bello limpido quanto inedito, poi c’è un basso efficacissimo che l’accompagna con quella batteria -col miglior suono di batteria in un piccolo locale che mi sia mai capitato- c’è steve shelley/Sonic Youth tanto per dire.
Non è uno spot se ringrazio gli attenti organizzatori Everywheregigs (per tutto) e il Laboratorio cult.I’m di Abano terme per il bel posto e l’acustica e penso a come sarebbe potuto essere il concerto se si fosse davvero fatto all’aperto nella cornice dell’anfiteatro naturale del monte Venda, sui colli Euganei, come dai piani pre pioggia.
Comunque anche qui e’ stato un concerto intensissimo, a tratti un po’ troppo noioso ovvio l’apocalisse è poco varia. D’altronde non puo’ essere altrimenti se il Capitano ha un carattere di merda, e’ risaputo, ed ha deciso come spesso fa, di non suonare il suo passato musicale. Passi per lasciarsi indietro la gloriosa e affascinante storia di un gruppo unico e commovente come i Red House Painters ma tirarsi fuori anche da quelle perle che ha scritto negli ultimi anni pare un po’ troppo. Ne risulta un live concentrato sull’ultimo Jesu/Sun Kil Moon ma senza particolari spunti strumentali come invece avveniva su disco. E’ tutto rivisto in stile Benji per capirci. Slow folk della migliore fattura a cui ci ha abituati fin troppo e lui che canta ispirato come e piu’ che nei dischi, fieramente logorroico.
Alcuni pezzi sono cover famosissime riviste in salsa Kozelek. Something Stupid (momento da crooner niente male), Over the rainbow (francamente fuori luogo). Meglio quando rifacevano gli AcDc. Comunque
non cambiano piu’ di tanto il mood della serata che parte come se Leonard Cohen facesse buona musica oggi, passa vicino alla sacralita’ dei Woven Hand (i post 16 Horsepower) per incontrare vicinissimo gli spettri dei migliori Black Heart Procession. Non c’è nessun disturbo d’instabilita’ dell’umore nella doppia personalita’ che emerge dal sound dei SKM, a volte sembrano gli American Music Club o l’ologramma di Mark Eitzel. Spesso mi vengono in mente anche i Bedhead.
Sfiora il rito sciamano questa serata per esorcizzare le feri(t)e di tutti. In verita’ a meta’ concerto e’ emersa anche una vena cool piu’ leggera, disposta fra jazz, echi di elegante prog e reading rappati alla Patti Smith.
Pare un gangsta Mark Kozelek. Giuro. Anzi non ho dubbi per la sua nuova carriera. Ne ho conferma quando in alcuni pezzi sprofondano nel soul, nei racconti sofferti: manca il sax senno’ si materializzerebbero i Morphine periodo The Night. Appunto che notte.
Si agita sempre Mark, non sa stare fermo. Spesso allunga le mani verso di noi o forse la band. Fa un gesto di reiterazione con la mano. Continuate, ci dice, non fermatevi anche se i pezzi superano di brutto i 5, 6 minuti. Ancora, fa alla sua ciurma. Sara’ che è un grande attore dello slowcore, saranno i ricordi di cui canta che gli tornano addosso ma lui continua imperterrito con quel ancora- andiamo avanti- qualsiasi cosa succeda come un vero Capitano di veliero e con quella grande mano che ora è la sintesi di tutta la sua musica e del nostro stato emotivo.
Chiude spesso gli occhi e canta con quella voce li’, quelle cose li’, cosi’ normali e tragiche. Li chiudo anch’io e mi concentro sui brividi che sto sentendo. Che serata, se solo il Capitano limitasse una certa logorrea e l’intransigenza di alcune scelte musicali. Si andrebbe ben oltre una semplice serata e il Nostro non sarebbe piu’ un comandante o un capitano ma un dio. Infatti noi pubblico questa notte ascoltandolo preghiamo per lui, preghiamo che continui a darci lentezza, morte, loop e tutta questa rara medicina sonora. Stasera forse, preghiamo fra di noi anche, che continui a fare musica per molto tempo ancora.
Pasquale Paz Scevola
http://www.sunkilmoon.com/godblessohio/
https://open.spotify.com/artist/4G0XDEk7RbA4BBCTs917U9
photo Dirk Haun https://it.wikipedia.org/wiki/File:Sun_Kil_Moon_Paris_2014.jpg
Filtri. Si abbassano i riflettori, si accende stranamente la realta’. La velleita’ del descrivere la vita reale (o meglio umile e quotidiana) tramite l’atto artistico è cosa ardua e seducente perche’ comprensibilmente fallimentare ma in alcuni, lo sforzo di raccontare con questo stile, anche soltano il tentativo, ha portato a grandi vertici.
Loop. Se ne ha scritto anche un giornalista di Repubblica allora ho il pass per volgarizzare anche io. Penso all’uso dei “disse” nei racconti di R.Carver. Che uno dice -ma che valore possono avere?-Eppure se ne mette cosi’ tanti in quel miracolo che è il suo “di’ alle donne che usciamo” e scandisce tutti i suoi chirurgici dialoghi con quei –disse– concitati ad ogni personaggio, c’è di sicuro il volere di dare un preciso ritmo alla scrittura. Una tecnica che inconsciamente fa digerire quelle battute scarnissime e da la parvenza del vero. Non è la vita come viene, per quanto minimale ci sta mettendo del suo. Come fare un efficace montaggio (quasi assente) in una serie di difficili scene di un film. Ma se c’è tecnica c’è artificio. Non importa: realta’ e arte stanno entrando uno nell’altra in questo alto tentativo di odierna letteratura. Cosi’ potrei dire che questo concerto ha qualcosa di cinematografico: e’ un piano sequenza sulla vita di Mark Kozelek che fa il cantante folk.
Morte. Perche’ ascoltiamo cosi’ tanta musica triste? Chiede un ragazzo a fine concerto. Lui c’è finito per sbaglio ed e’ sconvolto. Il suo tanta significa anche –pesante- per come è composta. Penso la risposta sia semplice, la stessa nella mia testa e in tutti quelli che decidono di guardare a caso un film di M.Haneke o un Park Chan Wook, per i moltissimi lettori della buona letteratura, per i fruitori di musica classica e per la maggior parte delle opere d’arte. E’ tanta la musica che parla di morte e vendetta, la musica masochista, aggressiva, cacofonica o colma di spleen, non contiamo quanta alla fine si è stampata nelle nostre membra. Percio’ gente allegra che sia cosi’ triste o arrabbiata perdonatela, mira solo ad una forma di catarsi. Per prima quella dell’artista stesso. Solo la melodia pop ha altre velleita’.
Chissa’ perche’ le persone solari non riescono ad abbracciare l’oscurita’ mentre pare che l’altro mondo, quello d’inclinazione dark, debba dolentemente e obbligatoriamente partecipare al “fun” mondiale di cui sono fatti i concetti patinati (borghesi?) di famiglia, lavoro o futuro. Forse mi sto incarnando nella Daria dei cartoni animati.
Non penso sia un discorso da metallaro sfigato. Oddio forse sono un metallonzo e non me ne sono mai accorto? A proposito c’è qualcuno che fa la differenza nell’ultimo album dei Sun Kil Moon e, udite, e’ di area metal!
Profumo di rinnovamento quindi (non sto scherzando)e pollice in erezione per questo nuovo disco, proprio una figata di disco. Veramente post -nuclear-indie-folk. Forse c’è lo zampino del nuovo collaboratore, Justin Broadrick detto Jesu che regala filamenti elettro e nuove idee di chitarre apocalittiche e alla fine viene fuori qualcosa di appena meno moderno ma spanne sopra Zola Jesus e Chelsea Wolf, giovani e piu’ postate regine del contemporaneo pop doom.
E’ Un disco che ricordero’ quando pensero’ a Kozelek. Chi avrebbe scommesso su ‘sto ragazzotto? E invece arrivato dopo una ventina di album fra Red House Painters, Mark Kozelek solista e Sun Kil Moon negli anni zero, ha anche il coraggio di cantare meglio che mai questo suo ultraminimalismo che Carver lacrimerebbe.
Peccato solo che stasera delle chitarre di cui vi raccontavo e dell’elettronica non ce n’è manco l’ombra. Invece umbratile, la chitarra indossata non spessissimo da Kozelek, lo e’ rimasta e riesce a fare squadra con la parte melodica che e’ spesso incarnata da un piano bello limpido quanto inedito, poi c’è un basso efficacissimo che l’accompagna con quella batteria -col miglior suono di batteria in un piccolo locale che mi sia mai capitato- c’è steve shelley/Sonic Youth tanto per dire.
Non è uno spot se ringrazio gli attenti organizzatori Everywheregigs (per tutto) e il Laboratorio cult.I’m di Abano terme per il bel posto e l’acustica e penso a come sarebbe potuto essere il concerto se si fosse davvero fatto all’aperto nella cornice dell’anfiteatro naturale del monte Venda, sui colli Euganei, come dai piani pre pioggia.
Comunque anche qui e’ stato un concerto intensissimo, a tratti un po’ troppo noioso ovvio l’apocalisse è poco varia. D’altronde non puo’ essere altrimenti se il Capitano ha un carattere di merda, e’ risaputo, ed ha deciso come spesso fa, di non suonare il suo passato musicale. Passi per lasciarsi indietro la gloriosa e affascinante storia di un gruppo unico e commovente come i Red House Painters ma tirarsi fuori anche da quelle perle che ha scritto negli ultimi anni pare un po’ troppo. Ne risulta un live concentrato sull’ultimo Jesu/Sun Kil Moon ma senza particolari spunti strumentali come invece avveniva su disco. E’ tutto rivisto in stile Benji per capirci. Slow folk della migliore fattura a cui ci ha abituati fin troppo e lui che canta ispirato come e piu’ che nei dischi, fieramente logorroico.
Alcuni pezzi sono cover famosissime riviste in salsa Kozelek. Something Stupid (momento da crooner niente male), Over the rainbow (francamente fuori luogo). Meglio quando rifacevano gli AcDc. Comunque
non cambiano piu’ di tanto il mood della serata che parte come se Leonard Cohen facesse buona musica oggi, passa vicino alla sacralita’ dei Woven Hand (i post 16 Horsepower) per incontrare vicinissimo gli spettri dei migliori Black Heart Procession. Non c’è nessun disturbo d’instabilita’ dell’umore nella doppia personalita’ che emerge dal sound dei SKM, a volte sembrano gli American Music Club o l’ologramma di Mark Eitzel. Spesso mi vengono in mente anche i Bedhead.
Sfiora il rito sciamano questa serata per esorcizzare le feri(t)e di tutti. In verita’ a meta’ concerto e’ emersa anche una vena cool piu’ leggera, disposta fra jazz, echi di elegante prog e reading rappati alla Patti Smith.
Pare un gangsta Mark Kozelek. Giuro. Anzi non ho dubbi per la sua nuova carriera. Ne ho conferma quando in alcuni pezzi sprofondano nel soul, nei racconti sofferti: manca il sax senno’ si materializzerebbero i Morphine periodo The Night. Appunto che notte.
Si agita sempre Mark, non sa stare fermo. Spesso allunga le mani verso di noi o forse la band. Fa un gesto di reiterazione con la mano. Continuate, ci dice, non fermatevi anche se i pezzi superano di brutto i 5, 6 minuti. Ancora, fa alla sua ciurma. Sara’ che è un grande attore dello slowcore, saranno i ricordi di cui canta che gli tornano addosso ma lui continua imperterrito con quel ancora- andiamo avanti- qualsiasi cosa succeda come un vero Capitano di veliero e con quella grande mano che ora è la sintesi di tutta la sua musica e del nostro stato emotivo.
Chiude spesso gli occhi e canta con quella voce li’, quelle cose li’, cosi’ normali e tragiche. Li chiudo anch’io e mi concentro sui brividi che sto sentendo. Che serata, se solo il Capitano limitasse una certa logorrea e l’intransigenza di alcune scelte musicali. Si andrebbe ben oltre una semplice serata e il Nostro non sarebbe piu’ un comandante o un capitano ma un dio. Infatti noi pubblico questa notte ascoltandolo preghiamo per lui, preghiamo che continui a darci lentezza, morte, loop e tutta questa rara medicina sonora. Stasera forse, preghiamo fra di noi anche, che continui a fare musica per molto tempo ancora.
Pasquale Paz Scevola
http://www.sunkilmoon.com/godblessohio/
https://open.spotify.com/artist/4G0XDEk7RbA4BBCTs917U9
photo Dirk Haun https://it.wikipedia.org/wiki/File:Sun_Kil_Moon_Paris_2014.jpg