IL TEATRO DEGLI ORRORI – Live @ I Candelai Palermo 24-3-2016
Il Teatro degli Orrori sono poetici.
24 marzo, Palermo, i Candelai. Mentre il giovedì Santo “impazza” in città, rendendo al Cristo la fama che John Lennon ha avuto per un quarto d’ora, davanti allo storico locale Palermitano c’è una fila che si snoda per mezzo quartiere. Azzurra (De Luca) sgomita alacremente per guadagnare una posizione consona allo svolgimento del suo abile lavoro. Il concerto inizia, ma io non voglio parlarvi di questo. Non questa volta. Chi ama il rock italico ben conosce le canzoni del sestetto veneto e mi sembrerebbe una perdita di tempo descrivervi pezzo per pezzo cosa succede sul palco. Per raccontare una tela di Picasso non si può usare una sola visuale, va spezzata. I punti di vista si devono intersecare per restituire la giusta visione d’insieme del soggetto.
E allora mi voglio soffermare, una volta tanto, su cosa succede attorno al palco. In fondo un concerto è anche questo! Sulla destra, in posizione buia, lavorano un tecnico di palco, con la felpa vergata dal logo della band e un fonico che pare la copia sputata di Ben dei Fantastici Quattro, prima della trasformazione in La Cosa. Perché soffermarmi proprio su di loro? Perché mi ha colpito enormemente la gioia che avevano di lavorare per questa band. Pieni d’entusiasmo si sono cantati i pezzi uno ad uno, interagendo proattivamente con la line up ad ogni più piccola esigenza e quando partono i ritornelli più “pompati” li vedi lì, nelle loro posizioni, che quasi “pogano” su quell’orgia di parole e note. La mente mi è andata per contrappasso al 99% dei fonici che ho conosciuto e che ho visto lavorare in questi quasi 30 anni di musica… ecco, non c’entrano nulla! Magari non li ha notati nessuno, ma al sottoscritto hanno trasfuso un entusiasmo fuori dal normale.
Giro lo sguardo a sinistra. Di fronte al palco c’è una folla di ragazzi festanti. Ho davanti tutta la bellezza che si può desiderare. Si salta, si poga, si suda. Qualche raro telefonino, spunta da quel tappeto di energia pulsante, per rubare un momento di ciò che intanto si sta svolgendo sul palco. Sulla balconata, chi vuole fruire dello spettacolo in maniera più comoda, muove comunque la testa ed il corpo a tempo, forse è davvero impossibile da non farsi, stasera. I laser impazzano, trovo posto su una specie di scranno sulla destra e mi godo questo spettacolo come fossi in un museo, seduto, che so, davanti a “La colazione dei Canottieri” di Renoir, dove ciascuno dei personaggi è intento a fare qualcosa e pure tutti fanno parte del quadro. Grande merito alla sinergia delle varie crew che hanno organizzato l’evento: Fat Sound, db Produzioni, Emmelab, i Candelai e MOB Palermo, realtà importanti, quando si vuole vedere in città qualcosa di diverso e ben organizzato.
Dalla mia postazione intravedo la band. PierPaolo (Capovilla) è asciutto, stringato, questa sera. Le sue presentazioni non sono arringhe e non sfociano in comizio, come in passato gli ho visto fare più di una volta. Lo spettacolo ne guadagna enormemente. Si limita a spiegare, ad interagire con misura, divertendosi e facendo divertire. Si vede che è in forma, che ha ancora tanta voglia di suonare. Il suo sguardo è un puntatore. Che magnifico “testone” che è. Lo vedi, nelle parti strumentali, appoggiarsi ad un pilastro del palco, a godersi il gesto estetico di una sigaretta. Ruffiano, maledetto, nostalgico, sofferente, masochista… chi può dirlo?! Il disagio dell’uomo alcune volte è palese. Quello rispetto, profondamente. Se è vero che Manuel Agnelli è forse l’unico rocker italiano, davanti ho l’ultimo esponente di una razza in estinzione: un animale da palco, in grado di spezzare a piacimento la linea di fuoco tra pubblico e suonatori, di animare e plasmare a suo piacimento un pubblico che pende dalle sue labbra e lo incita o lo massacra, come fosse uno dei tre sul Calvario, scegliete voi quale. Ai suoi lati, i “compagni di merende” menano come forsennati. Sulla destra Gionata Mirai con la sua fida Les Paul mancina ed il solito, granitico, Giulio Favero sulla sinistra. L’acustica de i Candelai, in verità, penalizza un po’ il suono della band che, avendo volumi importantissimi, satura l’antro in cemento dove soprattutto le frequenze basse se ne vanno un po’ per conto loro, ma il suo suono è quello, sempre più slabbrato, sempre più compresso e il suo Jay Dee, non suona… tuona!
La “difesa” si schiera a tre con Marcello Batelli alle chitarre, un Kole Laka in versione Balboa (con tanto di mezzi guanti e cappello da riscossore di debiti vecchio stile) e da un Franz (Francesco Valente) sempre più ordinato, sempre più “flashato”, ed è una vera sorpresa vederlo ad un certo punto animarsi, alzarsi, come se glielo avessero comandato in spia ed arrivare al proscenio distribuendo high five, bacchette e sorrisi a tutti. Su Valente mi piacerebbe soffermarmi un attimo in più. In formazione con gli One Dimensional Man (dai, lo diciamo, il mio gruppo italiano preferito), in formazione con Il Teatro degli Orrori… lo avrò visto almeno una ventina di volte suonare e, nonostante tutti lo celebrassero sempre, continuavo a percepirlo come esanime, freddo… e invece ieri ha dato a tutti un esempio di come si possa crescere con l’applicazione e la costanza e non temo smentita nell’affermare che il “giovinastro” è ora uno dei migliori batteristi di genere che io abbia mai visto suonare. La sua regolarità metronomica, accompagnata alla potenza di un suono davvero notevole (dato anche dal set “fuori scala” che ha scelto), lo portano davvero a livelli alti, ma alti alti, di drumming minimale e diretto, come un pugno in faccia si vuole che sia.
Il concerto è bello. La rilettura del Padre Nostro, A Sangue freddo, sono pezzi importanti della bistrattata storia del nostro rock, volutamente relegata ormai a fenomeno di nicchia. Gli inserti noise, mirabilmente eseguiti, i cambi di dinamica e il rilancio di un post rock d’autore che sfodera con un po’ di ingenuità lo stupore autoindotto nel riscoprire quell’immenso gruppo che sono stati gli Slint, ci arrivano come segnali di un rinascimento lontano a venire, ma che, nonostante tutto, in giro ci sia ancora tanta eleganza, e almeno questa sera possiamo godere di uno degli ultimi nichilisti in circolazione, il frontman di questa band che tanto avevo amato ai suoi esordi e che credevo un po’ persa… “Tanta roBBa, zio… Tanta roBBa!”
MASSIMILIANO AMOROSO
Photoset by AZZURRA DE LUCA
Credits: si ringrazia Fleisch Agency per la gentilissima disponibilità e la perfetta organizzazione dell’evento.
Pierpaolo Capovilla – voce
Francesco Valente – batteria
Gionata Mirai – chitarra
Giulio Ragno Favero – basso
Marcello Batelli – chitarra
Kole Laca – tastiere
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Massimiliano Amoroso, architetto e bassista elettrico. Cresciuto alla corte di alcuni dei più grandi produttori italiani (Franco Patimo, David Lenci, Rob Ellis, Matteo Cifelli, Alessandro Sgreccia, Paolo Mauri, Daniele Grasso), nel tempo ha proposto, in veste di fondatore e songwriter, bands alternative-rock quali Betty Ford Center (oggi Betty Poison), Milk White, Bye Bye Japan, Electro Malicious ed altri. Con queste formazioni ha vinto oltre quindici Premi Nazionali, tra i quali Heineken Jammin’ Festival e Red Bull Tourbus, ed innumerevoli piazzamenti di prestigio (Finalista Tour Music Fest, Sanremo Rock, etc). Le stesse formazioni vantano aperture ai maggiori artisti internazionali (Jamiroquai, Yann Tiersen, Glasvegas, etc) ed a moltissimi artisti della scena nazionale (Elio e le storie tese, Linea 77, Tre allegri ragazzi morti, 24 Grana, Super Elastic Bubble Plastic, Piotta, Frankie HI NRG, 99 Posse, etc). Con le sue band si esibisce in numerosi festival (Neapolis, Home Festival, etc) ed in passato si esibisce con regolarità anche all’estero (Francia, Olanda, Belgio, Germania, etc). La sua musica è stata recensita dai principali magazine nazionali (Rolling Stone, Rumore, Raro, Rockerilla, Repubblica, etc) e frequentemente viene passata nei network nazionali (Radio Rai, Rai Stereo, Rai 3, R101, Rock Tv, etc). Da qualche anno collabora con diverse redazioni di siti musicali fra cui TUTTOROCK