GREEN DAY “Revolution Radio Tour” – Live @ Pala Alpitour, Torino 10-1-20 …
I tre ragazzi di Oakland (viene spontaneo chiamarli ancora così anche se a guardar bene il buon Billie, classe ’72, non è più un adolescente) salgono sul palco con una scenografia in apparenza minimale ma molto ben congegnata, e si inizia subito a mille con Know Your Enemy, che ci stupisce con effetti speciali di fuochi d’artificio e fumo, ma anche per la partecipazione del pubblico; fra salti e giochi di prestigio con la chitarra, Billie invita subito sul palco una fan per cantare insieme e godersi l’emozione di uno stage diving dal palco della sua band preferita. Il secondo posto viene riservato al primo singolo di Revolution Radio, Bang Bang, e il terzo all’omonima title track del nuovo disco, molto catchy per i suoi riff e un ritornello in puro stile Green Day, sottolineato da vampate di fuoco. Poi si torna indietro al 2004 per Holiday (è già passato così tanto tempo?), pezzo incredibilmente ancora fresco in sede live nonostante le migliaia di ascolti in radio, abbellito da un piccolo solo di basso di un Mike Dirnt decisamente in forma e pronto a prendersi la sua parte di applausi. Ma è Billie, invariabilmente, a fare da mattatore di questa serata, e in Letterbomb fa sciogliere i fan abbigliandosi di una bandiera italiana preparata in loro onore e dichiarando che “tonight we have each others, even if there are so many bad things going on in the world”, fra cui ricorda l’elezione di Trump (“Who is NOT my president!”). La frase “We have freedom in Torino!” apre un lungo singalong, concluso fra salti e lanci di bacchette da parte di Trè Cool, artefice di un’ottima prova dietro le pelli. Cambio di scenografia per una versione acustica di Boulevard of Broken Dreams, in cui Billie si inginocchia sul palco e alla fine si accascia “morto” per poi ringraziare il pubblico e ripartire in quarta con Youngblood. Un brano nuovo ma forte di una schitarrata old school, per la quale si apre un altro momento di comunione con il pubblico, quando Billie chiede a una fan se conosce il testo e sa suonare la chitarra (e anche quante birre ha bevuto) e la fa salire per entrare a far parte dello show, concludendo anche lei con un bel stagediving. Welcome to Paradise arriva diretta dai primi anni Novanta e ci abbaglia con le sue luci (ultraterrene?) e il breve guitar solo. Brain Stew è anch’essa un estratto di quegli anni e ne risente con il suo stile quasi grunge, fra duri riff di chitarra e una batteria potente e molto presente, addolcito però dall’autoironia di Billie, che finge pose da macho fra un salto e l’altro. Con Jaded c’è un minuto e mezzo di pura follia, in cui succede di tutto, fra innaffiate al pubblico, capovolte, recite di presunta vecchiaia, tutto al grido di “let’s go crazy”, oppurtunamente bilanciato dalla successiva Christie Road, arpeggiata al buio sulla prima chitarra di Billie, regalatagli dalla madre a 10 anni, e contenente una buona dose di tematiche giovanili (“Give me something to do to kill some time/Take me to that place that I call home/Take away the strains of being lonely/Take me to the tracks at Christie Road”). In Scattered viene anche il momento di esaltare Jason White, storico turnista della band, e ora vero e proprio quarto componente del trio. I successivi brani classici della band (Hitchin’ a ride, Waiting, Are we the Waiting, St. Jimmy) vengono accolti fra l’entusiasmo crescente del pubblico, che culminerà in una epica Basket Case. Lo spettacolo si fa più vario con l’arrivo sul palco del sassofonista Jason Freese, già collaboratore dei Green Day nei tour precedenti, che dà vita a uno show nello show fra duetti con l’armonica di Billie e solos di sax. Si apre un momento buono per le cover, e la platea segue di slancio Billie in una sorta di fantasioso medley fra Shout/Always look on the bright side of life/Satisfaction/Hey Jude, cantato interamente da terra, fra le risate. Momento più lirico con Still Breathing, cantata a gran voce dal pubblico e conclusa sotto una pioggia di fuochi d’artificio.
C’è ancora tanta voglia di pogare nella platea, e verrà soddisfatta abbondantemente con When I come Around e Forever Now, terminata in una raffica di palle di fuoco. Breve pausa prima di un lungo bis, e si continua a saltare con American Idiot e con una stupenda Jesus Of Suburbia, probabilmente il brano più riuscito e personale di sempre della band. Finale acustico, che introduce nella scaletta Ordinary World, dal nuovo album, a fianco della eterna ballad Good Riddance, suonata e cantata da Billie, nel palco ormai vuoto, illuminato da un singolo faro bianco, davanti a un pubblico ormai al massimo della commozione.
Un grandissimo inizio per questo tour mondiale; una band forse da tanti sottovalutata ed etichettata come rock adolescenziale; senz’altro figlia degli anni Novanta, ma capace di emozionare e convincere appieno live. Grintosi, mai stanchi, coinvolgenti a 360 gradi, con un frontman, Billie Joe, istrionico, autoironico, sicuramente un po’ ruffiano, ma veramente innamorato del pubblico e dei suoi fan. Se ci fosse ancora un biglietto disponibile per le prossime date italiane, prendetelo. Non ve ne pentirete.
IRENE DOGLIOTTI
Photoset by MARCO COMETTO
Credits: si ringrazia ParcOlimpico Torino e Live Nation per la gentilissima disponibilità e la perfetta organizzazione dell’evento.
Know your enemy
Bang Bang
Revolution Radio
Holiday
Letterbomb
Boulevard of Broken Dreams
Youngblood
Welcome to Paradise
Brain Stew
Jaded
Christie Road
Scattered
Hitchin’ a ride
Waiting
Are we the Waiting
St. Jimmy
Basket Case
She
King for a Day
Shout/Always look on the bright side of life/Satisfaction/Hey Jude
Still Breathing
When I come around
Forever now
Encore:
American Idiot
Jesus of Suburbia
Ordinary World
Good Riddance (Time of your life)
Formazione:
Billie Joe Armstrong – voce, chitarra, pianoforte, armonica
Mike Dirnt – basso, cori
Tré Cool – batteria, percussioni, cori
Jason White – chitarra, cori
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