“Che cosa dicono le canzoni?” Intervista ad Antonio Palumbo
In occasione dell’uscita dell’ EP “Che cosa dicono le canzoni?” Abbiamo intervistato il cantautore Antonio Palumbo
Buongiorno Antonio e benvenuto tra le pagine virtuali di Tuttorock! Ti va di raccontarci in breve la tua ascesa musicale, dall’esordio con il progetto italiano neo-folk ‘Nebel’, alla tua carriera solista?
È una storia lunga, per fortuna. I Nebel sono stati la mia prima e unica band, il progetto è durato 6 anni, abbiamo fatto tantissimi live in Italia ed Europa, due dischi…ancora oggi incontro persone che sono state toccate dalle nostre canzoni ed è una cosa bellissima.
Finito questo progetto ho trascorso una fase ibrida, per 4 o 5 anni ogni tanto facevo un live, scrivevo qualche canzone… ma ci è voluto tempo per trovare la sicurezza di fare musica da solo. Nel 2017 ho autoprodotto il mio primo EP “Altaguardia” e da lì non mi sono più fermato.
Nel tuo ultimo EP poni un interrogativo interessante, ovvero: “che cosa dicono le canzoni?” Durante la realizzazione sei riuscito a trovare una risposta definitiva a questa domanda?
Era una domanda, poi è diventata un’affermazione, ma in generale la risposta definitiva non c’è, è una soluzione solo temporanea. In questo momento le mie canzoni parlano di età adulta, di compromessi, di sogni infranti, di amore e di mancanze. Ma questo è quello che ci sento io dentro, la cosa bella della musica è che ognuno riesce a leggerci dei significati personali e sempre in evoluzione.
I tuoi brani affrontano tematiche impegnative come quelle della crescita individuale, step da cui siamo passati tutti: sentimenti come la noia o la fatica di condurre un’esistenza c.d “adulta”, arrivando fino alla mancanza di compromessi. Rimanendo in tema, hai mai avuto il sentore che la tua carriera musicale ti abbia costretto a prendere delle decisioni difficili?
Scegliere di lasciare andare definitivamente i Nebel è stata sicuramente una decisione sofferta, che mi ha messo di fronte a quella che all’ epoca mi sembrava una questione immensa: avrò le forse, le risorse, la creatività, la capacità di fare musica da solo? Ci è voluto tempo per sentirmi sicuro, ma per fortuna non ho mollato.
Ci sono compromessi a cui non scenderesti mai?
Non si è mai presentata l’occasione e non ci ho mai pensato.
Nell’ EP sembri esplorare nuovi orizzonti sonori spaziando su generi differenti come l’elettronica, il lo-fi e il dream pop. Com’è stato il processo di creazione di questo lavoro e in che modo si differenzia dal tuo passato musicale?
Questo disco è nato a fasi: nel periodo della scrittura ho cercato di evitare di utilizzare la chitarra e ho composto usando per la prima volta beat, synth e loop. Quando sono passato alla produzione e ho trovato Edoardo Romano mi sono affidato completamente a lui per quanto riguarda l’espansione di quel sound che c’era in partenza. La differenza maggiore sta nell’ uso dell’ elettronica. Se da un lato abbiamo sperimentato di più con il sound e i generi, dall’ altro i brani sono molto immediati.
Quali generi musicali ti piacerebbe esplorare in futuro?
Vorrei continuare a mescolare le carte, a inglobare influenze e stilemi, e soprattutto a unire suoni acustici ed elettronici.
Quali sono i brani di cui vai più fiero?
Mario è il mio pezzo preferito, Edo è stato bravissimo: gli avevo dato solo una linea di piano e la parte vocale e lui ha costruito questo crescendo elettronico che è insieme malinconico, speranzoso e liberatorio.
Parli spesso di Edoardo Romano, com’è stato averlo alla produzione?
È stato fondamentale: ha compreso perfettamente dove volevo andare, in generale non ha mai stravolto l’idea iniziale di un brano ma ha preso l’essenza delle singole canzoni e le ha fatte sbocciare.
Sono molto incuriosita dalla tua dichiarazione: “ho iniziato a scrivere questi brani per vedere se ero ancora capace di farlo. Era un periodo in cui mi sembrava di non capire più la musica”. Quali sono le cause che ti hanno portato a sviluppare questa consapevolezza critica?
Quanto tempo abbiamo? [Ride] . C’è stato un momento in cui ho proprio perso il grip sulla musica contemporanea, forse semplicemente perché sono cresciuto, per non dire invecchiato. E questo mi è sembrato un problema per la mia produzione artistica: come faccio a fare musica se non capisco più come si fa? Per fortuna sono riuscito a slegare l’arte dall’ industria, e ho ritrovato nella musica il mio spazio di libertà.
C’è stato un episodio in particolare che ti ha spinto a riprendere in mano la penna e tornare in studio?
Non ho scritto, suonato, cantato per un periodo lunghissimo, forse era un esperimento inconscio per capire quanto potevo resistere. Alla fine la spinta è arrivata da sola, da dentro, è maturata fino a che non poteva fare altro che venire fuori.
Durante questo stop forzato, hai sentito la mancanza della musica oppure consideri la tua come una “pausa di riflessione” e rielaborazione che ti ha portato a ripartire con nuove idee?
Durante la pausa pensavo fosse sbagliato, mi sentivo in colpa, mi sembrava di perdere tempo e occasioni. In realtà ora ho capito che questa dinamica fa parte del mio approccio creativo: nella mia testa c’è sempre musica, costantemente. Sta lì, si infila negli anfratti, si sedimenta, cambia finché non arriva il momento di prendere forma al di fuori di me.
“Che cosa dicono le canzoni” può essere considerato l’EP di svolta, quello in grado di darti la motivazione necessaria a rafforzare la tua sicurezza interiore, fornendoti un approccio ottimista con cui guardare al futuro con una rinnovata fiducia ed energia positiva?
Queste canzoni mi hanno restituito un entusiasmo che non sentivo da tempo, e anche la risposta delle persone mi ha stupito. Sicuramente questo contribuisce a darmi slancio e motivazione, ho molte idee per la testa e spero di continuare così.
Come immagini la tua carriera da qui a dieci anni? Che traguardi prevedi di raggiungere?
Vorrei fare almeno un altro disco e un tour – cosa che non ho mai fatto. Vorrei continuare a sentirmi libero di fare musica fino a che ne avrò voglia.
SUSANNA ZANDONÀ
Better known as Violent Lullaby or "The Wildcat" a glam rock girl* with a bad attitude. Classe 1992, part-time waifu e giornalista** per passione. Nel tempo libero amo inventarmi strambi personaggi e cosplay, sperimentare in cucina, esplorare il mondo, guardare anime giapponesi drammatici, collezionare vinili a cavallo tra i '70 e gli '80 e dilettarmi a fare le spaccate sul basso elettrico (strumento di cui sono follemente innamorata). *=woman **=ex redattrice per Truemetal