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Una fugace visita in un “Albergo a Ore” – Intervista a Caroline Pagani

Una fugace visita in un “Albergo a Ore” – Intervista a Caroline Pagani

In occasione dell’uscita del singolo “Albergo a Ore” abbiamo intervistato la meravigliosa Caroline Pagani, attrice, autrice e drammaturga che a novembre uscirà con l’album dedicato al fratello, Herbert.

“Albergo a ore” è un brano interpretato da molti autori italiani: Milva, Ornella Vanoni, Marcella Bella, Gino Paoli, Antonella Ruggiero… ognuno con un peculiare approccio che lo rende totalmente personale. Come descriveresti il tuo?

Teatrale, drammatico, empatico, umano, caldo, avvolgente, amorevole.

L’armonia conserva invariata la trama amore / morte di un film neorealista in bianco e nero. Questa commistione di elementi retrò evocano la voce di Edith Piaf in “Les Amants d’un jour” (1956). Non credi che questo struggimento, quello che i filosofi tedeschi definirebbero “Sehnsucht”, sia in forte opposizione con il sentimento che impregna la nostra epoca?

Sarà forse in opposizione, ma c’è, la Sehnsuht esiste, c’è sempre, ci appartiene, fa parte di noi. Io sentivo di doverla interpretare così, con tinte nostalgiche, a tratti cupe, anche con un velo di rabbia, alla fine, per due che si suicidano quando comunque il loro amore è ricambiato, anche se ufficialmente con altri partner, non è poco, è già molto, essere ricambiati, anziché interpretarla con un distacco opaco del tempo… o parlottandola, le parole sono perle. O pensando solo ed esclusivamente a un’esecuzione tecnica, che non emoziona.
Ci si strugge sempre per qualcosa, soprattutto per amore, in qualunque epoca.
C’è forse dolore o struggimento maggiore di un amore non ricambiato? Che sia fra amanti o genitori e figli o anche fra amici? Tutti vogliamo essere amati, nella maggior parte delle relazioni umane, e la mancanza d’amore o l’impossibilità di vivere un amore possono essere fonte di un dolore che strugge.

Attraverso il canto non ti soffermi solo a descrivere lo scenario dell’albergo e a raccontare oralmente un fatto accaduto (realmente o no), ma fai addirittura emergere la personalità della cameriera con le sue sfaccettature e il corollario di espressioni popolari, perfettamente attinenti al ruolo. Si percepisce con molta chiarezza la perdita del confine netto tra la tua persona e il personaggio che stai interpretando. L’impostazione drammaturgica traspare in maniera evidente nel tuo curriculum vitae, ma possiamo dire che tu abbia impiegato un approccio “attoriale” anche per prepararti alla registrazione e calarti totalmente nella parte? 

Cantare è raccontare, far accadere, far rivivere, far vedere, come recitare, e soprattutto porgere al pubblico, all’ ascoltatore, che è parte dell’opera e di questo processo. Non si canta né si recita per sé, ma sempre per qualcuno.
Certo, ho impiegato un approccio attoriale perché sono prima di tutto un’attrice e “Albergo a ore” è un pezzo di teatro, non avrebbe nemmeno bisogno della musica, nello spettacolo la canto a cappella, nelle canzoni cantautoriali la parola è regina, e la sua interpretazione. La tecnica serve, è necessaria, ma senza interpretazione ed emozione rimane una forma vuota, fine a se stessa, che non comunica.

La canzone non è più – dunque – un formato audio digitalmente compresso, ma l’aria di un’opera teatrale che in un tempo estremamente limitato (tre minuti e cinquanta), riesce a smuovere emotivamente l’ascoltatore. Dal tuo punto di vista ci sarebbe altro da aggiungere a questa storia o reputi “Albergo a ore” un brano finito?

Aggiungerei un ‘oltre’ dell’ “Albergo a ore”, un ‘al di là’, un altrove, in cui i due amanti possono vivere il loro amore, con l’anima, col corpo, in astrale, come ci sarà dato sapere, vedere e forse provare quando non saremo più qui.

Parliamo ora della tua collaborazione con il fuoriclasse Danilo Rea, pianista “jazz” di inestimabile valore. Percepisco una grande sinergia, mi confermi che è così?

Come si fa a non essere sinergici con un musicista così? Anche se non avessi attinto alla mia sensibilità di interprete e di attrice, lui sarebbe comunque riuscito a creare una sinergia, anche con un tavolo.

Come avete lavorato al ri-arrangiamento delle parti?

In maniera molto semplice, in sala di incisione, cantando (io) e accompagnando lui al pianoforte, in live, in simultanea, più volte e in tonalità e velocità differenti, io facendo il mio e lui il suo, insieme. 

Il brano anticipa un album in uscita a novembre, tributo a tuo fratello Herbert Pagani e realizzato insieme a Fabio Concato, Shel Shapiro, Giorgio Conte e lo stesso Danilo Rea. Cosa troveremo al suo interno?

Nella versione fisica troviamo 24 tracce, di cui 5 in prosa e poesia, testi sulla pace, sull’ amore genitoriale e filiale, (Lettera a un figlio), sulla musica di Bach, lette da me, da Francesca della Monica, da Emanuele Vezzoli.
Mentre nella versione volatile, troveremo 19 tracce, in italiano e in francese, con canzoni una più bella dell’altra, prese anche dalla sua discografia francese oltre che italiana, brani che spaziano dal piano solo, al rock, al pop, al quartetto d’archi, all’orchestra, pezzi allegri, elegiaci, drammatici, ironici e anche divertenti e ludici, con voci femminili e maschili.

Quale credi che sia stato il lascito più grande da parte di Herbert nei tuoi confronti? 

Il coraggio di scegliere, di seguire le proprie vocazioni, di dire no al compromesso. L’amore per la vita, per l’arte, e la capacità, molto più sua che mia, di distillare anche dagli aspetti più tristi e oscuri dell’esistenza, un lato positivo, creativo, poetico.

Cosa invece ti manca maggiormente del suo lato umano, aldilà della grandissima personalità artistica che esprimeva? 

Una spalla su cui piangere e trovare conforto, per condividere, e alleggerirmi da ricordi non idilliaci legati alla famiglia. Un fratello, un padre, un fratello-padre.

Ti ringrazio per il tuo tempo e ti auguro buona fortuna per la promozione di “Albergo a ore”.

Ringrazio te e voi per lo spazio e per il tempo che mi avete dedicato.

SUSANNA ZANDONÀ