Now Reading
E-Wired Empathy FEAT. GASANDJI – Intervista a Giovanni Amighetti

E-Wired Empathy FEAT. GASANDJI – Intervista a Giovanni Amighetti

L’empatia non passerà mai di moda (e salverà il mondo), intervista al produttore e compositore Giovanni Amighetti, mente e cuore degli E-Wired Empathy

E-Wired Empathy è uno pseudonimo che concede ampio spazio alla parola “empatia”, concetto che sembra rivestire una particolare importanza all’interno del vostro lavoro, dico bene?
Il nostro modo di creare musica è in effetti molto veloce ed immediato sia in studio che dal vivo, e si basa quasi unicamente sul rapporto emotivo e quindi empatico tra i musicisti che viene quindi trasmesso al pubblico. È un dialogo tra suoni, senza parole, che diviene musica emozionale.

L’appellativo “wired” tuttavia sembra suggerire un approccio basato sulle connessioni e sull’intessere reti che se vogliamo può essere interpretato in maniera anche un po’ avvenirista…
Sì, nasce nel nostro secondo album dove a differenza del primo (play@esagono) io e Luca Nobis abbiamo utilizzato anche computer, cablaggi, deformazioni elettroniche, theremin. In due brani, in particolare, percussioni e pad erano ricavati dal semplice premere la parte finale di un cavo jack audio, on-off ma, anche qui, tutto suonato dal vivo sul momento senza una pre-programmazione, se non sonora.

Traslando il vostro pensiero ad un futuro prossimo, come ritenete che si evolverà la vostra musica o meglio il vostro modo di fare musica nei prossimi anni?
Credo che, proprio perché si tende ad un soverchiante uso di elettronica automatizzata, che a breve sarà, tra l’altro, resa obsoleta dalla AI, il nostro modo di fare musica, da un lato, resterà lo stesso, molto “umano” e basato sulle relazioni.
Dall’ altro invece, considerando che basta aggiungere un elemento diverso al gruppo per avere sempre nuovi input creativi, il modo di fare musica non è mai solo uno, è un mondo potenzialmente infinito di possibilità. Abbiamo oltre otto miliardi di varianti volendo!

Siete ancorati ad un concetto più “tradizionalista” del fare musica, oppure immaginate un futuro in divenire nel quale saranno sempre più gli strumenti tecnologici a sopperire al lavoro del musicista?
Noi non siamo tradizionalisti nel senso di storia della musica occidentale visto che componiamo sul momento, senza scrivere e senza farci troppe paranoie.
Per quanto concerne gli strumenti tecnologici io posso dire – nella mia esperienza come tastierista – di averli sempre impiegati, dagli anni ’80 in poi. Nell’ approccio musicale di E-Wired Empathy ci possono essere strumenti tecnologici, ma sempre gestiti direttamente da umani. Non usiamo né sequenze né basi e dal vivo manco il click; usarli sarebbe un’alterazione del rapporto empatico tra i musicisti, farebbe sì che tutti si adagino su basi meccaniche per cui possiamo dire che non ci interessa adottare un simil modus operandi. 
Comunque, a breve, questo soverchiante uso di basi anche nei live sarà sostituito dalle AI suppongo. AI che sono invece interessanti come supporto compositivo, per ribaltare tavolini e andare in direzioni inusuali, fuori dalle proprie abitudini e comfort zone. 

A questo proposito credete che si debba rivedere il concetto stesso di “musicista”? Cosa serve oggi per fare musica?
In realtà tipi diversi di musicisti ci sono sempre stati, Beethoven o Morricone erano compositori e il loro si poteva considerare un lavoro diverso dal primo violino della Scala o dal cantastorie che faceva ballare l’orso. Quindi dipende molto da attitudine e personalità. L’interprete di uno strumento che comunque, continuerà a servire, sarà diverso dal compositore-pasticciatore tramite AI o dal rapper a cui della base musicale che frega poco “basta-che-funzioni”.
Nel nostro campo serve, comunque, un’ottima tecnica unita però a capacità creativa e ad un buon senso dello humour. Magari i piagnistei dei cantanti o compositori “romantici” questi sì finiranno, finirà un certo modo di mettersi sul piedistallo a “far gli artisti” ed i finti maledetti-tristissimi. Credo ci sia ancora un po’ ancora di confusione tra la serietà musicale e la tristezza-seriosità che è, invece, un atteggiamento “commerciale”.
Onestamente, mi auguro che certa musica “facile” finisca a breve tra le risate generali visto che la AI saprà fare di meglio e senza pretese.

Quindi non vi spaventa l’avanzare incessante delle AI?
No, personalmente ne penso molto bene sia perché permette di fare tabula rasa di certa musica media-mediocre elettronica che di fatto è già una copia costante con poca creatività di sé stessa sia come strumento in grado di dare diversi spunti a compositori e creatori di musica effettivamente innovativi.

Come si è conosciuta la squadra Giovanni Amighetti, Luca Nobis, Roberto Gualdi, Moreno Conficconi e Valerio Combass?
Io e Luca ci eravamo conosciuti nell’ organizzazione di uno showcase di Richard Bona qui a Milano, un bravo bassista camerunense passato nella scuderia di Quincy Jones. Luca è il direttore didattico del CPM quindi l’avevo contattato per aprire il workshop ai suoi studenti. Ci siamo quindi ritrovati in uno spettacolo a porte chiuse al Teatro Asioli di Correggio durante il periodo COVID, spettacolo che era stato filmato per il cinquantenario dei rapporti diplomatici tra Cina ed Italia.
Ognuno aveva portato un suo progetto, da lì abbiamo visto di avere punti di incontro musicali ed è nata una collaborazione che ha portato a due album, questo ultimo EP con Gasandji e alcuni singoli.
Valerio “Combass” Bruno invece l’ho conosciuto perché il maestro Daniele Durante, al tempo direttore artistico de “La Notte della Taranta” mi aveva chiamato come musicista/produttore per un suo progetto personale che esulasse in alcune direzioni da quanto stava facendo con l’orchestra e c’era questo bassista molto bravo e creativo, Valerio. Da lì, è nata e rimasta la collaborazione con Valerio. Roberto Gualdi invece insegna anche lui al CPM quindi è stato Luca a proporgli di venire a suonare con noi.
Penso abbia accettato perché interessato ad uscire dalle solite ritmiche rock, io vengo dalla world music internazionale e questo progetto è molto adatto ad ospitare musicisti esteri di volta in volta. Ad esempio, dall’Africa negli ultimi anni abbiamo avuto Petit Solo Diabaté, Gabin Dabiré e Gasandji. In questo momento ci stiamo dedicando soprattutto al liscio però!

Provenite tutti da realtà molto diversificate tra loro: c’è chi ha suonato il liscio, chi ha fatto ska, qualcuno si è dilettato con il progressive rock… insomma diciamo che i generi li avete incorporati un po’ tutti, infatti all’ ascolto l’unico appellativo – sempre se di etichette si può parlare – ammesso e concesso che queste spesso presentino meglio le marmellate che gli album musicali… è sicuramente di “fusion”, ma nel senso puro del termine ovvero di fusione ed integrazione di diversi elementi che qui spiccano come conchiglie ed alghe riportate a riva dopo una mareggiata (e non parlo di gusci di cozze). Voi come vi definireste?
Fusion sì, è un termine che in genere si associa per abitudine ad un certo tipo di jazz più elettrico ma come dici bene è corretto riguardo il nostro progetto. Noi in realtà più che definire noi stessi ci focalizziamo sul processo creativo, che è quello della “composizione estemporanea”, l’arrivare quindi in studio o dal vivo senza parti pregresse. Poi chiaramente ognuno mette i propri colori, linee melodiche, suoni ed interpretazioni. Ad esempio, in questo EP abbiamo ai fiati sia Giulio Bianco del Canzoniere Grecanico Salentino che ha quindi un approccio “etnico” sia Moreno il Biondo Conficconi che viene dal liscio e dalle innumerevoli infinite tournée con Casadei, entrambi caratterizzano fortemente, ma comunque in sinergia con gli altri musicisti, i brani nei quali suonano. 

Avete collaborato con la cantante Gasandji che porta al gruppo il suo ampio bagaglio musicale jazz e folk. Una voce che si potrebbe definire spirituale ed ancestrale e che sicuramente aggiunge un tocco etnico alla vostra composizione. Come mai la scelta è ricaduta proprio su di lei?
Avevo conosciuto Gasandji nel 2019 quando suggeritami dall’amico Wulf v. Gaudecker di Griot l’avevo invitata per l’Ahymé festival, un piccolo festival world music che si svolge a Parma e del quale gestivo la programmazione assieme a Bessou GnalyWoh. Mi aveva molto colpito ma poi tra Covid e recupero di concerti arretrati e lavori post covid non c’era stato modo di lavorare assieme. L’occasione si è poi presentata nell’estate 2023 con l’inaugurazione della stagione estiva della biblioteca Sormani a Milano dove eravamo con Servillo e Moreno, da lì altri concerti, lavoro in studio e festival. È una persona con una bella profondità che esce anche nella sua voce e nel modo di cantare ed è, allo stesso tempo, molto spontanea quindi dal vivo diviene trascinante per la nostra sezione ritmica e per il pubblico. Bravissima, non ha mai bisogno di autotune e simili, un talento. Vive in Francia, in Italia è ancora poco conosciuta. 

Quale pensate sia la canzone meglio riuscita sino ad ora?
Dei lavori precedenti mi piacciono molto “Il primo respiro del giorno”, “E-Wired Empathy” e “A cat made of wood”. In questo ultimo EP invece mi piacciono effettivamente tutte, forse mi resta una preferenza per “O Vento de Gaita” perché risulta più originale. Ok “Drogatti” contiene un po’ di cose strane ma “Gaita” nella sua combinazione di struttura progressive, zampogna e voce africana credo sia unica in ogni genere. Mi piace molto nel complesso anche “Lelo Tina Te”, come voce, ritmica di tutti gli strumenti e clarinetto.

E quella che invece non vi soddisfa pienamente?
Non mento, ma un vantaggio della musica pubblicata per lo streaming è che non si è costretti a fare album di 12-14 brani “per forza”. Abbiamo messo questi cinque perché ci faceva piacere comporli e sentivamo l’esigenza di farlo. Quindi risultano cinque brani in un certo senso necessari e mi piacciono tutti, non trovo punti deboli. Invece nell’album precedente, E-Wired Empathy, mi è dispiaciuto non poter lavorare meglio con le canzoni di Gabin Dabiré, magari inserendo la batteria di Roberto Gualdi.

Quale è invece la canzone che vorreste aver composto ma che non avete scritto voi?
Domanda strana… mi piace molto “Solo Andata” composta da Daniele e Mauro Durante su testo di Erri De Luca. Ma non vorrei averla composta io, per fortuna che l’han composta loro e che esiste!

E il musicista senza il quale non avreste mai deciso di fare musica?
Laurie Anderson, probabilmente anche Peter Gabriel anche per i risvolti pratici con la sua etichetta, Mari Boine e i primissimi Pink Floyd.

Dove potremo ascoltarvi a breve?
Un concerto molto particolare che faremo sarà il 2 Luglio all’Arena Rubicone di Gatteo Mare (FC). È di anteprima sia al festival Sanliscio che alla Notte Rosa e sarà un mix tra le musiche romagnole, salentine e qualcosa più tipicamente “E-Wired” e sperimentale, con Riccardo Tesi come ospite.
È una manifestazione di Claudio Cecchetto e Moreno Conficconi, innovativa in diversi aspetti.

Grazie per il vostro tempo e in bocca al lupo per la promozione del vostro EP.

 SUSANNA ZANDONÀ


Gasandji
Giovanni Amighetti
Luca Nobis
Moreno “Il Biondo” Conficconi
Valerio Combass Bruno
Giulio Bianco

https://www.facebook.com/profile.php?id=61556218700955
https://www.instagram.com/ewiredempathy/
https://www.youtube.com/ewiredempathy

i vittoria and the hyde park orig 2