Filippo Bertipaglia – Intervista su Night Shift
In occasione del debutto di “Night Shift” abbiamo intervistato il chitarrista Filippo Bertipaglia
Buongiorno Filippo e benvenuto tra le pagine virtuali di Tuttorock. Puoi raccontarci la tua genesi musicale e quali sono le tue principali fonti di ispirazione?
Buongiorno a voi. Non provengo da una famiglia di musicisti ma in casa mia si è sempre ascoltata tantissima musica. Mio papà inoltre si diletta a suonare la chitarra e, soprattutto in passato deliziava me e i miei fratelli con delle brevi performance in cui mischiava brani dei cantautori italiani e brevi frammenti di studi classici.
Non so cosa mi sia scattato ma ad un certo punto ho dovuto prendere in mano la chitarra e provare a suonare anch’ io. Penso avessi 10 anni circa. Da lì ho iniziato due percorsi, quello fatto di lezioni private seguite da studi accademici e quello da autodidatta, dove ho sempre cercato di suonare più musica possibile a orecchio e studiare su magazine e video vari.
Ho studiato e adorato tantissimi artisti differenti ma ora come ora non sono particolarmente ispirato da qualcuno, voglio solo sentirmi bene quando suono, proprio come mi sento quando ascolto i miei miti, e non essere al servizio della chitarra ma della musica che sento dentro. Un percorso irto ma ricco di belle soddisfazioni.
“Night Shift” o “turno di notte” è un titolo eloquente che evoca l’immagine della veglia febbrile e del dotto “studio matto e disperatissimo”. Questa definizione mi fa riflettere sul fatto che molti musicisti asseriscano di essere più prolifici durante le ore notturne, è anche il tuo caso?
In realtà non ho un momento della giornata in particolare durante il quale mi sento più prolifico. Creo unicamente quando mi concentro e cerco di sbarazzarmi di tutti i miei preconcetti musicali per abbandonarmi al nuovo, che sia mattina, pomeriggio o sera; lì sgorgano idee in serie ma devo essere da solo nel mio ambiente, questo è sicuro.
Mi piace molto la citazione leopardiana riguardante lo “studio matto e disperatissimo” ma in verità il titolo si rifà al sapore “mondano” del brano, più immediato e trendy, almeno rispetto al resto del catalogo.
Mi immagino l’esperienza di un lavoratore durante il suo “turno notturno” fatta di visioni, persone, colori che si possono vivere solo durante la notte che, tra parentesi, mi ha sempre affascinato di più rispetto al giorno per via della sua aura intrisa di mistero e inafferrabilità.
Hai sviluppato una sorta di “processo inverso” rispetto a quello che è il naturale evolversi del chitarrista, il quale di norma inizia dall’acustico per apprendere le basi e poi passare all’elettrico. Nel tuo caso invece si fa un ardito passo all’indietro per ritornare alle origini dello strumento. E’ lecito chiedersi il motivo…
Il motivo si chiama Corrado Rustici! Quando Corrado ha sentito la mia demo fatta quasi esclusivamente di brani strumentali realizzati con una chitarra elettrica, ma suonati come se fosse un’acustica, mi ha consigliato di passare direttamente all’originale. Sembrerebbe una scelta scontata ma ti assicuro che Corrado non ha nulla di banale nelle sue idee che anzi si rivelano quasi sempre lungimiranti.
Il motivo principale del passaggio tra le due chitarre è sfruttare la dinamica e la timbrica insite nello strumento acustico. Inoltre ci siamo allontanati da un possibile jazz sound che non farebbe parte del mio mondo interiore.
Ascoltando il tuo singolo mi sembra abbastanza chiaro che si sviluppi su più livelli d’ascolto: in primo piano una linea melodica policromatica che impiega un chorus con un effetto “doppiato” di delay, aggiungendo sporadicamente qualche nota nel registro grave per creare un contrasto. In secondo piano una ritmica percussiva più movimentata che sfrutta grancassa e charleston…
Sì, esatto, mi piace moltissimo crescere con gli elementi sonori per approdare a un’esplosione tale da giustificare il climax ascendente. Mi emoziona sempre essere catturato da questi crescendo che sfociano in fortissimi da far sgorgare lacrime dagli occhi. Nel caso di “Night Shift” Corrado ha deciso di aggiungere un arrangiamento elettronico percussivo per sottolineare il sapore dance del brano e donare un sound moderno anche se si spoglia quasi totalmente di queste caratteristiche nella sezione centrale. Poi non posso esimermi dal citare Sabino Cannone, artefice del mixing e mastering. Ha fatto un lavoro da manuale: i delay, ad esempio, sono trattati in maniera dinamica e ognuno ha un suo peso specifico. Un fuoriclasse assoluto nel suo campo.
Nella versione alternativa o “Rooftop” che hai proposto, invece sono principalmente gli effetti ambientali a fare da corredo alla tua chitarra, come una sinfonia urbana di suoni…
Abbiamo voluto sopperire alla mancanza degli elementi elettronici con il vestito sonoro che naturalmente una città come Milano offre. Penso sia abbastanza inusuale come scelta e sono particolarmente soddisfatto del risultato.
Mi sembra di cogliere che in un qualche modo i tuoi fraseggi siano influenzati dalla musica medio-orientale, tanto che a tratti la tua chitarra mi ricorda il suono di un “oud” quel liuto a manico corto impiegato nella musica araba…
In realtà è del tutto involontario, sono molto occidentale nelle mie scelte. Diciamo che per ora la musica “etnica” non fa parte del mio studio e dei miei ascolti, anche se spero in futuro di poter approfondire le bellissime caratteristiche che ogni paese “esotico” offre, sarebbe bellissimo incorporarle nel mio linguaggio.
Suoni con le dita: rispetto al plettro che tipologia di differenze noti sia a livello di feeling che di impatto sonoro?
Grandissime differenze. Suonare con le dita permette di avere il contatto diretto del tuo corpo sullo strumento, dosando al massimo le dinamiche e ottenendo molteplici sfaccettature timbriche soprattutto quando c’è la presenza delle unghie lunghe della mano destra. Chiaramente l’utilizzo di più dita ti offre la possibilità di raggiungere scenari impossibili con il plettro, fatti di più note suonate contemporaneamente e arpeggi veloci su note singole. D’altro canto il plettro, di cui sono un grande fan, ha un attacco inimmaginabile per le dita. Che siano note singole o strumming, quell’ attacco così puntuale, nitido, dal volume importante e un po’ trasgressivo non puoi raggiungerlo altrimenti.
Suoni principalmente come solista: oggi sempre più musicisti, forse anche incoraggiati dall’avvento di nuove tecnologie che permettono loro di sperimentare in maniera autonoma, intraprendono una carriera di questo tipo. Come interpreti questo “trend”?
Guarda, in realtà io, parallelamente ai miei studi classici, ho sempre suonato in band, situazione che adoro. Mi sono ritrovato in questa veste solista quasi per necessità e devo dire che, per ora, sta dando più frutti questa dimensione.
Il trend di cui parli te invece lo interpreto come un naturale distacco dall’animale sociale aristotelico, tipico dei nostri giorni. La pandemia Covid ha sicuramente inasprito questo meccanismo. Ormai la tecnologia ci dà la possibilità di essere dei totali demiurghi e realizzare le nostre più strampalate idee senza troppi sforzi. Il lato positivo lo si ritrova nell’assenza di scontri, di confronti tra differenti vedute e di lentezza di processo compositivo o d’arrangiamento per la presenza di un unico cervello. D’altro canto il rovescio della medaglia lo si ha nell’assenza di contributo sonoro offerto dalla creatività di altre persone, che possono donare la loro personalità intrinseca nell’ esecuzione, contribuendo a una pluralità multisfaccettata tale da rendere la musica più varia. Ovviamente dipende in ogni caso dalle personalità musicali, a volte un solo cervello è talmente rivoluzionario che sconvolge più di interi team di persone.
In che modo la collaborazione con Corrado Rustici (producer di molti big della musica italiana tra cui Zucchero, Ligabue ed Elisa), ha influenzato la tua musica?
Ha influenzato la scrittura dei miei brani in termini di sintesi e sviluppo dei temi, sforzandomi a valorizzare maggiormente le idee, senza limitarmi ad esporle per poi passare ad altro ma a farle compiere un percorso di crescita, arricchimento e mutamento. E’ un percorso di perfezionamento molto importante per me.
Ti ringrazio per il tuo tempo e ti auguro in bocca al lupo per la promozione del tuo singolo.
Grazie mille a voi per l’interessamento e crepi il lupo!!
SUSANNA ZANDONÀ
Better known as Violent Lullaby or "The Wildcat" a glam rock girl* with a bad attitude. Classe 1992, part-time waifu e giornalista** per passione. Nel tempo libero amo inventarmi strambi personaggi e cosplay, sperimentare in cucina, esplorare il mondo, guardare anime giapponesi drammatici, collezionare vinili a cavallo tra i '70 e gli '80 e dilettarmi a fare le spaccate sul basso elettrico (strumento di cui sono follemente innamorata). *=woman **=ex redattrice per Truemetal