DONGOCÒ – Intervista al rapper calabrese
In occasione dell’uscita del nuovo album “SudConscio”, ho avuto il piacere di intervistare DonGocò, rapper calabrese membro del collettivo Keepalata che torna con un concept dal contenuto complesso. Un lavoro che si sviluppa dentro ai contorni del mondo rap, ma spesso evade verso momenti cantautorali, sonorità talvolta molto lontane dalla black music, tracce cantante, uso del dialetto e molti strumenti suonati che si integrano con le produzioni di Libberà, Mastro Fabbro, Franiko Calavera, Erma e Pietro Squoti.
Ciao e benvenuto su Tuttorock, ti faccio subito i miei complimenti per il tuo nuovo album “Sudconscio”, da me molto apprezzato, che riscontri stai avendo?
Ciao Marco, grazie mille. Mi fa molto piacere ritrovarti qui e altrettanto che tu abbia apprezzato il lavoro. Sto avendo dei riscontri estremamente entusiastici. Onestamente non mi aspettavo questo e mai prima d’ora avevo ricevuto così tanta emozione da chi mi ascolta. Credo che questo sia dovuto al fatto che ho messo tantissima emotività in questo progetto e sai come si dice, no? “E’ solo amore se amore sai dare” (cit. Colle der fomento). Vale lo stesso per le emozioni, se non ci si risparmia ritorna tutto.
Un album principalmente rap ma che tocca anche altri territori musicali, e che comprende anche tracce recitate, un disco che tu definisci “presuntuoso”, perché?
Un’ora e cinque minuti?! Presuntuoso non tanto per la sua varietà, che anzi credo sia anche un elemento che gli conferisce una certa leggerezza, ma per il fatto che oggi un disco così lungo, da parte mia che sono sempre in quella fascia di artista abbastanza conosciuto nella scena ma non di certo popolare, non risponde minimamente alle linee guida di “come andrebbe fatto”! C’è una disponibilità di ascolto sempre minore e Sudconscio può funzionare se contribuisce a cambiare questa abitudine… quindi pretende molto! Ma non risponde agli standard di mercato, solo alla mia necessità espressiva.
Il Sud, cosa significa per te la tua terra d’origine?
Il sud rappresenta un serbatoio di ricchezze inestimabili. Nel gioco di parole lo assimilo al subconscio che è la parte meno consapevole della nostra mente, o anima, ma che detiene le ricchezze più grandi. Una quantità di informazioni “impensabile”, informazioni dettagliate, capacità emotive, aspetti identitari preziosissimi e risorse della persona inestimabili. Per me “scendere giù” nelle profondità dell’animo come nella profondità del Sud sono due esperienze molto simili.
Ci sono molti ospiti all’interno dei brani, hai pensato ad ognuno di loro mentre scrivevi i testi oppure la scelta è avvenuta a lavoro finito?
Sono tutte storie diverse in realtà, ci sono alcuni artisti con i quali da anni volevo collaborare, altri incontrati estremamente per caso mentre lavoravo i brani. Ti faccio un esempio: avevo da un po’ di mesi i beat di Franiko Calavera, con il quale da anni collaboro in altri progetti ma non ero ancora riuscito a scrivere sui suoi ritmi che ho sempre amato. Appena finito di scrivere GuateMaya avevo questo ritornello in testa scritto ma che immaginavo cantato con una tonalità molto diversa e difficile per me. Apro in quel momento Instagram e mi capita un reel di Suono B, che non avevo mai sentito prima, ma era proprio la voce che stavo immaginando. Gli ho scritto e abbiamo collaborato. Altri come Kento e Aku sono amici che stimo da anni ma non avevo ancora trovato il momento di ospitarli. Ognuno una storia diversa.
Quando e com’è avvenuto il tuo avvicinamento al mondo della musica?
Sicuramente come racconto sempre con “La mia moto” di Jovanotti, avevo 7 anni! Poi però il debito più grande che ho in questo senso è con mio padre e mio fratello. Il primo mi ha sempre fatto ascoltare tantissima musica, abbiamo sempre avuto uno stereo in ogni stanza, e in più ha sempre scritto canzoni parodie e poesie. Mio fratello invece è sempre stato un apripista per me, dai primi gruppi musicali da adolescente, poi facendo il dj e infine con il cantautorato. L’ho sempre guardato e, silenziosamente, e spesso anche inconsapevolmente, mi ritrovavo ad imitarlo, ma a modo mio. Imitando entrambi, rubando qualcosa da uno e qualcosa dall’altro ho trovato la mia strada.
Degli artisti di oggi c’è qualcuno che ti ha particolarmente colpito?
Sì, ci sono molti artisti che mi hanno colpito anche ultimamente. Tantissimo Usiku con la quale ho l’onore di collaborare, è anche nel mio disco, e secondo me ha un talento incredibile. Ho apprezzato molto anche Anafem e gli ultimi lavori di Tusco, Doc Domi, Rosa White, Fablo Seed, Rah Deb, credo ci sia un sacco di talento in giro.
Hai qualche live in programma prossimamente?
Ci sono un po’ di cose ma ancora in via di definizione. Tutto verrà però comunicato rigorosamente tardi e male dalla mia pagina IG, quindi anche se potrebbe essere inutile, seguitemi!
Grazie mille per il tuo tempo, vuoi aggiungere qualcosa per chiudere l’intervista?
Grazie a te Marco, sì, mi piace invitare tutti alla partecipazione. Quando ci sono eventi, incontri, feste, ricordiamoci sempre che ogni singola persona che partecipa è importante, ognuno di noi è importante, ogni microgrammo di energia messo in condivisione è una parte del cambiamento del mondo nella direzione che desideriamo. Non ci limitiamo. Si cresce insieme.
MARCO PRITONI
Sono nato ad Imola nel 1979, la musica ha iniziato a far parte della mia vita da subito, grazie ai miei genitori che ascoltavano veramente di tutto. Appassionato anche di sport (da spettatore, non da praticante), suono il piano, il basso e la chitarra, scrivo report e recensioni e faccio interviste ad artisti italiani ed internazionali per Tuttorock per cui ho iniziato a collaborare grazie ad un incontro fortuito con Maurizio Donini durante un concerto.