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LEANDRO PALLOZZI – Intervista al cantautore emiliano

LEANDRO PALLOZZI – Intervista al cantautore emiliano

Ho avuto il piacere di intervistare Leandro Pallozzi, cantautore di Castel San Pietro Terme in provincia di Bologna.
Leandro, con il gruppo I Vecchi Draghi, ha vinto la prima edizione di “Tin Bota!”, il festival della canzone dialettale emiliano romagnola che si è svolto al Teatro comunale Laura Betti di Casalecchio di Reno (BO) e ideato da Franz Campi e da Giordano Sangiorgi, ideatore del MEI.

Ciao Leandro, benvenuto su Tuttorock, parliamo subito di questa vittoria del Festival “Tin Bota!”, te l’aspettavi?

Buongiorno a tutti. Vincere il primo festival della canzone dialettale è stata per tutti noi una vera sorpresa assolutamente inaspettata. Non è la prima volta, infatti, che io e la mia band abbiamo partecipato ad un contest, spesso abbiamo anche ottenuto dei risultati gratificanti, ma non eravamo mai volutamente troppo alla moda del momento per vincere, nè ci piaceva l’idea di diventarlo. Di questo festival infatti ci ha colpito subito l’idea di portare avanti la tradizione, la scommessa fatta da tutti gli organizzatori nel credere in un qualcosa che la globalizzazione va consumando, una resistenza rispetto all’identità che si sta via via perdendo, insomma lo definirei uno sposalizio ben riuscito rispetto a ciò che scrivo nelle mie canzoni. Quindi è stata una vittoria nella vittoria.

Il brano, che si intitola “La Gazza”, quando e com’è nato?

Questa canzone è nata una mattina di maggio quando, dopo l’alluvione, c’era da rimboccarsi le maniche e aiutare. Più che una band siamo un gruppo di amici. Ci siamo dati una mano, abbiamo indossato gli stivali da fiume, abbiamo iniziato a sbadilare e fra un bicchiere di vino e due tigelle abbiamo come sempre cominciato a canticchiare. Siamo fatti così, musicisti dentro, convinti che la musica, oltre che unire, sia una sorta di farmaco esistenziale. Per non farci prendere dallo sconforto di quei giorni di pioggia incessante e disastrosa, abbiamo parlato, fotografato il fiume e scritto le parole a testimonianza di ciò che stava accadendo non solo a noi, ma a tutta la nostra regione, poi dalle parole è nata una poesia, a seguire una melodia e così è nata la gazza. Questa canzone oggi è testimone di un periodo storico di cui non ci si può più dimenticare.

Si intitola La gazza perché sui nostri campi la gazza c’è sempre, se guardi in giro c’è e ti osserva pronta a fotterti sta gazza ladra, proprio come la natura che simboleggia. Una natura che sembrerebbe infuriarsi contro l’uomo. Un essere umano che a volte pensa razionalmente che con la scienza e la tecnologia, si possa manipolare o dominare il mondo intero. Eppure, a volte, capitano questi eventi paradossali, come ad esempio un’alluvione o come è stato in passato il Covid, insomma in questi anni ne abbiamo passati tanti di guai ma, con tutta la nostra razionalità, non siamo stati in grado di trovare risposte e soluzioni. E allora che si fa? Una volta si ricorreva alla stregoneria, alla fede cieca senza se e senza ma, oggigiorno al complottismo. Noi siamo musicisti e se dobbiamo incolpare qualcosa o qualcuno lo facciamo beffeggiando la sfortuna dando la colpa alla gazza.

Una vittoria che ti ha portato su vari quotidiani. In un periodo storico in cui purtroppo regna la superficialità, quanto ti rende fiero far parte di quella sempre più rara fetta di musicisti che scrivono musica d’autore e genuina?

Il panorama musicale oggigiorno è sicuramente condizionato da un sistema consumistico che dà priorità al marketing e alle scelte commerciali le quali necessitano di personaggi facili da vendere e da far esibire sui mezzi di comunicazione di massa. Veloci da sostituire. La canzone, adattandosi a questo economicismo diviene un prodotto, un mezzo per vendere, per far fare soldi alle industrie musicali. Perde però quel valore trascendente che aveva in passato, quel senso di immortalità e di bellezza che le era proprio. Sono quindi fiero di portare avanti consapevolmente la mia scelta di non essere alla moda.

Quando e com’è avvenuto il tuo avvicinamento al mondo della musica?

Fin dai tempi dell’adolescenza mi divertivo a suonare e cantare con diverse band della mia zona, ma solo dopo aver intrapreso una carriera lavorativa e professionale appagante sono riuscito finalmente a dedicarmi maggiormente alla mia passione più grande: il componimento di testi e musiche.

Il progetto di band con i Vecchi Draghi quando e come nasce?

L’amicizia ha fatto sì che un progetto cantautorale divenisse una comunità con cui portare avanti non solo un obiettivo artistico, ma un legame e un pensiero collettivo più profondo. Noi draghi, dal 2018, siamo infatti prima di tutto una famiglia che condivide il senso profondo della mia musica tra pranzi, vacanze, feste e a volte, momenti difficili.

Degli artisti di oggi c’è qualcuno che ti ha particolarmente colpito?

Non vorrei sembrare ripetitivo, ma la mia influenza artistica deriva da cantanti del passato che tuttavia oggi sono ancora in auge. L’anima più rock nasce da un ascolto attento delle canzoni del più grande performer italiano: Vasco Rossi. Quella più cantautorale prende sicuramente origine dall’immensa profondità di penna di Francesco Guccini. Infine, la parte Folk sorge fin da ragazzino con la passione per la musica irlandese come quella dei The Pogues, The Bothy Band, Christy Moore, The Chieftains,che ho riscoperto in Italia grazie ai Modena City Ramblers ed in particolare all’amico Cisco Bellotti che tutt’ora trovo essere una delle migliori voci folk del panorama italiano.

Dei concerti che hai fatto, ce n’è uno in particolare che ti è rimasto nella mente?

Un concerto che vorrei evidenziare è quello tenutosi il 25 aprile di quest’anno, in occasione della festa della Liberazione, presso il teatro del centro APS Montanari di Bologna. Durante questo evento abbiamo messo in scena per la prima volta uno spettacolo interdisciplinare, grazie alla fusione di diverse forme artistiche: cantautorato, teatro e danza. Partendo da un unico filone argomentativo riguardante la resistenza al male di vivere, insieme alla mia compagna anche lei impegnata nel sociale e nella recitazione, abbiamo fatto ballare e recitare alcuni artisti locali. Attenti da sempre ai problemi psicologici degli adolescenti in quest’epoca della globalizzazione, una giovane danzatrice che da anni lotta contro il problema dei disturbi alimentari ha messo in campo una coreografia ad hoc sulla musica del nostro brano finalista di San Remo Rock: la ballerina. Volevamo dimostrare che l’arte in generale può essere un modo per aiutare le persone ad orientarsi all’interno di una realtà complessa e mutevole come quella che stiamo vivendo. La partecipazione è stata totale ed ha coinvolto tutti in maniera profondamente emotiva.

Quali sono i tuoi prossimi progetti musicali?

Il primo premio vinto durante il Tin Bota riguarda la produzione di un singolo che verrà mixato e masterizzato da San Luca Sound. Visto il successo della Gazza, vogliamo provarci ancora con un nuovo inedito in dialetto di cui non vorremmo anticipare il tema, ma che riguarderà anch’esso una tematica sociale nota e dibattuta a lungo sul nostro territorio.

Grazie mille per il tuo tempo, vuoi aggiungere qualcosa per chiudere l’intervista?

Vorrei concludere, ringraziando voi e tutte quelle organizzazioni indipendenti come il Mei che, tentando di opporsi al monopolio musicale delle major, cercano concretamente di dare voce anche ad artisti assolutamente fuori dagli schemi come può essere Leandro Pallozzi e i vecchi draghi. C’è la speranza che da queste piccole azioni “eretiche” possa sorgere, prima o poi, un nuovo modo di concepire e fare musica, realmente democratico e libero da qualsiasi sovrastruttura capitalistica.

MARCO PRITONI