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1989 – Intervista al rapper che presenta “Gente che odia la gente”

1989 – Intervista al rapper che presenta “Gente che odia la gente”

In occasione dell’uscita del disco di debutto “Gente che odia la gente” (Time 2 Rap), ho avuto il piacere di intervistare il rapper cassinate-romano 1989.

Un debut album che però arriva da un percorso artistico che lo ha visto impegnato in diverse formazioni come corista, ma anche in altri progetti come la formazione Pippo Baudo Lost in Time.

1989 si descrive come un rapper che racconta questo nostro presente semi-distopico. Parla a coloro presenti sul suo stesso gradino della scala sociale: quelli che sono oppressi dai ricchi, ma continuano a prendersela con i poveri.

Semplificando quella che potrebbe essere la definizione del genere, 1989 propone un raffinato connubio di alternative rap e cantautorato. Ma “Gente che odia la gente” è molto di più.

Ciao e benvenuto su Tuttorock, parliamo subito di “Gente che odia la gente”, il tuo primo album uscito da qualche giorno per Time 2 Rap, che riscontri stai avendo?

Ciao a voi e grazie per l’interessamento. Il disco, stando ai pareri di chi me li sta dando, sta piacendo molto. Avevo già avuto feedback super positivi da chi lo aveva ascoltato prima che uscisse, e ora ne sto avendo la conferma. Fondamentalmente ho messo il massimo in questo lavoro, quindi questo non poteva non emergere all’ascolto. Mi fa piacere come tutti abbiano notato che sia un lavoro molto curato, in ogni traccia, sia nei testi che nelle produzioni.

Un disco che ho apprezzato dal primo all’ultimo secondo, 13 brani nati e scritti in quale lasso di tempo?

Grazie mille. Ti direi circa due anni e mezzo. La maggior parte dei brani li ho scritto prima e durante la pandemia. Qualche bozza di altri, invece, l’avevo già scritta precedentemente. Per esempio, “La Gente” era un testo che inizialmente avevo scritto per l’altro mio progetto musicale, i Pippo Baudo Lost in Time; “La fattoria degli animali” era totalmente diversa all’inizio, era in forma rappata, e non parlata com’è ora, e la base era un classico boom bap con un pianoforte campionato. Alcuni pezzi sono stati cestinati, altri nuovi ne hanno preso il posto. Insomma, è stato un lavoro lungo e laborioso.

Perché in questo paese la gente si scontra continuamente con altra gente anche per cose futili e troppo spesso non rispetta il pensiero altrui?

Credo che le ragioni vadano ricercate in una serie di fattori: rabbia repressa, paura del “diverso” (o di quello che il governo e i media ci fanno passare come minaccia), o anche semplice pulsione ad affermare se stessi in qualche modo, e probabilmente il modo più facile per farlo è quello di mettersi in forte contrasto con qualcun’altro. D’altro canto, vomitando le nostre peggiori cattiverie sui social, non si corre nemmeno il rischio che l’altro possa tirare fuori la sua mano dal nostro schermo e afferrarci per il collo chiedendoci “Che cosa hai detto? Ripeti pure se ne hai il coraggio!”

La cosa che più mi è piaciuta di questo album, oltre ai testi di altissimo livello, è la ricerca musicale dove nulla è lasciato al caso, è frutto dei tuoi ascolti che spaziano tra generi e sottogeneri?

Esattamente. Da un bel po’ di anni ascolto davvero i generi musicali più disparati, e mi piace farmi contaminare da essi. Mi piace l’idea che qualcuno, ascoltandomi, si imbatta in un pezzo che non si aspetterebbe da un “rapper”.

Anche gli ospiti provengono dai più disparati territori musicali, da Lucio Leoni a Pierpaolo Capovilla passando per Antonio Galasso, Shekkero, Occhicomeventi, Cristiano Celli e Battista, in base a cosa li hai scelti?

La logica è stata anche qui quella del “Ok, è un disco rap, ma voglio che al suo interno non ci siano solo altri rapper”. Alcuni di loro, oltre ad essere artisti che stimo molto, sono cari amici (Shekkero, Battista) che avevo piacere ad avere sul disco, e che secondo me ci sarebbero potuti star bene su quella determinata traccia. Pierpaolo Capovilla l’ho conosciuto tramite un ragazzo che mi faceva da agente l’anno scorso, e averlo sul mio disco è stato un onore. Con Lucio Leoni ci eravamo conosciuti ad un festival in cui suonavamo entrambi diversi anni fa, i suoi dischi mi piacciono un botto, e anche per quanto riguarda lui averlo su un pezzo del disco mi ha reso felicissimo. Con Marica/Occhicomeventi ci conosciamo da tanti anni, e avevamo già collaborato ad una mia traccia precedente. Infine, in un mio disco non possono mai mancare dei fiati, per cui ho chiesto al mio amico fraterno Cristiano Celli e ad Antonio Galasso di regalarmi, rispettivamente, dei loro assoli di sax e di tromba.

Quando e come ti sei avvicinato al mondo della musica?

Al rap, durante il liceo. In realtà, l’avvicinamento alla cultura hip hop è avvenuto tramite il vestiario. C’era un vecchio outlet di streetwear sotto casa a Cassino da cui rimasi affascinato, e quindi iniziai a comprarmi i vestiti lì e ad andare in giro vestito come un classico rapper. Dopo qualche tempo ho iniziato a dirmi “mah, sai che c’è, vediamo un po’ di approfondire quella roba che si ascoltano quelli da cui ho preso il modo di vestire”. Ero un ragazzino, ci sta. Da allora mi sono innamorato del rap, ho iniziato a gareggiare a qualche gara di freestyle locale, e a scrivere i miei primi testi. Tutto il resto è venuto a valanga. La cosa di scrivere canzoni però, a dire il vero, ce l’avevo già da prima. Quando morì mio nonno avevo nove anni, e scrissi una canzone per lui. Alle medie scrivevo canzoni demenziali stile Leone Di Lernia. Insomma, la vena canterina c’è sempre stata.

Hai già qualche data live in programma?

Al momento non ancora. Ho suonato moltissimo nel 2023, e credo che dalla primavera 2024 in poi, se non prima, ricomincerò a farlo.

Con quale formazione ti presenterai sul palco?

In genere la formazione con cui giro è voce, chitarra, batteria e dj. Amo girare così perché è una formazione molto agile e duttile, che mi permette di poter andare a suonare anche in assenza di uno dei membri (per esempio, se manca il batterista, mettiamo la batteria in sequenza e andiamo a suonare ugualmente).

Grazie mille per il tuo tempo, vuoi aggiungere qualcosa per chiudere l’intervista?

Sono io a ringraziare voi. Volevo ricordare a tutti che il lavoro debilita l’uomo, di pensare sempre a ciò che dite, e che l’Impero crollerà. Un saluto!

MARCO PRITONI

Foto di Serena Dattilo