Ivano Icardi – Intervista in occasione dell’uscita di “Unconventional”
Benvenuto Ivano è con grandissimo piacere che ti accolgo tra le pagine virtuali di Tuttorock.
Ho ascoltato con attenzione il tuo ultimo album “Unconventional” che denota un approccio sicuramente non convenzionale sotto molti punti di vista.
Un po’ come lo scrittore il musicista narra una sua storia, ma al posto dei caratteri si esprime attraverso le note dello strumento, così che spesso il rapporto con lo stesso diventa quasi simbiotico: una questione di “sentire”. Ho letto che hai iniziato a suonare giovanissimo e quindi immagino che per svariati motivi, la chitarra per te sia quasi un’estensione del tuo sé. Quanto è importante per te poterti esprimere attraverso di essa e che ruolo ha avuto nella tua formazione e in generale nella tua vita?
Guardando un musicista mentre suona spesso ci soffermiamo ad ammirarne il gesto estetico, quel gesto armonioso, capace di rapire per la sua naturalezza e bellezza. Ma è facile dimenticare il lavoro instancabile che si cela dietro quel gesto, il percorso compiuto dal musicista per far sì che ogni movimento sia all’altezza della bellezza della musica che esegue. Nella mia vita, la chitarra ha occupato uno spazio centrale, diventando un elemento prezioso. Ho sempre cercato di rendere la connessione tra il mio pensiero e l’esecuzione fluida, immediata, spontanea. L’obiettivo ultimo era parlare il linguaggio della musica con la stessa naturalezza con cui si comunica con gli altri. Questo processo, così intimo e interiore, ha plasmato la mia esperienza con la musica. Credo che impegnarsi in questo modo aiuti ogni studente di musica a conoscere sé stesso più profondamente, contribuendo a vivere una vita migliore. Certamente, è stato così per me.
Tutte le canzoni che hai inserito nel tuo ultimo album hanno nomi evocativi e sembrano quasi voler raccontare un frammento, una parte di te e della tua storia personale o del tuo vissuto… ci sento una necessità di raccontarsi, ma anche di mettersi in gioco come avviene ad esempio in brani come “Strummer” che è molto ludica. Da dove nasce l’esigenza di pubblicare un album come Unconventional e quale è il suo significato per te? Cosa vuol dire essere “non convenzionale”?
Il titolo “Unconventional” ha molteplici livelli di lettura, proprio come la musica contenuta nell’album, che si presta ad essere apprezzata a vari livelli di profondità. A un ascolto superficiale, potrebbe sembrare un album leggero, ma un ascolto attento rivela la complessità di un disco che, analizzato ancora più a fondo, rivela la sua profondità armonica e metrica.
Il termine “non convenzionale” inoltre, è comunemente associato al mio stile di suonare, sebbene personalmente non lo percepisca in tale modo. Questa mancanza di convenzionalità si riflette anche nel suono dell’album, risultando particolarmente contrastante per chi è abituato alla mia musica dei precedenti album.
Tuttavia, forse la vera essenza di “Unconventional” emerge nel suo atto di ribellione al contesto sociale attuale.
Quest’album strumentale non si propone di stupire con virtuosismi, ma di far rivivere il piacere quasi dimenticato di ascoltare musica per chitarra, composta e ponderata in ogni sua nota e accordo. Qui, ogni elemento richiede tempo e attenzione per essere compreso appieno. “Unconventional” , probabilmente, è un disco inusuale per i tempi attuali, dove già dedicare dieci secondi di attenzione per ascoltare un brano è diventato un gesto importante.
Hai collaborato con due grandi musicisti e professionisti, Elio Rivagli e Riccardo Fioravanti, personalità importanti della scena musicale italiana. Vuoi raccontarci come è stato lavorare fianco a fianco con una sezione ritmica di questa caratura?
Elio e Riccardo sono prima di tutto persone speciali, con caratteri e attitudini molto diverse, poi grandi musicisti. Il valore che attribuisco ai musicisti ormai passa prima da questo: attitudine, personalità e carattere musicale, loro due eccellono in tutte queste caratteristiche. Ho condiviso cosi tanta musica con Elio Rivagli, tanti progetti, tanti concerti e sopratutto sono molti anni che suoniamo insieme e spesso studiamo insieme, siamo degli sperimentatori, molte ricercate soluzioni ritmiche su “Unconventional” sono frutto di questi nostri divertissement . Sono molto grato ad Elio per il contributo che ha dato a questo album. Per quanto riguarda Fioravanti, è stato per me una piacevole scoperta. Conoscevo il lato musicale di questo artista, ma non avevo avuto modo di conoscere l’uomo dietro la musica. Collaborare con lui per la realizzazione di questo disco è stata un’esperienza molto positiva; ha apportato un contributo significativo sia dal punto di vista umano che musicale, e credo che questa sua dedizione si percepisca nell’album. Senza dubbio, è un musicista completo e preparato, ma ciò che lo distingue è soprattutto il suo vasto bagaglio culturale musicale, il quale si riflette chiaramente nella sua esecuzione.
Il percorso del musicista è un po’ come una lunga e tortuosa salita su di un monte di cui, però, spesso non si vede mai la cima. Un tragitto in cui nessuno è mai veramente “arrivato”. Adesso a che parte del percorso ti senti di essere, anche guardandoti alle spalle?
Punti di vista e prospettive: quello che tu vedi come “una lunga e tortuosa salita” per me è sempre stato più come seguire un sentiero, guardarmi intorno, cogliere un frutto, assaggiarlo per poi passare ad altro, sempre e soprattutto godendomi il panorama. Questo non vuol dire che sia stato semplice, assolutamente, ma è sempre una questione di attitudine. Ho sempre cercato di godermi il momento, anche durante i periodi più complessi e difficili. Lo so, può sembrare banale, ma si può cogliere qualcosa anche da quelle situazioni. Quel qualcosa ci ricorda che siamo umani, e di conseguenza, che possiamo fare arte, prerogativa solo, appunto, di noi esseri umani.
Per rispondere meglio alla tua domanda, forse la definizione migliore per me è: eterno studente mai abbastanza preparato. Ecco a che punto sono del mio percorso ed ecco come mi sento.
Poche righe fa facevo il paragone con lo scrittore perchè anche il musicista sviluppa un proprio linguaggio musicale, attraverso un percorso “classico” che però che spesso fa sentire ingabbiati e frustrati in quanto volente o nolente, limitante per l’estro creativo dello stesso. Tu invece sembri uno spirito libero, pur dimostrando un grande studio alle spalle. Come fanno a convivere questi due impulsi spesso antitetici: il musicista tecnicista o esecutore e l’artista creativo / inventore?
“La conoscenza è libertà!”, quanto può essere vera questa frase? Tanto tempo passato a studiare, tanto tempo dedicato alla pratica dello strumento (cosa che continuo a fare ancora oggi), l’approfondimento dello studio dell’armonia e della composizione non sono altro che strumenti. Sta a noi saperli utilizzare al meglio; ci danno la libertà di scegliere chi vogliamo diventare come musicisti.
Mai come in “Unconventional” ho avuto la sensazione di sapere come utilizzare tutti questi strumenti, come in un puzzle dove già sai che tutti i tasselli andranno al loro posto. C’è stato un momento alla fine della realizzazione dell’album in cui ho avuto la sensazione che tutto ciò che avevo appreso fosse servito per giungere a “Unconventional”. Non servivano tecnicismi; serviva un’altra forma di virtuosismo, mettere insieme tutte le nozioni apprese per arrivare a scrivere qualcosa di esteticamente gradevole. Questo è stata la vera sfida in questo album.
Quali sono stati i tuoi personali miti della chitarra? Chi hai seguito/inseguito? Per quale motivo?
Tutti e nessuno. Ho sempre considerato i grandi chitarristi come eroi inarrivabili, inseguendone alcuni forse spinto da quel forte senso di emulazione tipico dell’adolescenza. Tuttavia, ho presto interrotto questo percorso, concentrandomi instancabilmente sulla ricerca della mia voce sullo strumento. Piuttosto che limitarmi a imparare brani, ho sempre permesso alla musica e allo stile dei chitarristi che ammiravo di influenzarmi. Forse la decisione migliore che abbia mai preso è stata concentrarmi su ciò che veniva più naturale e facile per me, lavorando su questo per creare un mio mondo musicale.
Ho avuto il piacere di collaborare con numerosi grandi musicisti e tutti, le sottolineo tutti, possedevano la capacità di suonare ciò che era loro congeniale con grande bellezza estetica e sonora. La loro maestria risiedeva nella capacità di “trasformare” ciò che non sapevano fare in qualcosa di più simile a ciò che già facevano e suonavano ogni giorno. In questo, ho trovato un insegnamento di grande valore.
C’è qualche collega che riesce ancora ad impressionarti?
Tutti quelli che scrivono grande musica, ultimamente non mi impressionano sicuramente quelli che hanno una grande tecnica. Ammiro molto il chitarrista Julian Lage ad esempio.
Quale pensi possa essere lo stimolo necessario a mantenere viva la passione, per un giovane che si avvicina a questo strumento, in un’ epoca in cui tutto si basa sulla velocità in cui si “arriva”, pensiamo solo ai social che ci danno (spesso) una percezione totalmente falsata della realtà…?
Il consiglio è suonare con gli altri, soprattutto con musicisti migliori di te. Nulla stimola più che suonare con chi ti mette alle strette e che ti fa capire quanto puoi essere “impreparato”. Torni a casa e ti metti a studiare, almeno questo è quanto accadeva a me. In molti ragazzi e giovani studenti vedo una certa intelligenza; comprendono benissimo quanto ci sia di artificioso nei social, quanto editing, quanta settorialità esecutivo/stilistica e quanto quei pochi secondi di musica di un video nascondano in realtà molta inadeguatezza nel confrontarsi con la musica vera, quella suonata.
Mi auguro che le nuove generazioni si attivino al più presto per tamponare questa strana situazione che si è creata, voglio essere fiducioso, ci sono tantissimi musicisti eccezionali la fuori nel mondo reale, tantissime persone che vogliono riportare l’arte in primo piano piuttosto che l’artista.
Pensi che sia importante la dinamica “social” o che esista ancora la possibilità di essere analogicamente divergenti?
Per chi, come me, è abituato a fare concerti ed entrare in contatto con le persone (non sopporto la definizione di “pubblico”), è ben consapevole del fatto che i social media costituiscano indubbiamente una sorta di bolla. Si tratta di un luogo nel quale è facile crogiolarsi e vivere una condizione, non sempre felice, fatta di like, commenti, critiche e dislike. Riflettendoci attentamente ci si rende conto che tutto ciò è spesso asettico, irreale, derivante dalla distrazione, dalla noia e dall’approssimazione. Te ne rendi conto immediatamente quando qualcuno ti stringe la mano per complimentarsi dopo un concerto, e ti chiedi: “Ma quale significato hanno realmente i social? Perché si chiamano così quando sembrano essere l’opposto?”
Riconosco che siano un potente mezzo per promuovere la propria attività, in qualsiasi forma; questo è innegabile. Tuttavia, la loro utilità si ferma lì, o poco oltre.
Ci sono altri strumenti musicali che ti affascinano e per cui per un motivo o per l’altro non ti sei mai approcciato o a cui vorresti approcciarti in termini di sperimentazione e/o perchè no, anche attraverso collaborazioni ?
Sono profondamente affascinato dal contrabbasso; lo ritengo uno strumento straordinariamente autentico e molto connesso al musicista. La sua natura espressiva e la delicatezza sonora mi ricordano in molti modi la chitarra classica. Come avrai notato, il contrabbasso è protagonista in tutto l’album “Unconventional” e la collaborazione con Riccardo Fioravanti ha colmato in modo significativo la mia ricerca sonora. All’inizio del processo creativo di questo album avevo una visione chiara del suono che desideravo ottenere. Già durante la fase di composizione immaginavo come il contrabbasso potesse essere lo strumento perfetto per donare ai brani morbidezza e fluidità arricchita da una componente bassa intensa e profonda.
Ti ringrazio per il tempo che mi hai dedicato e le emozioni che mi hai trasmesso attraverso i tuoi brani. In bocca al lupo per il tuo album!
SUSANNA ZANDONÀ
Chitarra: Ivano Icardi
Basso: Riccardo Fioravanti
Batteria: Elio Rivagli
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Better known as Violent Lullaby or "The Wildcat" a glam rock girl* with a bad attitude. Classe 1992, part-time waifu e giornalista** per passione. Nel tempo libero amo inventarmi strambi personaggi e cosplay, sperimentare in cucina, esplorare il mondo, guardare anime giapponesi drammatici, collezionare vinili a cavallo tra i '70 e gli '80 e dilettarmi a fare le spaccate sul basso elettrico (strumento di cui sono follemente innamorata). *=woman **=ex redattrice per Truemetal