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JOYCUT – Intervista a Pasco Pezzillo su “The blu wave”

JOYCUT – Intervista a Pasco Pezzillo su “The blu wave”

In occasione dell’uscita del loro nuovo album “THE BLU WAVE” ho intervistato Pasco Pezzillo della band JOYCUT.

Ciao Pasco, piacere di ritrovarci in questa occasione sulle pagine di Tuttorock. Un album fantastico questo The Blu Wave, a distanza di quasi un decennio dal precedente, una gestazione lunga, come è nato?
Grazie. Dopo l’uscita di “PiecesOfUsWereLeftOnTheGround”, nel 2013, siamo stati travolti inaspettatamente da una massa estensiva di impegni ed attività … disinteressandoci completamente all’idea che la musica potesse ancora essere sussunta alla desueta dimensione del dover essere pubblicata per essere fruita. Band come la nostra sono sempre sul declive dell’abisso. In eterna via d’estinzione. Ogni Album rischia di essere l’ultimo. Ogni Concerto deve essere solenne, ogni abbraccio non è detto che si ripeta. Non possiamo permetterci pianificazioni a lungo termine. Aver suonato quattro anni consecutivi, senza mai fermarsi, è stato un rarissimo accidente. Non godiamo dei favori di una certa stampa né, fortunatamente, abbiamo discografiche alle spalle o politiche predatorie a gestirci, abbiamo un pubblico affettuoso e consolidato al quale unicamente riferirci e la nostra autonomia è pura. Di conseguenza siamo liberi e liberi vuol dire soli. Una vicenda paradossalmente controversa. Affrontiamo il peso della realtà ad ogni risveglio, restando fedeli ad una forma spirituale di creatività, estremamente disincantata, personale, intima, funzionale alla nostra esistenza. Fuori dal tempo ed al di là di ogni logica. TheBluWave è un Album intriso di tenerezza, di carezze, tormenti ed urli espressivi. Volevamo fosse una testimonianza dell’esistente destinata a durare a lungo, da custodire. Il cui suono sopravvivesse alle matrici stilistiche contemporanee. Ha preso forma al ritorno del tour in Cina e Giappone, i nuclei significativi e gli appunti di viaggio sono stati urgentemente portati alla luce in un concerto unico presentato alla Biennale di Venezia nel 2017, dedicato alla cultura dell’Est, e successivamente declinati in un dettaglio ancora più nobile al Meltdown di Robert Smith nel 2018. Nel corso dei Festival estivi del 2019 abbiamo deciso di suonare quasi tutte le composizioni inedite, “raccogliendo” finalmente l’idea dinamica del suono finale, eseguendolo e testandolo una sera dopo l’altra. Gli ultimi due anni, terribili momenti di solitudine e paura, controllo sociale e devastazione delle coscienze, mi hanno spinto a rigenerare la cifra emotiva delle tracce, mixando nuovamente, riducendo ed estendendo, eseguendo instancabilmente fino a riconoscere nell’opera la sua compiutezza.

Ho percepito tante anime e influssi dentro questo disco, potremmo usare la, a volte abusata, definizione di world music per trovargli una definizione?
L’Album non mi appartiene più, non sta più a me proteggerlo o raccontarlo, tantomeno definirlo. Personalmente non userei quell’etichetta. Credo sia certamente un lavoro “aperto”. Per gli appassionati della categorizzazione in generi, suggerirei un neologismo stilistico: BluWave. Sarebbe quantomeno l’identificazione più calzante. Ad ascolti ripetuti ed assorti si presenterà sovente l’immaginifico contesto narrativo dell’Oriente, dell’Africa, di linguaggi e paesaggi apparentemente familiari, ma profondamente usurpati dal vergognoso colonialismo occidentale. La WorldMusic talvolta cede all’inganno, all’infingimento che il dominio capitalistico offre, quando, -mistificandone il significato- costruisce dall’alto un certo consenso superficiale, promuovendo sul piano utilitaristico, declinazioni sbiadite, travestite da paradigma “esotico” e “suoni dal mondo”.

Tanta musica suonata e tanta elettronica, un equilibrio perfetto, è stato complicato bilanciare le due componenti?
Trovare equilibrio è sempre molto difficile. È lì che, in fin dei conti, la sintesi della ricerca dovrebbe condurre. Il percorso investigativo squarcia gli argini, oltraggia le proporzioni, allontana dalla comprensione, spalanca osservazioni sull’audace infinito. Quei miraggi restano nel laboratorio, come inerzia vitale, forza centripeta, ad anticipare di gran lunga i tempi a venire, per anni ed anni, come stilemi capaci di alimentari i fiordi espressivi del domani. È solo quando quel “sovrabbondante” viene setacciato a dovere, al punto da produrre un residuo finalmente da offrirsi all’esterno che il giusto mezzo diventa assunto eloquente da condividersi col tutt’intorno. L’esigenza filosofica di voler ritornare ad un uso analogico delle sorgenti ha ulteriormente inalveato il suono, la sua esecuzione, la sua simmetria, verso il risultato definitivo. Spesso si crede che la musica elettronica non sia composta, non sia suonata. Come se i sintetizzatori analogici, i moduli o i generatori di noise, non fossero strumenti legittimi. Altra cosa è l’uso di computer durante una performance dal vero, o di software instruments, di mpc, midi synch ed altre diavolerie, che noi stessi adoperiamo e senza alcuna ossessione, essenziali per restituire una filologia di suono e per permettere a pochi elementi di essere coadiuvati nell’esecuzione. Altrimenti ci sarebbe bisogno di comporre affiliazioni elettive fra ulteriori sei, sette, dieci, dodici, musicisti aggiuntivi.

Il titolo dell’album comprende un colore, il blu, quale significato hai voluto gli in questo caso?
Il BLU è un colore che ha dovuto lottare per emanciparsi, un tratto figurativo esemplare che ha dovuto trovare spazio, non senza difficoltà, per essere considerato alla stregua degli altri. Nel suo libro “Blu. Storia di un colore” Michel Pastoureau ci documenta la lenta, ma progressiva inversione di tendenza che lo riguarda. Oggi è uno dei colori preferiti dalla maggior parte delle persone, ha guadagnato un significativo “rovesciamento”, assurge ad un potentissimo valore simbolico, artistico e letterario. Eppure, a partire dal Neolitico passando per gli antichi Greci e Romani non è mai stato così: il BLU ha sempre avuto una connotazione fortemente negativa. Oggi, il BLU è da considerarsi un determinismo sociale in piena regola. Con le sue alterne fortune rappresenta il ritratto in continuo divenire di una società, quella umana, costantemente impegnata a fissare e ridefinire la propria scala di valori. BLU è il nostro pianeta, la declinazione per la malinconia, la poetica dell’abisso, la salvezza negli astri. È un’onda che sveste la spiaggia, una metafora per raccontare quanto la “purezza” sia necessaria per carezzare teneramente il disastro nel quale ci troviamo.

Quattro diversi quadri musicali si trovano nella composizione del disco, che motivo ha questa strutturazione?
Il titolo dell’Album, nella sua totalità è: “TheBluWave-TimesWhenSilenceIsAPoem-TheIceHasMelted-AndBleedingGlaciersFormOurTears”. Un Haiku contemporaneo, imperfetto come questo tempo. Quattro paesaggi distribuiti su quattro lati, uno spaesamento disgiunto per narrare i rapporti indissolubili di causa ed effetto fra gli enti e gli avvenimenti in natura. Un titolo categorico perché si restituisca all’umano la qualità del pensiero, l’esercizio della riflessione, l’invito all’approfondimento critico, l’apertura alla complessità. Una lente per osservare la dialettica della realtà violata, in cui siamo tutti stregati. Uno sguardo sui fragili, sugli ultimi, sulle vulnerabilità. Un titolo lungo per dare fastidio agli algoritmi delle piattaforme digitali. Incapaci di leggerlo nella sua interezza. Un Album pubblicato di domenica contro ogni logica di mercato, nella giornata Mondiale dell’Ambiente, perché la precondizione per l’esistenza è l’esistenza stessa, è la delicatezza di essere umani, al di là di quanto “contiamo” in termini quantitativi. Crediamo che questo lavoro possa significativamente offrire un distacco funzionale dall’orrore, raccontandolo e sbattendolo in prima pagina, fin nella pancia della balena. Abbiamo tutti bisogno di tuffarci nell’estasi dell’istante, di immergerci nel nostro BLU profondo.

Se dovessi scegliere un brano preferito, o particolarmente rappresentativo, del disco, quale sarebbe?
Ogni lato è caratterizzato da un taglio identificativo. The1stSong, Komorebi, BluTokyo, sono senza dubbio delle composizioni seminali e caratterizzanti. Siberia ed Antropocene rappresentano il raggiungimento massimo di unicità individuale, un obiettivo che da sempre ci siamo preposti: dare voce attraverso il suono all’urlo della natura violata. Lisantrope e Plato sono universi personali che mi hanno aiutato a “stare” nel dolore, senza fuggire, senza affrontarlo, contemplandolo ed accettandolo.

Progetti futuri? Un tour è già programmato per vedervi dal vivo? Il prossimo anno festeggerete i 20 anni dalla nascita, possiamo aspettarci qualche cosa di speciale?
Stiamo lavorando ad una estensione massiva delle prime presentazioni ufficiali dell’Album. Tenute già a Vilnius, a Potenza, a Londra, Brussels e Parigi. Abbiamo eseguito le 13 tracce con una conformazione molto intrigante. Nei prossimi mesi, toccheremo alcune città italiane e proseguiremo ancora in Europa. Pubblicheremo finalmente “1+1 | ForTheOnesWhoDreamOfBetterWorlds” il Libro Fotografico ed il Video Live testimoni della giornata del 1.1.21, laddove in diretta dal Teatro Valli di Reggio Emilia, abbiamo tenuto uno streaming i cui ricavi delle vendite dei biglietti sono stati interamente devoluti ai club in difficoltà, per sostenerli durante la pandemia. Libereremo il documentario “JoyCut | ROBERT SMITH’s MELTDOWN” oggi visibile su SkyArte. Festeggeremo il decennale di “PiecesOfUs”, riproponendone una ristampa limitata. Ed inseriremo molti dei pezzi di quell’album nelle prossime date live, non escludo un concerto filologico speciale. In fine, lavoro di questi mesi, una trascrizione per orchestra del nuovo lavoro e la pubblicazione di remix ad opera di alcuni artisti che stimiamo molto. 

MAURIZIO DONINI 

Band:
Pasquale Pezzillo, voce, tastiere, elettronica, chitarra
Gael Califano, percussioni tribali, tastiere
Christian Montanarella, batteria

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