Petullà ci racconta il nuovo album “A Casa Presto”
In occasione dell’uscita dell’album “A casa presto” abbiamo intervistato Petullà, il cantautore torinese
L’album di Petullà è una dichiarazione di intenti: è la voglia di condividere le emozioni per trovare un’intimità che ci possa far sentire simili. Un “Se hai bisogno sono qui perché siamo nella stessa barca”.
Il cantautore torinese, che non è infastidito dall’essere definito “cantautore” ci racconta qualcosa sul proprio lavoro, sulle emozioni e sul bellissimo album che raccoglie anche i singoli precedenti come “Orgasmi e Origami” e”Rasoterra”.
Ciao Alessandro, per prima cosa una grande curiosità: come ti senti dopo l’uscita del tuo primo album?
Ciao! Sto veramente bene. Ho inseguito l’idea di fare un disco da quando avevo 15 anni. C’è voluto un po’ di tempo ma eccomi qui, leggero e felice.
Già partendo dall’ascolto di “A casa Presto” brano che dà il singolo all’album, si sente la tanta voglia di condivisione. Sembra proprio che tu stia sorridendo mentre canti e questa è una grande forza empatica che appartiene alla tua musica. Come ti senti a condividere con così tante persone il tuo intimo, la tua sensibilità?
E’ il mio carattere. Fa parte di me e non potrei scrivere qualcosa che non mi appartiene. Un po’ come scegliere il mio cognome come nome d’arte. E’ un atto di intimità, un patto con chi ascolta: se sei giunto fin qui e vuoi continuare ad ascoltarmi sappi che “mi troverai sempre”.
Parlando ancora di “A Casa Presto” ma anche di “Delle Ricorrenze” si nota un’evoluzione in termini di produzione ma anche di melodia. Gli strumenti si susseguono creando, ad ogni pezzo, un grande pathos. Com’è cambiato il tuo approccio nella composizione di questi brani rispetto ai precedenti?
Sono entrato in studio con già molte canzoni scritte, una maturità diversa, anche in termini compositivi (melodie, metriche, la mia consapevolezza vocale) e un’idea chiara di quello che volevo trasmettere con l’album. Ho portato delle reference chiare al produttore (Fractae, aka Paolo Caruccio). Il resto l’ha fatto stare tanti giorni chiusi in uno studio insieme, e poi finire di registrare all’Auditoria Records. Quando entri in un luogo con tantissimi strumenti ti viene la voglia di provare soluzioni diverse, ogni strumento stimola un’idea diversa.
Come ti sentiresti se ti definissimo “cantautore”? è una definizione che ad alcuni sta stretta, invece tu, ti ci senti rappresentato?
E’ una bellissima parola che oggi sembra fare paura perché ti fa sembrare “vecchio” e fuori mercato. Io sono cresciuto ascoltando i cantautori e anche oggi preferisco guardare a loro quando penso alla scrittura. Quindi no, non mi sta stretta, devo solo fare pace con l’idea di meritarmelo.
L’album sembra un vero e proprio “concept album” oppure, volendo essere più attuali un album “multiverso”, dove si racconta tantissimo della tua vita, del tuo modo di intendere i rapporti e le relazioni. Cosa vorresti che passasse da questo tuo lavoro? Qual è la cosa che meglio definisce questo lavoro?
Sicuramente c’è un filo rosso che unisce tutti i brani, che è l’idea di riuscire a “farsi casa”. Ad essere noi il punto di partenza per trovare un equilibrio con noi stessi e poi con l’esterno. Mi piacerebbe che passasse che è un disco le cui canzoni stanno in piedi da sole ma non è una raccolta, è un viaggio attraverso degli spazi emotivi e fisici. Poi la realtà è che il bello delle canzoni è che quando le pubblichi diventano altro da te e ogni ascoltatore ci trova il suo significato in base al proprio vissuto, ed è la cosa più bella se parliamo di condivisione.
Ascoltando “Rasoterra”, un raffinato featuring con Anna Castiglia, si percepisce un senso di infinito, di etereo ma anche di eterno. Com’è nato questo pezzo? Ci racconti qualcosa?
Ero in balcone di notte durante uno degli svariati lockdown per la pandemia. Davanti a casa mia c’era un deserto di suoni da far spavento. Ho pensato a quanto la situazione che stavamo vivendo avesse tolto azioni naturali come il controllo del proprio corpo, la sua possibilità di muoversi in libertà, e come questo potesse frenare anche le interazioni umane. Una cosa simile succede quando si è depressi e ci si sente spaventati e comunque sempre immobili. Volevo scrivere qualcosa che esortasse a riprenderci il controllo dei nostri corpi, dei nostri sogni, delle nostre aspettative, nonostante tutto quello che ci può essere di brutto attorno a noi. Quando ho terminato la scrittura sentivo che mancava qualcosa, ho chiamato Anna…neanche la conoscevo, e le ho semplicemente mandato una bozza. Lei ha capito subito il mood e ha scritto lo special e poi è nata Rasoterra.
Ci racconti un po’ la tua esperienza durante le selezioni del Premio Lunezia? Come ha segnato il tuo lavoro di artista?
La cosa bella è sempre incontrare nuovi artisti, con alcuni abbiamo legato particolarmente e sono sicuro che nasceranno delle collaborazioni. Non amo particolarmente esibirmi davanti ad una giuria e senza la mia band, ma diciamo che farlo con il Colosseo sullo sfondo vale lo sforzo.
Hai un bel po’ di esperienza per quel che riguarda i live. Qual è il palco che ti è rimasto più impresso e qual è quello che sogni di calcare?
E’ la vecchiaia che porta esperienza! E anche l’idea che i live siano il vero luogo della musica. La presentazione dell’album all’Hiroshima Mon Amour a Torino è stato non solo un concerto, ma un momento speciale della mia vita. La mia band e io siamo stati sommersi d’affetto. E’ stato come ritrovare nelle persone quello che volevamo descrivere con l’album ma anche con la scenografia del palco, che era stato agghindato per diventare un salotto. Per ora non sogno nessun palco in particolare, vediamo dove mi porta il caso.