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EDDA e GIANNI MAROCCOLO – Intervista su “Illusion”

EDDA e GIANNI MAROCCOLO – Intervista su “Illusion”

La chiusura forzata durante il lockdown del 2020 ha portato un mare di tragedie incalcolabili sotto molteplici aspetti che in questa sede ovviamente tralasceremo. Nel frattempo, però, mentre tutti eravamo chiusi nelle nostre case, due tra le figure più autorevoli del panorama musicale ‘indipendente’ italiano, Edda (Stefano Rampoldi) e Gianni Maroccolo, realizzavano e registravano a distanza l’album ‘Noio; volevam suonar.’, il cui titolo e la stessa copertina la dicevano tutta proprio sulla volontà di voler tornare sui palchi a suonare dal vivo, cosa che era, ed è stata negata per molto tempo. Dopo meno di due anni il rapporto tra i due si fortifica e si ‘fa sul serio’, con un album registrato insieme in studio stavolta; infatti, da qualche settimana nei negozi di dischi è disponibile ‘Illusion’, il sesto album da solista per l’ex-cantante dei Ritmo Tribale, prodotto e arrangiato da Gianni Maroccolo. Nell’album suonano, oltre a Gianni e a Stefano, tra gli altri anche Flavio Ferri, Antonio Aiazzi, Simone Filippi. Edda sorprende ancora. Ai primi ascolti dei suoi album rimani sempre un po’ perplesso, perché ogni volta ti spiazza. Non sai mai cosa troverai in quei solchi. Bisogna ascoltarli i brani e riascoltarli per capirli a pieno. Una volta entrati, è difficile farne a meno. Inoltre, resta questa sua capacità di riuscire a farti sorridere con alcuni suoi riferimenti a volte buffi nei testi, chiedendoti a volte anche il perché, sembrando quasi non dare la giusta importanza a ciò che ha detto un attimo prima e invece l’attimo dopo sei lì che ti ha lacerato l’anima sia con la sua voce che con le sue parole. E di questi tempi non è poco ascoltando un disco. Abbiamo intervistato i due protagonisti di questo lavoro, per saperne di più sul loro sodalizio e lavoro insieme.

Intervista a Edda
Stefano, la tua collaborazione con Gianni Maroccolo è iniziata due anni fa durante il periodo del lockdown, pubblicando il disco ‘Noio; volevam suonar.’. Quali sono state stavolta le differenze che hai trovato nel lavoro del nuovo album rispetto al precedente?
“Io non avevo mai lavorato con Gianni prima. Lui è un produttore a cui dai gli ingredienti, ti fa suonare, cantare, dopodiché si chiude in una stanza e torna con la torta fatta, ovviamente ti chiede se il prodotto ti piace o meno, e devo dire che su undici canzoni solo due ho chiesto di rifarle su alcune mie indicazioni, le altre erano perfette così come le aveva fatte lui. È uno che ha una visione come fosse un allenatore di calcio che ti indirizza a giocare nel modo che per te ritiene più opportuno, sono contento perché il disco mi piace, il prodotto finale è ottimo”.

Al tempo dicesti che Maroccolo ti aveva ‘cucito addosso il miglior vestito’.
“Sì. Devo dire che anche per il fatto di avermi scelto come chitarrista, anche se in qualche canzone suona Flavio Ferri, il 90% del disco è suonato da me per quel che concerne le chitarre e questo ha donato al disco un sound in cui mi ci ritrovo molto proprio perché nasce dalla mia chitarra. Ovviamente suonano nell’album altri musicisti. Non avevo assolutamente idea che uscisse così il disco, perché sì, l’ho suonata io la chitarra, ma lui l’ha ricreata, l’ha reinventata, la produzione è sua; quindi, c’è molto di suo e va benissimo così”.

Hai detto ‘in questo disco ho cantato meglio che mai’, ritenendoti molto soddisfatto del lavoro finale. Infatti, hai un approccio differente nel cantare, per certi versi mancano gli acuti che ti hanno sempre caratterizzato.
“Esatto. Sono meravigliato di come ho cantato questo disco, sono portato generalmente a cantare spingendo sull’acceleratore, in questo disco per diversi motivi non l’ho fatto, anche se poi in realtà quando lo devo cantare non è molto facile, non è che ti siedi lì e lo canti. È vero, manca quella passione nel grido ma c’è tutta un’altra intensità per cui è un modo di cantare molto intenso ma che non necessita di essere esagitato”. 

Forse in chiave live, spingerai maggiormente?
“Forse no, perché se al concerto c’è Maroccolo presente e le canto diversamente dal disco mi prende a pedate sulla faccia, lo ha già detto. Cercherò di cantare con la stessa tonalità del disco perché effettivamente quelle canzoni acquistano cantate così. Poi probabilmente ogni tanto mi partirà la bestia durante il concerto però…”

Infatti, adesso ascoltando il disco capisco quando mesi fa mi dicesti che ti sentivi soddisfatto del lavoro cantato (e non solo).
“Veramente mentre registravo non me ne rendevo conto, ero completamente inconsapevole, cercavo di portare a casa la canzone senza stare lì a menarmela più di tanto, anche perché a un certo punto non ce la facevo più, ero abbastanza esaurito. Bisogna dire grazie a Lorenzo Tomassini che ha rimesso le mani sul mix, ha fatto delle correzioni, devo dire che tra lui e Gianni hanno fatto un lavoro pazzesco. Oppure son stato bravo io, non lo so, facciamo tutti e tre”.

Un bel trio dai, un bel team.
“Ma sì”. 

‘Illusion’ cosa vuol dire?
“Vuol dire che io ormai a 60 anni non ho capito niente della vita, mi ritrovo come se fossi un bambino ma un bambino maturo che non si mette lì a giocare con i giocattoli, però non è che abbia acquisito tutta questa sapienza o conoscenza; quindi, più va avanti la vita più mi sembra sempre più ‘non leggibile’, incomprensibile, come se vivessi in uno stato di illusione”.

Il protagonista del brano ‘Mio capitano’ chi è?
“All’inizio credevo fosse Salvini. Realmente non scrivo mai pensando a un soggetto ma dopo averla scritta pensando ad intitolarla ‘Mio capitano’ mi è venuto in mente Salvini, ma realmente quando l’ho scritta non so neanche io a chi stessi pensando”.

Gianni Maroccolo in un post ha ‘svelato’ che ‘Lia’ l’hai dedicata alla sua mamma, sbaglio o è come se tu avessi allo stesso tempo scritto una canzone per tutte le mamme?
“L’ho scritta quando eravamo chiusi per il lockdown. Stavamo lavorando ancora al disco ‘Noio; volevam suonar.’ e una sera l’ho chiamato e gli ho detto ‘Guarda ho scritto questa canzone’. Sua mamma era purtroppo mancata da qualche giorno e gli chiesi se potessi chiamarla ‘Lia’ come sua madre. Io non l’avevo detta questa cosa a nessuno, l’avrei tenuta per me, poi lui stesso l’ha resa da poco pubblica, per cui, va bene così. Il concetto sostanzialmente è che noi siamo legati alle madri e che le madri prima di essere madri sono state anche figlie, bambine, ragazze, donne, amanti. Era un modo per dare una visione completa a 360° non della mamma in quanto tale ma della mamma in quanto donna; quindi, persona che ha avuto una vita e c’è sicuramente anche la parentesi importante di diventare madre, però senza dimenticare che non è solo una mamma, ma una donna, una persona”.

In questo mondo sempre più politicamente corretto tu vai avanti per la tua strada fregandotene scrivendo nei testi ciò che hai dentro.
“Sì, ma perché nella vita affronto già tanti compromessi per essere diciamo ‘accettato dalla società’. Almeno quando scrivo i testi cerco di essere il più sincero possibile. In questo mondo non è che mi sia trovato poi così bene, per cui, cerco di non nasconderla”.

In un periodo storico attuale dove forse stiamo rasentando anche l’eccesso…
“Sì, infatti non guardo più la TV, i telegiornali. Ho il rigetto di quella retorica del ‘noi siamo sempre quelli giusti’, di quelli che ti spiegano come è giusto essere e invece nella realtà, c’è tanta ipocrisia, una bugia dietro l’altra, è impressionante. Non credo nelle istituzioni, nello stato, non credo nella famiglia, in questi valori, ma non perché voglio essere un iconoclasta o un nichilista, ma perché so che chi parla mentre sta parlando sta fingendo e raccontando balle, per cui non riesco neanche a guardarli in TV. Conduco la mia vita e cerco di essere sempre insignificante, nel senso che non mi interessa di essere importante, anzi. Sono davvero stufo, è inevitabile che la società in cui stiamo vivendo ti spiega come vuole che tu sia, e io devo dire che a 60 anni posso dire che non ci son mai riuscito, ci ho anche provato, ho anche sbagliato a provare, ma adesso sto dalla mia parte e continuo seguendo ciò che sono i miei principi”.

Abbiamo perso forse dei diritti per cui si è lottato tanti anni, e adesso?
“Ma certo, subiamo i nostri destini. Le cose non succedono perché noi le facciamo succedere, noi ci troviamo in mezzo e dobbiamo in qualche modo riuscire a tenerci stretti i nostri principi, non è più possibile sottostare a quello che chi chiedono gli altri abbassando sempre i pantaloni, insomma. A costo di rimanere ghettizzati. Tanto non sono uno importante, anzi, non lo sono mai stato, meno lo sono, meglio è. L’importante è che io continui ad essere ciò che sono e di portare avanti quelle che sono le mie caratteristiche, la società me la vorrei proprio dimenticare, non voglio neanche vederla. Non mi identifico, né come italiano, né come cittadino, niente di quello che possa essere materiale, sto facendo un altro percorso e non mi tireranno mai in mezzo con la politica e tutto il resto. Non riesco. Appena vedo la TV e vedo certi individui mi viene il voltastomaco, ti viene proprio il conato. Poteva andarci peggio, per carità, potevamo nascere durante il periodo del fascismo ma neanche così va bene, non è proprio rose e fiori ciò che stiamo vivendo in questo momento”.

Intervista Gianni Maroccolo
Edda è uno che sintetizza molto i brani musicali, raramente, se non mai, all’interno dei suoi brani ci sono lunghe parti strumentali, anzi, lui riempie quasi tutto con la voce, è stato difficoltoso per uno come te invece che, credo, sia completamente differente in questo? (vedi il progetto ‘Alone’ con brani molto strumentali, meditativi, di lunga durata…)
“Trovo che uno dei doveri di un produttore sia quello di mettersi a disposizione dell’artista per metterlo nella condizione di tirare fuori ciò che sente. È vero che quando faccio musica mia non mi pongo problemi riguardo alla dilatazione dei pezzi, ma in questo è stato assai creativo e utile per me ricercare la sintesi desiderata da Stefano”.

Ho letto che i demo dei brani erano decisamente meno lenti, è vero?
“Mi pare una sorta di piccola leggenda questa delle velocità delle canzoni. I demo e i provini sono degli appunti che contengono la primigenia delle composizioni e devono essere sviluppati a livello creativo. Direi che invece è accaduto un po’ il contrario ovvero, ho spiazzato un po’ Stefano dicendogli che in studio avremmo dovuto ricreare le atmosfere dei provini tanto erano belli e comunicativi e che poco (come è appunto accaduto) avremmo modificato. Poi qualche pezzo si è rallentato un po’ per permettere a Stefano maggiori spazi interpretativi così come altri sono stati velocizzati”.

Qual è il tuo primo ricordo di Edda come collega e successivamente amici, quando vi siete conosciuti?
“Conobbi Stefano tanti anni fa. Io suonavo con i Litfiba e lui cantava con i Ritmo Tribale. Ma giusto un saluto reciproco. Ci siamo rivisti dopo varie vite nel camerino della Flog. Lui aveva collaborato con il mio progetto ‘Alone’ che nell’ occasione presentavo a Firenze. Scambio di battute un po’ surreale… cose del tipo: dobbiamo andare a Sanremo insieme… servirebbe un po’ di cioccolata al latte per calmare la fame e così via…. entrambi un po’ impacciati ma empatici. Ricordo che quella sera lui volle suonare anche ‘Eroi nel vento’ e che venne davvero bene”.

Sarai presente in qualche data del tour?
“Non credo. Magari qualche incursione ogni tanto per suonare qualcosa insieme”.

C’è un brano della vecchia discografia di Edda (anche dei Ritmo Tribale) che ti piacerebbe riarrangiare o suonare con lui?
“Sarò poco originale forse, direi ‘Spaziale’ o ‘Sai bene’”.

Credo che il fatto che Stefano sia un genio, oltre che un grande artista, sia un pensiero condiviso. Cosa manca per arrivare al grande pubblico, forse il suo essere completamente sé stesso in un mondo ormai sempre più politicamente corretto e omologato?
“Non credo che Stefano desideri arrivare al grande pubblico. È un artista che va per la sua strada e credo che con il tempo saranno in tanti a scoprirlo e ad apprezzarlo”.

Tuoi progetti personali imminenti, invece? Sia in studio che live?
“Sto scrivendo un album a quattro mani con Hugo Race che pubblicheremo nel 2023. E fra non molto sarò in studio con i Deproducers per il prossimo capitolo. Dal vivo faccio poche cose e solo se ne vale la pena. Continuerò a portare in giro con Antonio Aiazzi il nostro Mephisto Ballad”.

A proposito di ‘Alone’, progetto diviso in quattro volumi, ci sarà un seguito?
“Non saprei. La pandemia ha interrotto l’incanto e credo sia complesso ripartire dopo due anni. ‘Alone’ è nato come progetto di flusso sonoro in un certo periodo della mia vita. Da allora il mondo si è rovesciato e io non sono più lo stesso di allora. Penso che niente sarà come prima e che quindi ‘Alone’ debba appartenere ad una situazione personale e universale che non c’è più. Ma mai dire mai…”

Lia’ è un pezzo dedicato a tua mamma, ha commosso molto il tuo post in cui lo rendi noto… bel gesto da parte di Stefano. Vuoi raccontarcelo?
“Non credo sia corretto dire che ‘Lia’ sia stato dedicato a mia mamma. Di certo quando mia mamma (che si chiama Lia) ha lasciato questa vita e la prima persona con cui ho parlato è stato Stefano. Lui mi ha ascoltato e detto cose molto profonde e, dopo qualche ora, mi ha detto che pensando alle nostre parole e a mia mamma, aveva scritto di getto ‘Lia’. Diciamo che si è ispirato a mia mamma per raccontare tutte le mamme, il loro vissuto e il vuoto che lasciano”.

GIOVANNI VERINI SUPPLIZI

Credits foto @ Roberto Cavalli

Edda e Gianni Maroccolo

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