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PIETRO FORESTI – Intervista su “Rock Star? Come fare successo con la tua music …

PIETRO FORESTI – Intervista su “Rock Star? Come fare successo con la tua music …

Pietro Foresti è un produttore musicale che si è formato a Los Angeles con nomi che ruotano intorno a icone del rock (Guns N’ Roses, Korn, Counting Crows). Ha realizzato più di 200 dischi in 20 anni di carriera. È laureato in Musicologia, Paleografia e Filologia Musicale.

Pietro Foresti, produttore, una figura che si porta dietro un’aura misteriosa.
Il produttore è colui che deve avere la visione complessiva, come in un’azienda, vision e mission. In termini pratici deve avere una competenza tecnica, artistica, musicale, tale che possa permettergli di aiutare l’artista a raggiungere l’apice della sua espressività musicale. Quindi deve avere in primis un obiettivo chiaro, e in seconda battuta i mezzi per ottenerlo. 

Riferendomi al libro che presenti oggi e a quello che hai detto, riassumerei il tutto nel fatto che se uno vuole avere successo deve avere a disposizione tutte le competenze specifiche necessari, quindi il DIY non è, generalmente, il modo migliore.
Certo, devi avere un tuo staff di riferimento competente, un poco come era nelle case discografiche qualche anno fa, dove c’erano una decina di persone dedicate a seguire i vari aspetti del progetto. Ora l’artista si deve appoggiare a un produttore o arrangiatore che gli permetta di raggiungere una certa dimensione, per poi magari proseguire in autonomia con un ufficio stampa e una promozione ad-hoc coerente con il suo mondo musicale. 

Io credo che oggi si debba investire nelle professionalità che servono a raggiungere lo scopo, e non basti comprarsi la chitarra migliore all’ultimo grido, cosa ne pensi?
Certo, la chitarra all’ultimo grido conta lo 0,3%. Una carriera artistica è come una start-up, come se io e te volessimo aprire un ristorante e puntassimo solo sulla bellezza delle sedie, per avere successo bisogna considerare tanti fattori e che siano ben coordinati tra di loro. 

Quindi, questo è quello che fa un produttore artistico? Dire cosa fare e come farlo?
Il mio ruolo è correlato all’aspetto musicale, che comunque racchiude già parecchia materia su cui lavorare. 

Prima, durante la presentazione che hai fatto del libro, hai toccato due aspetti molto interessanti, l’identità specifica che deve avere un’artista e il fatto che l’ispirazione venga da un dolore, ho interpretato correttamente?
Quando siamo in uno stato di benessere, ce lo godiamo, l’essere umano è epicureo in questo. Se viceversa, si trova in uno stato di sofferenza, deve superarla catarticamente e, a questo punto, ad esempio attraverso la musica. Il 90% degli artisti ha una lacuna da superare, altrimenti non avrebbe motivo di mettersi così esposto agli altri. Non ho mai visto uno che si sente figo, con un’autostima altissima, ricco e felice, che faccia questa attività per svago. 

Stasera abbiamo sul palco i Roommates, una delle tue produzioni.
Esatto, oramai siamo amici, si mescola il personale e il professionale come è normale capiti nella musica. Sono ragazzi molto bravi e seri, intelligenti, oltre che essere tecnicamente molto bravi, con un songwriting validissimo e un’identità che si sta sviluppando sempre meglio. 

Loro tendono a cambiare spesso la direzione musicale, il genere, avere il coraggio di evolversi, di cambiare, è un valore aggiunto?
E’ come per gli esseri umani, io non penso di essere come ieri o 10 anni fa o anche 20 anni. Nel loro caso ritengo ci siano sfumature di genere diverse, ma hanno mantenuto la stessa identità. 

Oltre i Roommates hai fatto tante altre collaborazioni importanti, c’è un fatto o aneddoto in particolare da raccontare?
Siamo in Toscana, che per me è stata una parentesi importante, per la mia vita e la carriera, nel 2009 ho lavorato con una band di Pisa, i J27, due dei membri erano anche proprietari del Borderline di Pisa. Da lì sono nate altre featuring come Tracii Guns e GIlby Clarke, con bellissime promozioni in agriturismo, quelle che chiamiamo “no conventional”, ovvero lavori non fatti in studio, ma in questo caso tra macine e ulivi, olio e vino, ed è stato davvero tutto bellissimo e anche produttivo dal punto di vista artistico. 

Per non scordare i tuoi trascorsi losangelini, dove avrai sicuramente mangiato peggio, ma costruito tanto.
Il cibo era terrificante ???? ???? Ma è stata un’esperienza formativa e una forte accelerazione per me, innanzitutto in Italia non abbiamo una grande tradizione di band, di famose nel rock ne abbiamo davvero pochissime. Lì ho imparato metodologie di lavoro che non avrei potuto avere qui in Italia, poi l’approccio che hanno lì è molto aperto, non ci sono gelosie o paure, anche se avevo solo 22 anni ho avuto cittadinanza di pensiero e azione. Sarò sempre grato alle persone che mi hanno aiutato in quel frangente. 

Abbiamo parlato di generi e diversità, di identità, oggigiorno è tutto un polemizzare su chi fa il purista di rock e chi si appropria della definizione, con tutto lo scibile di insulti, commenti negativi, dai Maneskin ad achille Lauro, come se non ci fosse la libertà di ascoltare liberamente ciò che si preferisce. Per te cosa è il rock?
Come dicevo prima, durante la presentazione del mio libro, rock è tutto quello che è anticonformista, ma inconsapevole, ovvero uno che fa l’anticonformista senza saperlo, non chi lo fa tanto per essere di moda. Aggiungo che una caratteristica del rock è la capacità di sintesi, la proprietà che trovi in un rullo di batteria o un riff di chitarra, come un pugno sul petto, qualcosa che ti lascia un segno tangibile. Non ci sono tanti colori magari, magari pochi, ma veramente incisivi. Se un musicista solo con la chitarra elettrica, anche senza la batteria, riesce a integrare questi elementi secondo me è rock. Da questo torniamo al discorso che facevi su Achille Lauro o simili, se riescono a rispecchiare questi elementi, allora possiamo capire se sono rock oppure no. 

Quindi possiamo guardare se sono elementi di rottura e cambiamento oppure no. Ma a proposito di Rock, tu stasera, qui al Pistoia Blues Festival, hai presentato un libro, “Rock Star? Come fare successo con la tua musica”. Quindi basta comprare il tuo volume e i giochi sono fatti?
Ovviamente no (risate). E’ proprio il contrario, io vorrei che i ragazzi di oggi lavorassero con la musica approcciandovisi come se si frequentassero l’università. Non è che uno da oggi a domani diventa medico! Ci si mette d’impegno, studia, approfondisce, confronta, fa un percorso in questo senso per diventare medico. Nella musica non è necessario che frequenti il conservatorio o suoni la pentatonica 10 ore al giorno, ma comunque va studiata e vanno acquisiti gli elementi necessari. Mi trovo a lavorare con artisti che non conoscono i musicisti precedenti, non conoscono quelli attuali, non sanno nulla di niente. Sono solo fissati su un elemento, contando di avere un colpo di genio senza avere le basi necessarie, ma non funziona così. 

Tornando seri, il tuo libro non ti fa diventare automaticamente una rockstar, ma ti fornisce le indicazioni necessarie a provarci, è corretto?
Il libro ti fornisce tanti elementi esperenziali per dare consapevolezza a un artista o a una band. 

Nel libro riporti anche tue esperienze?
Esatto, ci sono anche interviste nella modalità “botta e risposta”, domande ad artisti per sfatare luoghi comuni. 

Progetti futuri?
E’ una fase della mia vita abbastanza particolare, ho 45 anni e un figlio che ha già 13 anni, man mano che cresco scopro cosa so fare. Direi che so fare pochissime cose, mi avvicino molto bene alle persone e avere dei bellissimi rapporti. Ora sono qui e mi vivo questa splendida giornata e questa bella intervista, vivo il presente e me lo godo al momento. 

E oggi abbiamo questo bellissimo live con grandi musicisti e possiamo dire che non serve andare solo a concerti con 60.000 o 120.000 persona, ma si possono vivere concerti splendidi in location come questa o anche meno. Molte band mondiali hanno iniziato su piccoli palchi.
Esattamente, a volte è la contingenza che rende l’artista a un livello pazzesco, alto o medio, è una caratteristica che va coltivata. 

Un consiglio alle band che vogliono cercare il successo?
La prima cosa che mi sento di dire è di acquisire cultura musicale, cosa che negli anni ’60-’70 si faceva sul campo, in tanti locali facendo tante jam. Oggi queste possibilità sono sparite o quasi, abbiamo Spotify, io penso che oggi un artista deve passare almeno 3 ore al giorno esplorando nuovi artisti, nuove band, cercando di capire cosa sta succedendo. 

A tale proposito, ritieni che l’offerta online di musica oggi sia ‘tanta’ o ‘troppa’? Non c’è il rischio che in mezzo a tanta abbondanza si perda il buono?
Non è tanta né troppa, il problema è che non ha valore economico. Noi riusciamo a dare peso in base al valore economico, se sono qui a bere un cocktail da € 100 sicuramente dirò che è buonissimo. Se ho un cocktail che mi hanno offerto, magari lo lascio lì a metà. Un abbonamento a Spotify da € 10 significa che la musica ha poco valore. Ricordo le attese di una volta per il nuovo disco che doveva uscire, il risparmiare per l’acquisto, l’ascolto condiviso con gli amici. Siccome costava aveva un valore culturale molto più alto di adesso.

MAURIZIO DONINI 

Le scelte giuste fatte all’inizio di una carriera sono determinanti per la crescita umana ed artistica di chi vuole lasciare una traccia di sé nel panorama musicale e nell’immaginario comune.  Dopo una prima parte dedicata all’aspetto generale, il libro affronta una serie di domande, tecniche e si chiude con una sezione motivazionale, per un’analisi completa, che tutti i giovani artisti dovrebbero conoscere, per comprendere il proprio potenziale e come utilizzarlo al meglio. Prefazione di Gianni Della Cioppa (critico musicale) e David Bonato (fondatore di davverocomunicazione e Vrec Music Label).

Il libro è disponibile in formato brossura con copertina flessibile in tutte le librerie online: https://vrec.biglink.to/pietroforesti