OSVALDO DI DIO – Intervista al cantautore, chitarrista e compositore
In occasione dell’uscita del disco strumentale “Separazioni”, ho avuto il piacere di fare una bella chiacchierata con Osvaldo Di Dio, chitarrista e compositore nato a Napoli il 18 giugno 1980 che, all’età di 19 anni, si trasferisce a Milano per frequentare il Conservatorio Giuseppe Verdi, diplomandosi con il massimo dei voti.
È stato in tour con alcuni dei più importanti artisti italiani come Franco Battiato, Eros Ramazzotti, Cristiano De André e molti altri.
Ha lavorato in studio con i produttori Chris Kimsey (The Rolling Stones, Led Zeppelin, Pink Floyd) e Craig Bauer (Ed Sheeran, Justin Timberlake, Kanye West) a Londra e Los Angeles.
Questo nuovo album mette in risalto la maturità di Osvaldo Di Dio come compositore, oltre che come chitarrista. Il comune denominatore dei brani è la chitarra acustica, una Martin 000-28 VS, che si intreccia ora a un quartetto d’archi, ora a un violino o un violoncello solisti, fino a coadiuvarsi con l’elettronica più minimalista e contemporanea.
Ciao Osvaldo, bentornato su Tuttorock, parliamo subito di questo tuo nuovo album, “Separazioni”, che uscirà il 4 marzo, un album in cui si incontrano chitarra acustica, archi ed elettronica, quando e com’è nata quest’idea?
Ciao Marco, grazie! Come sai mantengo una doppia anima, quella cantautorale, che è sempre lì e a volte viene fuori, altre volte resta in stand by. Lascio sempre che la musica fluisca in maniera naturale, lascio guidare lei, questa volta sono venuti fuori questi brani strumentali. Dalla fine del 2020 c’è stata una sorta di picco di ascolti su Spotify per quanto riguarda Guitar Stories, quella suite di 4 brani per chitarra classica nata a Procida nell’estate del 2019 che avevo registrato praticamente solo per me. Circa un anno dopo ho visto che quei brani venivano ascoltati in tutto il mondo, allora, contemporaneamente al discorso cantautorale, ho cominciato a pubblicare dei singoli strumentali per chitarra acustica e ho iniziato a mettere dentro anche brani celebri che amavo, riarrangiandoli per sola chitarra, tra cui “The Long And Winding Road” dei Beatles che è entrata in 4 playlist editoriali di Spotify. Ho quindi seguito la scia e a luglio 2021, quando è uscito un altro brano cantautorale, “Oggi cosa farò”, contemporaneamente ho iniziato a lavorare all’idea di un album strumentale. Mi sono trovato molto prolifico in quella dimensione, ho trovato quest’atmosfera particolare e originale con chitarra acustica, quartetto d’archi ed elettronica che richiama un po’ il mondo di Ludovico Einaudi anche se lui suona il pianoforte. Su Spotify questa mia proposta sta andando fortissimo, per essere una musica di nicchia parliamo di quasi mezzo milione di ascolti in un anno e mezzo, ho intenzione di continuare ad alimentarlo pubblicando in media due dischi ogni anno. Spotify, adesso che iniziano ad esserci molti ascolti, sta generando qualcosa che precedentemente con la mia proposta musicale avrei faticato a raggiungere anche perché fondamentalmente con questa modalità non hai bisogno di stampe fisiche e arrivi comunque in tutto il mondo, io adesso sono ascoltato principalmente negli Stati Uniti, in Giappone, in Canada, Germania e Australia, quando mai sarei riuscito a raggiungere quel mercato? Ciò significa che in quelle parti del mondo c’è qualcuno che apprezza ciò che faccio e grazie a questo strumento incredibile riusciamo ad entrare in connessione, cosa che prima sarebbe stata impossibile.
Immagino che “Radici”, la traccia di apertura, sia dedicata alla tua Procida, nella quale sei tornato, è così?
In realtà no, anche se sai che Procida quest’anno è capitale italiana della cultura e tutt’ora mi sono fatto il mio studio qui. Tutto risulta in qualche modo coinvolto dall’isola, dal mare, è comunque qualcosa in cui sono immerso, non è più come una volta in cui vi tornavo ogni tanto. “Radici” è il primo brano di questo disco ed è accompagnato da un video dove puoi vedere teatri vuoti, musicisti che provano, ballerini che continuano ad esercitarsi. In questo periodo che abbiamo passato ad un certo punto tanti di noi si sono posti la domanda: “ma è giusto che l’arte sia soltanto un lavoro?”, secondo me no, occorre sempre ricordare il motivo per cui uno ha iniziato a suonare, recitare, ballare. Si è purtroppo arrivati ad un punto, fino al 2019/inizio 2020, in cui tutto aveva assunto un senso esclusivamente utilitaristico, del tipo faccio quella cosa perché devo guadagnare, perché mi porta a qualcos’altro, questo aveva un po’ svuotato il senso stesso dell’arte. Quando ho iniziato a suonare, verso i 15 anni, non l’ho fatto perché volevo raggiungere un certo budget economico, tutto era nato da una spinta interiore. Il fatto che tutto si sia fermato ci ha aiutati a ritrovare quelle “Radici”, quella spinta. La solitudine dell’arte è necessaria per poter creare tutto quello che c’è dietro ad uno spettacolo e che spesso non si vede.
Il fatto che tu sia tornato a vivere a Procida è una soluzione temporanea? Tornerai a Milano in futuro?
Ho ancora casa a Milano, poi questa situazione ha potenziato ulteriormente la rete, la possibilità di fare le cose in remoto, ad esempio conosco tante persone che vivevano in California e si sono spostate in altre città o stati negli USA dove la qualità della vita è migliore. Non voglio per forza tornare ad una normalità a tutti i costi, prendo le cose come vengono e mi prendo la libertà di stare oggi qua e domani, magari, da un’altra parte. Adesso Procida non è più la Cenerentola del Golfo, le cose si sono un po’ ribaltate. C’è una similitudine tra Procida e alcuni artisti, quest’isola era qui anche prima che venisse scoperta da tutti, era esattamente la stessa, solamente che ad un certo punto è finita sotto i riflettori e ora la conoscono tutti, questa cosa succede anche ad alcuni artisti.
Parliamo un po’ dei singoli brani partendo da “Separazioni”, “Memories” e “Passioni” che sono tracce molto visive, direi quasi cinematografiche, sono piccole colonne sonore, sei d’accordo con me?
Come al solito hai fatto centro, la musica è sempre stata legata alle immagini, questo è un periodo particolare in cui si produce tantissima roba, lo streaming ha fatto per il cinema quello che Spotify ha fatto per la musica, c’è una richiesta continua di materiale nuovo e questo ha aperto le porte ad un tipo di utilizzo musicale associato alle immagini. In tal senso questo disco risente anche di quell’idea lì, strizzo un po’ l’occhio al mondo delle colonne sonore, prima ti ho citato Einaudi che è un esempio chiave. “Separazioni” è un brano che ad un certo punto ha iniziato ad avere echi alla Pink Floyd, Radiohead, ha un qualcosa di psichedelico. “Memories” e “Passioni” sono un po’ più, per così dire, canzoni, e io ci sento da Pat Metheny a Sting. Poi con “Winter Butterfly”, “Reborn”, “Legni parallaleli” e “A cuore aperto” c’è un avvicinamento al mondo della musica classica, gli ultimi due sono dei duetti, chitarra/violino e chitarra/violoncello. In particolare “Legni paralleli” è un mio omaggio a due musicisti che sono anche due miei amici, Carlotta Dalia e Giuseppe Gibboni, entrambi vincitori del premio Paganini e che fanno parte di quella nuova generazione di musicisti classici italiani, smart, che si muovono anche su Instagram e non solo sui palchi. Sono legati nella musica e nella vita e ho voluto dedicargli questo brano. “A cuore aperto” ha un titolo didascalico, l’ho scritta e registrata a dicembre, quando mio padre ha subito un intervento al cuore e io non sapevo come esorcizzare quel momento, quell’angoscia. Ho lasciato fluire tutto in musica, l’intervento è andato bene e ho aggiunto un bel brano al disco.
C’è un motivo perché hai scelto di intitolare l’album “Separazioni”?
Sì, si lega un po’ a quello che ho detto prima, tutto ciò che è successo ci ha messo inevitabilmente davanti all’esigenza di un cambiamento, almeno per chi ha colto questa opportunità, poi ci sono tante persone che non vedono l’ora di tornare esattamente alla vita di prima, io non sono uno di quelli, per accettare qualcosa di nuovo c’è la necessità di una separazione da quello che c’era prima.
Hai già pensato a come presenterai dal vivo questo tuo album, hai già qualche data in programma?
In estate farò dei concerti con chitarra acustica e quartetto d’archi. L’album è fondamentalmente un crossover, puoi suonarlo sia in contesti dove si fa musica elettronica che in contesti dove si fa musica classica. Se dai più peso alla parte elettronica è un disco che tende da un certo lato, se lasci solo chitarra e archi può essere una musica che non sfigura affatto in un festival di musica classica contemporanea. Purtroppo, sulla musica dal vivo, si naviga a vista e non ho ancora fissato delle date.
Chi ti accompagnerà dal vivo?
Non ho ancora i nomi di chi salirà sul palco con me, saranno comunque persone legate al Conservatorio di Napoli, ti posso dire però che, dal punto di vista della produzione, tutto ciò che senti sul disco è opera mia. Non ho problemi a dire che gli archi sono dei campionamenti, ho usato il Cremona Quartet che utilizza gli strumenti del Museo del Violino di Cremona, un violino e un violoncello Stradivari, un violino del Guarneri del Gesù e una viola Amati. Ci vuole un po’ di tempo per programmarli e renderli indistinguibili da un’esecuzione reale ma sono soddisfatissimo del risultato finale. Legandomi a quello che dicevo prima, tutto quello che senti nei film, o almeno una buona percentuale, è fatta da poche persone che scrivono, producono e registrano tutto contemporaneamente e in tal senso torniamo sempre al Maestro Franco Battiato, che ha avuto questo approccio per 40 anni.
Cosa mi racconti del concerto all’Arena di Verona in memoria proprio di Franco Battiato dove tu hai suonato la chitarra?
È stato indimenticabile, è uscita anche l’edizione in cd e vinile ed è stato trasmesso in prima serata su Rai3. È stato bellissimo anche perché è stato il primo concerto importante che ho fatto dopo un anno e mezzo da quel momento in cui si era fermato tutto a causa della pandemia. Non ti nascondo che trovarmi all’Arena di Verona a suonare la musica di Franco con tutti quegli artisti mi ha reso insonne la notte prima, non mi era mai successo in precedenza. Avevo sempre il timore di non avere i 90 minuti nelle gambe, era emozionatissimo anche Jovanotti, è salito sul palco per il soundcheck e continuava a ringraziare tutti, erano passati due anni dall’ultima data del Jova Beach Party di Linate, abbiamo condiviso tutti questa sensazione e l’abbiamo vissuta come una rinascita e, speriamo, una ripartenza.
Veniamo alle tue dirette nate su Facebook in pieno lockdown e ora approdate a Twitch, dove ho notato che dedichi molto tempo alla didattica, come stanno andando?
L’intrattenimento educativo è sempre stato fondamentale nelle mie dirette, sono comunque stato bravo soprattutto all’inizio, quando c’era il lockdown, ad essere più rassicurante per chi mi ascoltava suonando in acustico tanta musica italiana. Adesso che sembra quasi tutto tornato alla normalità, ho rimodulato le dirette, ho ricominciato a suonare in chiave elettrica e ho iniziato a raccontare un po’ tutta la storia del rock. Sul mio canale Youtube settimanalmente suono e racconto uno dei brani celebri della storia del rock. Ogni brano storico diventa un pretesto per storicizzare la musica contemporanea del 900. Legandomi a questo, il produttore cinematografico Marco Mandelli ha voluto realizzare un documentario, intitolato “Dove finiscono le mie dita”, riguardo alle dirette che ho fatto nel lockdown, è andato in giro per l’Italia ad intervistare coloro che hanno seguito queste dirette, poi è venuto a Procida. Il documentario si divide in tre parti, nella prima si racconta la mia vita fino a marzo del 2020, poi c’è il capitolo 2 che si chiama “I guerrieri della bellezza”, che è il nome che ho dato a tutti quelli che hanno seguito le mie dirette in quel periodo, e poi c’è l’ultimo capitolo che si chiama “La versione migliore di me stesso” che ha gettato le basi a questo mio nuovo disco. Con quest’ultima parte abbiamo voluto evidenziare il fatto che nessuno sarà mai il miglior chitarrista, il miglior giornalista, si può però essere la migliore versione di sé stessi concentrandosi sulle proprie potenzialità, oggi la versione migliore di me stesso è rappresentata da questo disco “Separazioni”.
Grazie mille per il tuo tempo, vuoi aggiungere qualcosa per chiudere l’intervista?
Grazie a te Marco, concludo legandomi a quello che ti ho detto all’inizio, il discorso cantautorale non è accantonato, mi faccio guidare dalla musica, se nei prossimi mesi o nei prossimi anni dovessero venir fuori dieci canzoni le registrerò, ho un approccio molto olistico da questo punto di vista, prima mi ponevo troppo spesso la domanda: “sono questo o sono quello?”, bisogna sempre mantenere sempre un’autenticità e vale la pena portare avanti tutto. Aggiungo che, da circa un anno, io e Riccardo Onori, il chitarrista di Jovanotti, ogni martedì alle 19 siamo in diretta su Instagram con “La stanza della chitarra” dove intervistiamo in diretta un personaggio legato al mondo della chitarra, abbiamo avuto ospiti finora artisti come Alex Britti, Maurizio Solieri, Andrea Braido, Fede Poggipollini.
MARCO PRITONI
Sono nato ad Imola nel 1979, la musica ha iniziato a far parte della mia vita da subito, grazie ai miei genitori che ascoltavano veramente di tutto. Appassionato anche di sport (da spettatore, non da praticante), suono il piano, il basso e la chitarra, scrivo report e recensioni e faccio interviste ad artisti italiani ed internazionali per Tuttorock per cui ho iniziato a collaborare grazie ad un incontro fortuito con Maurizio Donini durante un concerto.