KEEMOSABE – Il nuovo singolo, De Vrij e molto altro
In occasione dell’uscita del nuovo singolo “WWW (Whatever We Were)”, ho avuto il piacere di intervistare i Keemosabe, band nata nel 2016 tra le sponde del Lago Maggiore e i sobborghi di Londra. Tra melodie pop, groove pulsante e riff suadenti, nel 2019 esce il primo self-titled EP, registrato presso gli Abbey Road Studios di Londra e risultato di una profonda ricerca di identità musicale, che va a omaggiare quattro decadi di grande musica del secolo scorso.
Il singolo estratto Out of the City (Pt.1), uscito nel marzo 2019 in anteprima con il magazine statunitense New Noise Magazine, è stato premiato ai Roma Videoclip Awards come miglior video italiano indipendente, ed è stato inserito tra le nuove proposte Rock di VEVO e Tim Music. Il leggendario periodico Clash Magazine ha giudicato il loro EP come un “delicious mixture of dancefloor burners and precocious songwriting”.
Il 2019 vede anche la pubblicazione della colonna sonora del film Sturling, presentato in festival di tutto il mondo e vincitore di diversi premi. A settembre dello stesso anno appaiono in televisione nella tredicesima edizione di X- Factor Italia, con grandi elogi da pubblico e stampa, come Rolling Stone, che li definisce “una band vera, lo si capisce dal suono amalgamato e dalla consapevolezza artistica. Non è mica poco, soprattutto in tempi di carestia”. Nell’autunno 2019 entrano in studio per incidere il primo album, registrato nel naturalistico “La Sauna Recording Studio” e poi ultimato dal vincitore del premio Grammy Tommaso Colliva, già produttore di MUSE, Calibro 35 e Afterhours.
Con oltre settecentomila streams, e un’attitudine che guarda all’estero, in questi anni i Keemosabe si sono esibiti in leggendari locali e festival di grandi centri urbani come New York, Roma, Amsterdam, Milano e Londra, anche in apertura ad artisti italiani ed internazionali (I AM GIANT, Canova, Fulminacci e Kristeen Young).
Il 9 luglio è uscito il singolo “Hey Brother”, un brano in featuring con Stefan De Vrij, miglior difensore della serie A.
Ciao ragazzi, benvenuti su Tuttorock, parliamo subito di questo vostro nuovo singolo, WWW (Whatever We Were?), quando e com’è nato?
Ciao Tuttorock e ciao a tutti i lettori. È un piacere enorme avere questo spazio per dire la nostra!
WWW nasce in zona rossa tra le mura di un appartamento in cui ci siamo rinchiusi a vivere insieme, confrontarci, condividere idee e fare musica.
Il brano rappresenta una svolta davvero importante per la band a livello personale e di consapevolezza.
Per troppo tempo siamo stati incatenati dalle opinioni e aspettative altrui, dubitando di noi stessi e perdendo la motivazione primaria per cui abbiamo iniziato in nostro percorso da musicisti indipendenti: sentirci liberi danzando sopra alle regole di un mondo che non ci rappresenta, con il sogno di fornire una via di fuga ed un briciolo di speranza a chi, come noi, dalla vita ha preso spesso cazzotti sui denti. La notte in cui abbiamo scritto questa canzone ci siamo guardati negli occhi e promessi a vicenda quello che poi è diventato il ritornello: “tutto ciò che eravamo, non lo saremo mai più”. Una promessa semplice quanto difficilissima da mantenere. Una voglia di rinascita e di rivalsa del nostro credo contro tutto ciò che ci ha sempre limitato.
In estate avete pubblicato il singolo “Hey brother”, con il featuring del difensore olandese dell’Inter Stefan De Vrij, com’è nata questa collaborazione?
Tutto nasce dalla musica. Stefan è un vero appassionato e il suo gusto musicale rispecchia il nostro. Ascoltiamo le stesse band, abbiamo la stessa attitudine sul lavoro. Dalla stima reciproca e sincera possono nascere opere grandi, e noi crediamo davvero che “Hey Brother” sia stata un’avventura immensa, più grande di noi.
Ci siamo incontrati per caso, tramite un amico in comune e da lì è subito nata un’intesa particolare. Senza pensarci troppo abbiamo proposto a Stefan di suonare insieme e dopo gli allenamenti dell’Inter ci trovavamo con il preavviso di poche ore.
In studio da Tommaso Colliva abbiamo avuto la possibilità di sperimentare e far divertire Stefan, che ci ha stupiti sul serio. In quella sala a Milano resteranno tantissimi ricordi e momenti che abbiamo condiviso. È certo che questa collaborazione ci ha segnato ed insegnato nel profondo.
Che riscontri avete avuto da quel sodalizio musica/calcio?
Non possiamo nasconderlo: non è stato per nulla semplice lavorare a questo progetto, ma proprio per questo motivo c’è tanta soddisfazione. Sicuramente siamo arrivati a molte persone, specialmente nei Paesi Bassi, la terra d’origine di Stefan e un Paese che ci portiamo nel cuore da uno dei nostri tour in passato. È bello vedere dai dati Spotify come ancora tante persone olandesi stanno ascoltando quotidianamente il nostro repertorio. Anche in Italia il singolo è andato bene, da quando siamo nati come band ad oggi l’attenzione al progetto è sempre maggiore e questo ci carica di energia e voglia di fare musica nuova.
Non abbiamo scritto questo brano per avere un riscontro in particolare e pensiamo che ascoltandolo lo si capisca, in quanto non si tratta del classico singolo estivo “acchiappa click”. Il riscontro più grande è stato conoscere nuove persone e musicisti che condividono il nostro gusto e ascoltano con gioia ed interesse il messaggio artistico che comunichiamo.
“Hey Brother” è stato un altro battesimo di fuoco per noi KEEMOSABE; ci ha messo alla prova in molti momenti di tensione che inevitabilmente sovraccaricano un progetto ambizioso. Crediamo davvero che il brano abbia racchiuso le fondamenta per il nostro futuro: un futuro che visualizziamo ricco di collaborazioni artistiche che possano spaziare in ambiti musicali e non.
Questi due singoli andranno a far parte di un album?
Possiamo anticipare solo che arriverà tanta musica da casa KEEMOSABE. Ora siamo concentrati su “Whatever We Were” ed è giusto godersi il presente. Siamo ancora scottati dal non aver avuto l’occasione di promuovere il nostro primo Album “Look Closer”: ci fa male pensare che mezzo milione di persone lo hanno ascoltato in streaming su Spotify, ma non siamo riusciti a suonarlo dal vivo in un tour come ci eravamo prefissati, causa pandemia.
Ci siamo presi, così, il tempo di scrivere nuova musica, imparare nuove skills, gettare nuove fondamenta per il progetto e creare il nostro studio di registrazione dove produciamo altri artisti oltre ai nostri brani.
E, sì, aspettatevi di tutto. La voglia di suonare è tanta e le idee non ci mancano in questo periodo!
Quando e come vi siete conosciuti?
Ci conosciamo tutti da sempre. La scena musicale del Lago Maggiore non è così immensa. Se non ci si conosce è perchè, come spesso purtroppo accade, si fa finta di non conoscersi. Io (Sebastiano) e Alberto suoniamo insieme dal liceo e la passione per la musica ci ha portati a vivere, studiare e suonare a New York per tre anni. Una volta tornati dopo il diploma americano abbiamo ristrutturato uno studio – da lì in poi denominato “Laghetto Studios” – perso nei boschi del novarese. Suonavamo i nostri pezzi e cercavamo i componenti migliori per dare vita ai KEEMOSABE. Andrea è stata una delle prime persone che è venuta a trovarci e, senza pensarci troppo, il giorno dopo il nostro incontro stavamo spostando il suo intero studio di registrazione e iniziando a registrare la nostra prima demo. Da lì a poco ci siamo trasferiti a Londra dove ci siamo laureati e abbiamo fatto una gavetta live di tutto rispetto, coronandola con la registrazione del primo EP presso gli Abbey Road Studios e una indimenticabile performance nello Studio One di Abbey Road.
Visto che voi avete scelto quella strada un po’ di tempo fa, Londra rappresenta ancora il luogo migliore dove vivere per chi vuole fare della musica una professione?
È difficilissimo rispondere a questa domanda. La prima cosa che ci viene da dire è un gigante “DIPENDE”.
Se sei un cantautore italiano sicuramente Londra non è il posto adatto nel 99% dei casi. Se sei una band Rock che canta in inglese forse sì, ma devi tenere conto che a Londra competi con la serie A.
Noi abbiamo imparato tantissimo e siamo davvero grati. Abbiamo vissuto la scena musicale che amiamo attivamente suonando oltre 50 concerti in un anno e nessuno potrà mai privarci di questa fantastica esperienza.
“Fare della musica una professione” è una questione molto più ampia. Non bastano le esperienze che fai, i titoli di studio. Serve tanto sacrificio, tanto studio dell’attualità e delle novità, tante conoscenze extra musicali, tanta voglia di mettersi in gioco. Talvolta non bastano nemmeno tutte queste cose.
Qual è l’origine del vostro nome?
KEEMOSABE significa “fratelli di madre diversa” e ha origine dal dialetto Comanche dei Nativi Americani. Non siamo particolarmente legati all’estetica ed in generale al mondo da cui proviene il nome, in quanto si tratta di una cultura chiaramente distante anni luce dal nostro vissuto quotidiano.
Nonostante sia un nome complesso, racchiude in sé la semplicità di un messaggio universale e questo rende il nostro nome davvero speciale. È veramente molto importante la comunione di intenti in un progetto artistico, perché ogni giorno si viene messi alla prova. Ci troviamo spesso a parlare e confrontarci, in quanto la linfa vitale della band si racchiude nella volontà di remare verso una meta comune. Trascorriamo molto tempo insieme e, proprio come fratelli, è importante tenere viva la comunicazione e la voglia di creare ricordi indelebili insieme.
L’esperienza ad X-Factor cosa vi ha insegnato?
X-Factor è un programma televisivo che in passato non abbiamo mai seguito e, anzi, abbiamo sempre criticato come la stragrande maggioranza degli artisti con cui parliamo. Quando siamo finiti ai Bootcamp, onestamente, non sapevamo nemmeno cosa fossero e con una risata gli autori non ce lo hanno voluto spiegare pensando che li stessimo prendendo in giro.
Abbiamo voluto provare a partecipare, proprio perché detestiamo criticare gratuitamente ciò che ci circonda.
Contro ogni aspettativa la partecipazione ad X-Factor è stata super positiva. Abbiamo apprezzato tantissimo vedere in prima persona cosa si cela dietro al grande schermo! È stato come superare il “velo di Maya” e rendersi conto di un mondo di addetti ai lavori che portano avanti un progetto incredibile. Tutto organizzato e professionale a livelli davvero alti.
In tutta sincerità, ci dispiace solo aver realizzato che la musica sia l’ultimo interesse dietro al programma, e questo non lo diciamo per essere stati eliminati. Tanti artisti meritevoli cadono nel buio e spesso i riflettori si accendono solo su chi valorizza lo “show”.
Abbiamo davvero imparato tantissimo e rispettiamo profondamente il lavoro dietro le quinte, ma purtroppo non condividiamo per nulla come la musica stia diventando sempre di più un contorno e un prodotto da scaffale che segue le mode del momento.
X-Factor insegna che bisogna tenere l’asticella alta, perché l’Italia e il mondo è pieno di artisti con la A maiuscola, ed è la bellezza di essere circondati da idee e persone che hanno qualcosa da dire.
Il vostro più grande sogno musicale?
Sono anni che abbiamo il sogno nel cassetto di esportare la nostra musica all’estero. E sono anni che ci viene ribadito dagli addetti ai lavori che è praticamente impossibile. Non abbiamo mai smesso di crederci e continueremo sulla nostra strada sempre con più determinazione. Ora pare che i nostri connazionali Maneskin abbiano aperto delle porte per un nuovo capitolo e gli siamo grati. Tuttavia, tralasciando noi e cercando di essere il meno ego-riferiti possibile, ci sono veramente tantissimi artisti che meritano. Meritano non per forza il successo planetario, ma quantomeno di poter vivere con la propria musica.
Il mercato musicale diventa sempre più una minuscola élite e si riempiono i quotidiani e i palchi sempre degli stessi nomi.
Uno dei sogni più grandi è quello di vedere più fermento artistico, avere più spazio e possibilità! In Italia abbiamo più talenti di quello che ci fanno credere i social media.
Grazie mille per il vostro tempo, volete aggiungere qualcosa per chiudere quest’intervista?
Certo, ci teniamo ad aggiungere che noi ormai da diversi mesi stiamo provando ad essere davvero ciò che professiamo, e fino ad ora questo atteggiamento ci ha permesso di imparare e portare a termine obiettivi che mai avremmo creduto di poter raggiungere.
In tutto questo non vogliamo essere soli, anzi il nostro augurio migliore è che i pochi o tantissimi di voi che saranno arrivati a leggere fino a qui sentano dentro una fiamma riaccendersi e comincino concretamente a vivere secondo le proprie regole. È difficilissimo, lo sappiamo, proprio per questo vi proponiamo di farlo insieme! Scriveteci, becchiamoci, ammazziamoci di birre, facciamo musica, arte, facciamo festa, creiamo qualcosa di bello per il mondo intorno a noi.
Whatever We Were è un brano che non si prende troppo sul serio e deve servire proprio a questo: essere un sottofondo mentre noi, insieme, ci riprendiamo la nostra libertà.
Grazie!
MARCO PRITONI
Band:
Alberto Curtis – Voce e chitarre
Andrea Guarinoni – Basso e tastiere
Sebastiano Vecchio – Batteria
Sono nato ad Imola nel 1979, la musica ha iniziato a far parte della mia vita da subito, grazie ai miei genitori che ascoltavano veramente di tutto. Appassionato anche di sport (da spettatore, non da praticante), suono il piano, il basso e la chitarra, scrivo report e recensioni e faccio interviste ad artisti italiani ed internazionali per Tuttorock per cui ho iniziato a collaborare grazie ad un incontro fortuito con Maurizio Donini durante un concerto.