ALBERTO LOMBARDI – Intervista al cantautore e chitarrista romano
Ho avuto il piacere di fare una chiacchierata con Alberto Lombardi, virtuoso della chitarra riconosciuto a livello internazionale, specializzato sia nell’acustica fingerstyle che nell’elettrica rock. Alberto è anche un cantautore e ha appena pubblicato il suo nuovo disco “Home”, mixato dal leggendario fonico di Springsteen e Rolling Stones, Bob Clearmountain, a cui hanno partecipato le cantanti storiche degli Chic, Norma Jean Wright e Luci Martin. Nile Rodgers, produttore di David Bowie e Madonna, ha detto del disco: “Killing! Such great musicianship!” (Fortissimo, grandi capacità musicali). Alberto ha suonato sui palchi degli stadi San Siro di Milano e Olimpico di Roma, del celebre Pavillao Atlantico di Lisbona ma anche in club prestigiosi come 3rd and Lindsley di Nashville. Da 25 anni è anche session man per molti artisti italiani e internazionali, proprietario di uno studio di registrazione, arrangiatore, produttore e mixer di musica rock e pop.
Ciao Alberto, benvenuto su Tuttorock, innanzitutto, come stai?
Ciao Marco, tu come stai? Magari passiamo ad una domanda di riserva visto il periodo (ride – ndr).
Hai da poco pubblicato il tuo nuovo album “Home”, in formato solamente fisico, come mai, in un momento storico in cui tutto è fruibile online hai fatto questa scelta e che riscontri stai avendo?
Ho fatto questa sorta di esperimento del crowdfunding e devo dire che la cosa sta andando bene, però ho in previsione di rendere disponibile l’album in futuro anche sulle piattaforme digitali. I riscontri sono comunque molto buoni.
Raccontami un po’ di com’è avvenuto l’incontro con il leggendario fonico di Springsteen e Rolling Stones, Bob Clearmountain, che ha mixato il disco.
Bob è il re dei fonici, non lo conoscevo e ho trovato in rete una mail dove potergli scrivere. Gli ho mandato un mio brano e la sua segretaria mi ha risposto che lui era molto colpito dal mio modo di suonare la chitarra, io, saputo questo, ero al settimo cielo e siamo giunti e ha accettato di mixare il mio disco. Di solito faccio io il processo di mixaggio, ma farlo fare a Bob è stato per me un grande onore.
Parlami un po’ dei due singoli usciti finora, cominciamo con “Home”, cosa significa “casa” per te?
In realtà i singoli usciti sono 3, i due che hai detto più il primo, “Start Again”, che ha lanciato la campagna di crowdfunding. La casa per me non è intesa come una struttura fisica ma un luogo rappresentato dagli affetti più cari.
Nel video vedo molti frammenti di filmati del passato, vuoi dirmi qualcosa di più?
Molto volentieri, si tratta di filmati girati da mio nonno verso la fine degli anni 60, lui era un patito del super 8 e ci faceva mettere sempre in posa per riprenderci. Ho voluto rendergli omaggio selezionando e montando alcuni spezzoni di quei filmati.
Il singolo “Rich” invece? È un omaggio alla ricchezza così come la intendeva Bob Marley? Non a caso, all’interno del brano, e anche del video, c’è la sua citazione “Richness is my life, forever”.
Assolutamente sì, anche se “Rich” non è stata ispirata dall’intervista ma c’è stato un momento magico in cui, mentre la stavo registrando, ho scoperto quell’intervista di Bob Marley e mi son detto: “Dice esattamente le stesse cose che volevo dire io!”. Quindi ho deciso di inserire quello spezzone all’interno del brano.
Ascoltando il brano mi si è creata nella mia immaginazione l’immagine di Adam Levine dei Maroon 5 che incontra Mark Knopfler, sei d’accordo con questa mia interpretazione?
Di solito mi avvicinano a Sting, il tuo accostamento è abbastanza ardito, non ero mai stato affiancato a quei due nomi ma mi fa molto piacere, apprezzo molto come canta e come scrive Adam Levine. Mark Knopfler è un grandissimo, non sono cresciuto ascoltando i Dire Straits ma a distanza di tanti anni ne riconosco tutta la grandezza, quindi non posso che essere felice di ciò che mi hai detto.
Che tipo di lavoro hai fatto per arrivare a questi livelli vocali e di pronuncia della lingua inglese?
Non mi ritengo un cantante, cerco di non fare danni, mi piace cantare le mie canzoni ma non ho mai studiato canto seriamente, faccio da tutta la vita il chitarrista, per me ma soprattutto per altri e non ho mai dato alla voce una grandissima attenzione. Per quello che riguarda la pronuncia, fin da ragazzino ho sempre avuto un grande amore per la lingua inglese e sono stato tante volte in America e in Inghilterra. Negli USA, nel 1996, mi sono diplomato ad una famosa scuola di musica a Los Angeles, quindi sono stato a lungo in quella città. Poi, in questa terza o quarta fase della mia vita, faccio uso di uno stile chitarristico che si chiama fingerstyle, suono brani riarrangiati solamente con la chitarra acustica e, prima dell’emergenza Covid, andavo spesso negli Stati Uniti a fare concerti.
Hai detto che i Dire Straits non erano tra i tuoi ascolti nel passato, quali sono stati gli artisti che ti hanno ispirato?
Sono cresciuto ascoltando Sting, gli Eagles, i Pink Floyd e, allo stesso tempo, essendo un chitarrista, ascoltavo Steve Vai, Jimi Hendrix, Eric Clapton.
C’è invece qualche artista di oggi che ti ha colpito in maniera particolare?
Non so se inserirlo tra gli artisti di oggi ma, diciamo che, tra le ultime cose che mi sono rimaste nel cuore ci sono i brani di John Mayer, che comunque è un artista che ha iniziato ad avere successo una ventina di anni fa. Delle cose attuali sono un po’ a digiuno, potrei ritenermi un po’ un nostalgico.
Tra le tue innumerevoli collaborazioni, ce n’è una in particolare che ti ha dato qualcosa in più rispetto alle altre o le ritieni tutte sullo stesso livello?
Sono tutte cose molto belle, alla fine quando suoni con passione e non considerando la musica come un lavoro c’è sempre un arricchimento. Succede che ci siano occasioni in cui può sembrare di timbrare il cartellino ma se ci metti il desiderio è sempre bello. Se devo dirti un momento bello ce ne sono stati due, si tratta di due jam, una con Tommy Emmanuel e una con Steve Vai, l’emozione lì è stata davvero forte, quando suoni con due punti di riferimento così la sensazione fisica è molto intensa.
C’è invece un concerto che ti è rimasto impresso nella mente più di qualsiasi altro?
Piuttosto che un concerto ti cito gli ultimi due tour che ho fatto prima della pandemia, sono stati i primi due in cui mi sono trovato da solo con la mia chitarra acustica, uno in Germania e uno negli Stati Uniti. Il fatto di trovarmi da solo sui palchi di teatri belli è stato intenso ma anche leggermente spaventoso, perchè se suoni una nota sbagliata la sentono anche i muri (ride – ndr).
Tu che sei da anni nel mondo della musica, come artista, produttore, arrangiatore, mixer, come vivi questo momento di stallo della musica live? Sei d’accordo con me che, con i protocolli adottati la scorsa estate, potrebbero comunque aver luogo spettacoli in piena sicurezza?
Secondo me sì, è una decisione che molti di noi non capiscono. Se vai in un centro commerciale c’è la gente ammassata esattamente come sulle spiagge in estate, non si capisce perché quello sì mentre un teatro o un locale dove tutti sono tenuti a debita distanza, con le mascherine, no. Ho tanti amici gestori di locali qui a Roma che sono sull’orlo di tirare giù la saracinesca definitivamente, la situazione non era rosea già prima, ora è proprio drammatica, gli affitti rimangono, le bollette anche, e questa è gente che non sa più dove prendere i soldi. Ciò vale anche per tanti miei amici musicisti che sono finiti a fare altri lavori e qualcuno, purtroppo, ci ha rimesso anche le penne, vedi quel che è successo al jazzista Adriano Urso qualche giorno fa (colpito da infarto mentre lavorava come rider – ndr). Purtroppo questo significa che l’aiuto che dovrebbe arrivare da parte dello stato non sta arrivando, e non vale solo per i musicisti, soltanto che per altri ci sono strumenti storicamente collaudati, che funzionano comunque un po’ a singhiozzo. Vorrei dire che è colpa dello stato ma è un po’ colpa anche nostra, non siamo mai riusciti ad associarci come categoria di musicisti, meno male che almeno ci sono state SIAE e IMAIE che un po’ si sono occupate di noi qua in Italia. Negli Stati Uniti un po’ di tutela in più sono riusciti a raggiungerla.
C’è qualcos’altro che non hai ancora fatto e che ti piacerebbe fare nel mondo della musica?
Soddisfatto mai, la bellezza di questo lavoro è che bisogna porsi continuamente nuove sfide. L’ultima che mi ero posto io, prima della pandemia, consisteva nel voler fare un tributo alla Fender Stratocaster dove avrei suonato brani di Jimi Hendrix, Eric Clapton, David Gilmour, Steve Ray Vaughan, coloro che hanno reso famoso quello strumento. Mi piacerebbe portare questa cosa in un contesto teatrale.
Altri progetti futuri, stai scrivendo brani nuovi?
Domanda interessante, mi sto concentrando su una cosa diversa. Col fatto della pandemia, tutti si sono messi a fare dirette su internet, allora ho comprato un po’ di attrezzatura video per poterle fare bene pure io e ne approfitto per dire che tutti i lunedì alle 21 e 30 faccio una diretta su Facebook, Twitch e Youtube.
Grazie mille per il tuo tempo.
Grazie a te Marco, ciao!
MARCO PRITONI
Sono nato ad Imola nel 1979, la musica ha iniziato a far parte della mia vita da subito, grazie ai miei genitori che ascoltavano veramente di tutto. Appassionato anche di sport (da spettatore, non da praticante), suono il piano, il basso e la chitarra, scrivo report e recensioni e faccio interviste ad artisti italiani ed internazionali per Tuttorock per cui ho iniziato a collaborare grazie ad un incontro fortuito con Maurizio Donini durante un concerto.