Intervista alla fotografa Silvia Caselli
In occasione della pubblicazione del suo sito, abbiamo intervistato la giovane fotografa reggiana Silvia Caselli
Ciao e benvenuta sulle pagine di Tuttorock. Innanzitutto ti chiedo: chi è Silvia Caselli, e come nasce a livello professionale?
Non riuscirò mai a descrivere chi sono e come sono, quindi parto con rispondere a qualche domanda! Ho studiato al liceo artistico perché avevo una vera e propria passione per la storia dell’arte. Infatti avrei voluto laurearmi e insegnare arte, o lavorare come gallerista. Ma un incidente d’auto subito dopo la maturità mi ha tenuta ferma per due anni e bloccato tutti i progetti di vita futuri. Le priorità poi sono cambiate e mi sono cercata un lavoro, ho lavorato per quasi vent’anni nel mondo della moda, che aveva molto da insegnarmi e a cui ho dato molto, ma solo crescendo ho capito che nella mia vita – e per il mio carattere- non miravo ad avere una carriera lavorativa, ma volevo solo essere serena. Non volevo essere un numero e volevo realizzarmi prima con me stessa e poi il resto doveva venire di conseguenza. Attualmente infatti ho un lavoro che mi piace molto, perché mi sento parte di una quasi famiglia (che non c’entra più nulla con la moda) ma soprattutto dove non serve avere sempre la perfetta facciata da mostrare. Si lavora, si lavora in pace. Il resto della vita è quello che inizia dopo le otto ore!
Come e quando nasce la tua passione per la fotografia ?
La passione per la fotografia è sempre stata in me. Ricordo con chiarezza che da bambina stavo ore e ore a guardare le riviste di moda di mia madre, e altrettante a restare incantata sfogliando i libri di viaggi e natura di mio padre. Per non parlare di tutto il tempo che ho passato con mia nonna: è lei che mi ha cresciuta, che mi ha educata, e che mi ha insegnato il rispetto. I pomeriggi più belli erano quando lei sistemava le sue cose e puntualmente (sapeva che mi piaceva!) mi apriva “il suo cassetto dei ricordi” dove teneva tutte le sue foto. Immagini dei suoi fratelli, del dopoguerra, delle sue cugine, e di lei giovanissima (che si è sempre reputata bruttina) ma che per me è sempre stata di una bellezza disarmante. Sembrava una delle signorine che vedevo nei film di Charlie Chaplin!
Per diventare fotografa hai fatto degli studi particolari, o hai semplicemente seguito la tua vena creativa?
Dopo la mia prima vera e sudatissima macchina fotografica, ho avuto l’onore e il piacere di aver conosciuto un fotografo (di moda) che ha visto in me qualcosa e che mi ha insegnato molto Mi ha introdotto al mondo della fotografia in un modo più professionale, pur non essendo per me un lavoro, ma solo una fortissima passione. Ci tengo molto, infatti, a chiarire che non sono una fotografa professionista e non mi ritengo tale. Che non ho mai studiato fotografia” nel vero senso del termine, e che per certe cose sono completamente autodidatta. Tutto cuore e poca tecnica… un po’ come per la musica! Quando cominci ad avere una coscienza musicale è lei che ti guida ad andare avanti e a crearti il “tuo genere”, il tuo stile, le tue scoperte. La musica diventa tua anche se suonata da altri. La musica è vita, è sentimento, è vibrazioni ed emozione. Musica e fotografia vanno pari passo, nella mia vita. Ogni luogo che fotografo mi canta una canzone diversa.
Che tipologia di foto preferisci? Quali sono i soggetti e gli ambienti in cui ti muovi più volentieri?
Le foto di luoghi abbandonati sono la mia passione, e anche qui la prima a portarmi in questi posti è stata la nonna Bruna. Da bambina, durante i nostri lunghi giri in bici nella frazione di un piccolo paesino anche quello un po’ dimenticato, ci fermavamo all’ombra nei cortili di vecchi casolari, corti antiche e anche e soprattutto in una casa in particolare, quella “del màt Sisein”. Era una villa dall’architettura un po’ “gotica” di fine ‘800 lasciata andare in rovina. L’erede era un signore che, tornato dalla guerra, era stato chiuso in manicomio. Per via della legge Basaglia e la conseguente chiusura delle strutture era tornato a casa e aveva completamente ricoperto tutte le facciate, tranne il tetto, di mille e mille e mille mattonelle tutte diverse che andava a recuperare dai vari cantieri che trovava in giro per il paese. Il risultato alla fine era una specie di casa della famiglia Addams, ma con un qualcosa di assolutamente fiabesco, perché queste mattonelle erano di tutti i colori: viola, verdi, arancioni, rosa, nere!
Non appena la casa è rimasta vuota e senza eredi, ci sono entrata! E da lì poi è nato tutto… mi si è aperto un mondo, un mondo che avevo dentro e che non ero mai riuscita ad esprimere.
Fotografare, o comunque anche solo entrare, in luoghi abbandonati non credo che sia una cosa alla portata di tutti…
Sì, è vero. Andare alla ricerca, trovare, ed entrare in questi posti dimenticati da tutti, credo che non sia per chiunque, perché entri in un luogo – che sia una casa, un castello, una chiesa, un manicomio, un convento, un palazzo nobile, una colonia – che non è tuo, ma nel momento in cui entri diventa il tuo mondo. La cosa fondamentale per me è il rispetto che si deve avere per il luogo: si entra in punta di piedi, non si tocca nulla, per il tempo in cui si è dentro tutto mi appartiene ma niente è mio, e si respira aria antica. Sembrano posti rimasti fermi in attesa che qualcuno ritorni, destinati ad essere vittime del tempo e delle intemperie, e della natura che piano piano si riappropria dei propri spazi. Poi esco, ed esco pervasa di sensazioni belle, di quel silenzio quasi irreale, dove il tempo si è fermato, e per un po’ sembra che anche il tuo tempo si sia messo in pausa. Ci sono orologi fermi, occhiali ancora appoggiati su un libro pieni di polvere e ragnatele, vecchie culle e giochi in legno, gli occhi lucidi delle persone nelle foto ancora appese alle pareti, i vetri rotti, i letti ancora fatti, una vecchia radio, e l’immaginazione corre….. e ti fa pensare a quante persone a quante vite, e a quante storie si sono susseguite tra quelle mura. Mura scrostate, mattoni a pezzi, tetti che crollano. Nonostante questo puoi immaginare e quasi sentire le risate dei bambini che sono passati, le voci quasi sussurrate, altre volte le unghie che graffiano le porte di legno, e allora le urla.
Non parlo di fantasmi eh!! Parlo di storie che nascono dall’immaginazione.
Cosa vuoi comunicare o trasmettere, con le tue foto?
Quello che vorrei comunicare con le mie fotografie sono storie, storie di vita che è non è la nostra, ma che possiamo immaginare. Ognuno, guardando una foto, ha la libera interpretazione di immaginare cosa sia successo lì, perché se ne sono andati e mai più tornati. Vorrei solo fare una piccola parentesi in questo mio mondo, che probabilmente alla maggior parte di chi guarda potrebbe sembrare oscuro e triste. Non lo è: è ridare vita ad una luce che entra prepotente da una finestra rotta, è far rivivere un ricordo che si immortala in un istante, in uno scatto, è per la maggior parte delle volte il mio modo di esprimere qualcosa che ho dentro e che non riesco a dire, a scrivere o altro.
Ed è anche per questo motivo che hai deciso di creare il tuo sito…
Il mio sito nasce proprio con l’idea di dare a questi luoghi un’altra possibilità di vivere, anche se per poco, attraverso gli occhi e l’immaginazione di tutti quelli che – più o meno curiosi – vorranno fare attraverso i miei occhi un viaggio nel tempo, un tempo che si è fermato e si è lasciato gentilmente fotografare. Ci sono sezioni diverse attraverso il sito, con le quali cerco di farmi conoscere meglio, la sezione “Pieces of me”, soprattutto, è una serie di autoscatti, a cui so di dover lavorare ancora molto, ma si tratta di affrontare un faccia a faccia con me stessa, una prova allo specchio di tutte le mie paure, delle mie mie fragilità e delle insicurezze che vedo nella mia immagine riflessa.
Di tutte le volte che mi sono sentita e che mi sento persa, e proprio come riporta quel paragrafo del sito: a volte il posto in cui credi di esserti perso, sei tu.
Grazie, Silvia, per questa meravigliosa intervista.
Grazie a te, e a Tuttorock
Attiva da molti anni nel panorama musicale emiliano, Francesca Mercury si occupa di management e produzione in veste di talent-scout e promoter. È organizzatrice di eventi e ricopre il ruolo di stage manager in festival di importanza nazionale. È direttore artistico di progetti e format musicali e teatrali, molti dei quali sono proposti dall’Associazione Musicale “Avanzi Di Balera”, della quale è presidente. Fa parte del team redazionale di "Tuttorock", per il quale cura la rubrica "Almanacco Mercury", presente anche sulle maggiori piattaforme social e in programmi televisivi e radiofonici. Si occupa di formazione nelle scuole di musica emiliane e porta avanti iniziative dedicate alla storia della musica. Ama i suoi figli, le scarpe, la mortadella e Freddie Mercury.