Buena Vista Social Club: una storia cubana
In un’attualità dove si torna a parlare prepotentemente di differenze etniche, di discriminazioni razziali, e di muri, ho pensato di raccontarvi la storia di un disco: Buena Vista Social Club.
Più che la storia di un disco, è la storia di un locale, anzi di una cultura. Una cultura che non poteva e non doveva andare persa.
Il Buena Vista Social Club era un club riservato ai neri sorto a L’Avana negli anni ‘30 sotto la dittatura di Fulgencio Batista. Nel corso degli anni il club, che prese il nome dal quartiere in cui si trovava, raggiunse grande fama. tant’è che i migliori artisti cubani ci si esibivano e addirittura gli dedicavano delle canzoni. Il locale divenne un vero focolare della cultura afro di Cuba. La mattina offriva i servizi tipici di un’associazione sociale (come l’insegnamento di qualche mestiere artigianale agli adolescenti), e la sera si trasformava in grande sala da ballo dove orchestre di varia estrazione facevano scatenare i presenti con i ritmi della tradizione popolare.
Ma nel 1959 la musica cambiò, in tutti i sensi. Con l’avvento della rivoluzione infatti un’ondata di riforme si abbatté su Cuba. L’idea era quella di dare un taglio netto al passato, cercando nuove forme artistiche e ripudiando tutto ciò che anche solo simbolicamente potesse rappresentare un retaggio della “vecchia cultura”. Inoltre il primo presidente rivoluzionario Manuel Urritia Lleò, di forte impronta cristiana, vedeva il Buena Vista ed altri club come luogo di perdizione morale. Fu così che si andò lentamente disperdendo quello che era il patrimonio di un popolo. Tre anni dopo, nel 1963 su ordine del governo di Castro, il locale venne chiuso. Ma tanta “ricchezza” non poteva essere dimenticata.
Accadde infatti che un direttore d’orchestra. tale Juan de Marcos Gonzalez decise di mettere insieme una big band con i personaggi di spicco della “golden age” della tradizione cubana e i giovani musicisti più promettenti che continuavano a strizzare l’occhio a quelle sonorità.
Gonzalez aveva così la band gli Afro Cuban All Stars, doveva trovare soltanto un produttore, in modo da poter mettere in cassaforte quella musica che tanto voleva salvaguardare.
Così si recò a Londra nel 1995 dove incontrò Nick Gold, presidente della World Circuit Records, il quale accettò di produrre il disco.
Si volò a Cuba per incidere, e al carrozzone si unì il chitarrista californiano Ry Cooder, che era lì per registrare un suo lavoro ma che a causa dell’embargo vide i suoi musicisti del Mali non ottenere l’ingresso nel paese.
Cosa dire del disco? “Buena Vista Social Club” è un vaso di Pandora con al suo interno un ensamble che sviscera brani che vanno dal “son” tradizionale, al jazz afrolatino. Ritmi suadenti e coinvolgenti che difficilmente fanno star fermi chi li ascolta, ma anche accorate melodie dai toni agrodolci. Da questo lavoro ne verranno fuori altri e spiccheranno il volo talentuosissimi musicisti, ma questa è un’altra storia.
di Francesco Vaccaro
Studente di Ingegneria delle Telecomunicazioni presso l'università La Sapienza di Roma, da sempre animato dalla passione per la musica. Nel 2012 entra nel mondo dell'informazione musicale dove lavora alla nascita e all'affermazione del portale Warning Rock. Dal 2016 entra a far parte di TuttoRock del quale ne è attualmente il Direttore Editoriale, con all'attivo innumerevoli articoli tra recensioni, live-report, interviste e varie rubriche. Nel 2018, insieme al socio e amico Cristian Orlandi, crea Undone Project, rassegna di musica sperimentale che rappresenta in pieno la sua concezione artistica. Una musica libera, senza barriere né etichette, infiammata dall'amore di chi la crea e dalle emozioni di chi la ascolta.