“SEGRETO PUBBLICO” – SECONDO E INTENSO ALBUM DI CARMELO PIPITONE
Abbiamo raggiunto telefonicamente Carmelo Pipitone, chitarrista dal talento indiscusso e dal lungo curriculum artistico che vanta varie collaborazioni internazionali e partecipazioni in molte trasmissioni televisive: ricordiamo “Propaganda Live” su La7 e recentemente anche le partecipazioni alla trasmissione “Che Tempo Che Fa”, condotta da Fabio Fazio. Musicista, autore, cantautore: il 20 novembre scorso è uscito “Segreto pubblico”, il suo secondo album da solista a distanza di due anni dal primo “Cornucopia”.
Carmelo Pipitone non ha bisogno di presentazioni ma qualche cenno storico è sempre corretto farlo e devo dire che chiacchierare con lui è stato un momento di empatia preziosa, siamo rami dello stesso albero. Pipitone è stato co-fondatore del gruppo Marta sui Tubi ed ha all’attivo altri due progetti artistici, membro delle band O.R.K. e Dunk. Energia pura, profondità, talento, spessore, il suo nuovo lavoro rappresenta in pieno il suo percorso creativo e di scrittura, tra passato e presente. L’ultimo suo album, Segreto Pubblico, viaggia, in tal senso in questo iter personale e artistico, tra cantautorato, musica tradizionale e folk- rock, firmato dal suo stile inconfondibile. Una carriera artistica lunga e importante, sempre improntata all’originalità e alla raffinatezza creativa: vogliamo solo ricordare, per esempio, che con il gruppo Marta Sui Tubi ha formato un progetto originalissimo e di spessore per lunghi 15 anni tra palchi e album, un’intensa attività live sia nazionale che internazionale. Vere perle e preziosità le collaborazioni con Lucio Dalla, Franco Battiato, Enrico Ruggeri e tappe importanti sotto i riflettori del Primo Maggio a Roma, di Italia Wave con l’apertura ai Placebo, le apparizioni legate alla fiction “Romanzo Criminale”. Nel 2009, Carmelo riceve il Premio Insound come migliore chitarrista acustico. Insomma, stiamo parlando di un grande talento e di un artista di pregio. C’è anche il Festival di Sanremo, nella sua carriera e vita, il Festival del 2013 a cui partecipa con il gruppo Marta sui Tubi nella categoria big con due brani; “Dispari” e “Vorrei”, duettando, con Antonella Ruggiero, nella serata dedicata a brani storici. I temi affrontati e l’idea comune delle sue canzoni: come ci ha raccontato nell’intervista che segue, Carmelo Pipitone preferisce affrontare un tema alla volta: nel caso di Cornucopia il tema principale era l’attacco di panico e tutto quello che ne consegue, la paura della paura, nel caso dell’ultimo album “Segreto Pubblico”, l’artista ha preso in esame l’omicidio, in particolare il femminicidio. Tema dolorosamente noto alle cronache nazionali, un fenomeno costante e in crescita ai danni delle donne: la violenza domestica, l’abuso, la difficoltà nel denunciare.
Partiamo dal tuo ultimo album “Segreto Pubblico”: continua la collaborazione e produzione artistica di Lorenzo Esposito Fornasari. Avete un bel connubio artistico ed empatia tra voi?
Assolutamente sì, con lui condivido anche l’esperienza con un altro progetto artistico, quello con gli O.R.K., Lorenzo è il cantante del gruppo. In realtà questo connubio è nato proprio quattro, cinque anni fa quando è nato quel progetto. Da lì in poi, mi è venuto in mente e ho avuto desiderio di coinvolgerlo anche nel mio progetto singolo, per vedere cosa poteva succedere artisticamente: devo dire che la sua sensibilità artistica e umana hanno dato grande valore aggiunto.
Segreto Pubblico è stato anticipato da due singoli, “Le mani di Rodolfo” e “Gabriè”. Perché questo titolo “segreto pubblico” e qual è l’idea comune dell’album, degli 11 pezzi?
L’album contiene undici brani, il ritratto del nostro lato oscuro, un “segreto” che tutti possono toccare come si tocca qualcosa che ci fa male. Perché è un “segreto”, una cosa che sappiamo tutti e che facciamo finta di non sapere. Una sorta di tabù, un segreto “palese”, nel caso specifico “l’odio” è quella vena che può partire da un momento all’altro e farti diventare una “bestia”: il male. Quel lato è nascosto dentro di noi, a volte viene fuori ferocemente mentre in altri casi è sopito all’interno di noi stessi, magari senza mai scoprirlo nell’arco di una vita intera. Siamo un po’ tutti animali e un po’ bestie.
Stiamo parlando del lato oscuro, nascosto dentro ognuno di noi. Ne siamo consapevoli?
Esattamente. Quando osserviamo la faccia, il viso di una persona arrestata per omicidio che ha ucciso qualcuno o sterminato la famiglia, quella stessa persona il giorno prima era l’uomo più perfetto e buono del mondo; in realtà sappiamo benissimo che “quello” siamo noi. Potremmo essere noi.
Colpisce sempre, nei casi di cronaca nera, quando viene arrestato un assassino o presunto tale, l’intervista ai condomini della stessa palazzina dove questa persona aveva vissuto e la loro risposta comune è sempre la stessa “era normale, era tanto buono, era una brava persona e salutava sempre, mai avremmo immaginato”: un assassino non è per forza uno psicopatico ma è spessissimo l’uomo della porta accanto.
Ricordando infatti lo spettacolo teatrale TuttoBenigni 95/96, diretto e intrepretato da lui, Benigni parlando sul palco di Pacciani disse proprio “avrà salutato pure qualcuno ogni tanto, non è che ammazzava tutti”!
Il lato oscuro è molto interessante, è questa l’idea comune ed è anche il filo conduttore del nuovo album? Cosa spinge determinate persone a commettere azioni violente e sanguinarie? E’ questo il punto che prendi in esame.
Mi sono calato e inventato questo personaggio, nascosto un po’ dentro ognuno di noi, un personaggio che uccide la propria ragazza, cambia corpo e si sposta in un’altra vita, rovinando un’altra vita ancora; questo personaggio ha comunque dei ricordi, una vita, si è innamorato, avrà fatto alcune cose magari molte delle quali straordinarie, è stato bambino, sarà stato anche bravissimo in qualche talento. Chi uccide ha avuto comunque una vita “prima”, precedente, e ha rovinato tutto con un “colpo di testa” – chiamiamolo così – che mi fa molta paura; temo che questo possa vivere sotto l’epidermide della mia pelle. Scaccio questa paura, esorcizzo questo pensiero probabilmente scrivendo testi, canzoni.
Esorcizzare le paure è la tua esigenza narrativa?
E’ una terapia, qualcuno dice che se non scrivi canzoni devi andare da un analista. Non parlo di me, in questo disco ma del “potenziale me”, introdotto in una situazione estrema credo che potrei anche uccidere delle persone.
Pensiamo all’assassino della giovane coppia di Lecce, uccisi da un loro amico e convivente per un periodo nello stesso appartamento. Continua a ripetere da mesi che “la loro felicità lo infastidiva”. Indagare la mente umana è cosa complessa e capire cosa scatti nel cervello di una persona.
Basta anche solo questo, la felicità di qualcuno. Io immagino che possa scattare nel cervello umano, comunque molto complicato, un qualcosa che forse non c’era nemmeno prima; non è una rabbia che cresce ma qualcosa che si spezza.
Parliamo del brano “Gabriè”, atmosfera intensa: chi è Gabriele?
Gabriele è l’esatto opposto: l’animo “gentile”, diametralmente opposto al personaggio di cui abbiamo parlato e che abbiamo dipinto fino ad ora. Lui guardava il mondo sorridendo, probabilmente Gabriele non ha mai percepito “il lato oscuro”, durante la sua vita. Non gli è stato dato nemmeno tanto tempo per essere partecipe di questo lato che forse avrà avuto anche lui ma era talmente nascosto che era ed è quasi impossibile da trovare.
La realtà e la quotidianità, la cronaca nera, ci mostrano tutti i giorni il nostro lato oscuro. Ti chiedo, noi abbiamo paura di comprendere la nostra zona d’ombra?
Il lato oscuro potrebbe combaciare per esempio con un lato vicino alla libertà, cosa che non ci possiamo permettere nelle nostre vite. Non possiamo mai o quasi mai essere noi stessi e quindi probabilmente io confondo con il lato oscuro anche questa parte umana che è quella della libertà di espressione che non ci possiamo permettere di avere.
Sei un artista estremamente creativo ed eclettico. Per creare, esci dalla tua zona confort? Quando scrivi, in che orari della giornata?
La notte è probabilmente quella che porta più “scompiglio” e ne ho approfittato per tutta la mia vita, rispetto alle ore diurne. Con “l’aiuto delle tenebre” possiamo permetterci di fare quello che vogliamo perché quello che la gente vede di noi è soltanto un’ombra. Personalmente cerco in tutti i modi di svegliarmi se sto dormendo e scrivere quello che penso, quello che ho sognato, quello che per me deve diventare assolutamente oggetto di una canzone, sperando una buona canzone.
Un disco composto da undici brani, undici tracce: quanto hai impiegato a scrivere l’album?
Concepirlo è stato relativamente breve, l’ho scritto in un paio di mesi. Originariamente era un disco formato da quattordici pezzi ma poi i temi di due brani andavano un po’ fuori contesto; inoltre i due brani non inclusi erano, paradossalmente, stati scritti per primi ed eliminati alla fine. Il paradosso è proprio questo: il tutto nato da due canzoni che alla fine sono state scartate. Il terzo pezzo è stato “Le mani di Rodolfo”, e da lì è partito tutto: l’omicidio di una ragazza, un caso di cronaca che mi era capitato di leggere e che mi aveva molto colpito: il 6 ottobre del 2006 una ragazza venne trovata morta nel proprio appartamento e tra le mani stringeva quel che restava di una rosa e la foto del suo ragazzo senza occhi che gli erano stati ritagliati con una forbicina. È l’epilogo di una strana storia d’amore dal finale tragico e molto inquietante. Un fatto che mi aveva molto colpito e ho pensato infatti che ci fosse qualcosa di nascosto che non sapremo mai.
A quale pubblico ti rivolgi? Ami il pubblico di nicchia o i grandi palchi?
Considerando che mi annoio facilmente e quasi subito, cerco di essere più veloce possibile. Il mio modo di scrivere credo sia rivolto a persone più o meno della mia età, sicuramente dai 40 anni in su, a coloro che hanno fatto il “giro di boa”, quelli che ad un certo punto si sono svegliati e hanno detto “mi sa che c’è qualcosa di profondamente sbagliato” e quindi “proviamo a cambiare”, a muoverci in altra maniera. Iniziare a capire qualcosa di diverso che fino ad oggi era stata una certezza. Ho sofferto di attacchi di panico, il primo attacco l’ho avuto intorno ai 40 anni e da lì è partito un nuovo percorso; mi rivolgo dunque a quelle persone che a un certo punto della loro vita hanno avuto una sorta di lucida consapevolezza e che arriva improvvisamente. Mi rivolgo a quelle persone in cui scatta o è scattato un livello di consapevolezza nuova e diversa. Restando agli attacchi di panico, ne potremmo parlare in termini molto diversi ma quello che mi interessa in questo momento è in termini produttivi: cercare di trovare in quella esperienza la parte migliore, se parte migliore esiste e cercare di raccontarla agli altri, la “paura della paura”. Il disturbo di panico nasconde molte cose che pensavi non facessero parte della tua vita e nasce improvvisamente, dal nulla. Disturbo che ora so gestire e ho imparato a gestire; le persone che ascoltano queste mie parole devono soltanto cercare di trovare dentro di sé una sorta di risposta che – come diceva Guzzanti in una gag – “certe volte è sbagliata”.
Quali sono i principi saldi, imprescindibili – senza mettere etichette naturalmente – della musica secondo la tua esperienza e sensibilità? Il cantautorato, il punk, il rock, il prog?
Le etichette non mi interessano, bisogna avere qualcosa da dire. Di base, propendo certamente verso il folk rock e il punk in alcune accezioni ma non mi metterei a disquisire di musica, ognuno ascolta quello che vuole: l’importante è che ci siano delle cose da dire.
Un tuo pensiero sui luoghi di cultura chiusi, in questo momento di emergenza sanitaria:
I luoghi di cultura sono stati i primi ad essere chiusi, la musica è stata penalizzata. Per me la musica è fondamentale come lo è per moltissima gente, per tantissimi artisti e lavoratori. Una volta un amico mi fece notare che non tutti “pensano in musica”, non tutti hanno quella sensibilità o magari altri pensano ad altro e naturalmente questa frase mi ha fatto riflettere che davvero non siamo tutti uguali e questo non esserlo va accettato. Siamo interessanti proprio perché diversi. La cultura ha subìto un blocco generale, in questa emergenza, I luoghi di cultura sono stati immediatamente chiusi perché si pensa siano motivo di assembramento: certamente, lo sono e lo sono stati ma non siamo stupidi o sprovveduti, sappiamo come organizzarci e prendere le giuste precauzioni, seguendo le normative. Vorrei soltanto sapere come andrà a finire, nel mio settore tutti stanno provando a capire e a trovare una soluzione. Anche la promozione del disco, come nel mio caso, è in questo momento cosa complicata ed è grazie al supporto di radio e giornali che noi riusciamo ancora a rallentare l’inevitabile.
Comprendere se stessi è saggezza e tu ce lo hai raccontato profondamente. Voglio salutarti con uno stralcio da “Il Corvo”, poesia di Edgard Allan Poe: “scrutando in quella profonda oscurità, rimasi a lungo, stupito, impaurito, sospettoso, sognando sogni che nessun mortale mai ha osato sognare”. Potrebbero essere versi scritti da te.
Mi sembrano quasi parole “strappate”…un modo più gentile di saper ragionare rispetto alla mia povera anima. Noi sognamo “sogni” sostanzialmente perché ci consideriamo in qualche maniera “diversi” e in realtà lo siamo anche; cerchiamo di elevarci e forse pecchiamo di egocentrismo o in alcuni casi di superiorità. E’ anche vero, a questo punto, che a 40 anni non posso più condividere il mio tempo e il mio spazio con gente che non ha niente e nulla da insegnarmi: dalle persone voglio imparare.
Alessandra Paparelli
Alessandra Paparelli speaker e conduttrice radiofonica, collabora e lavora con diverse riviste e giornali cartacei. Conduco il venerdì un programma di politica su RID RADIO INCONTRO DONNA 96.8 fm su Roma e nel Lazio. Scrivo e collaboro sul quotidiano in edicola La Notizia, pagina culturale, attualità, spettacolo (in edicola a Roma, Milano e Napoli).