LUCYNINE – Intervista sull’album di debutto “Amor Venenat”
Ho intervistato via Skype Sergio Bertani, polistrumentista, cantante e produttore piemontese, e abbiamo parlato un po’ del suo progetto solista Lucynine e del suo album di debutto Amor Venenat, con uscita prevista per venerdì 31 luglio.
Ciao Sergio, benvenuto sulle pagine di Tuttorock, innanzitutto come va in generale?
Ciao Marco, è un piacere, adesso pian pianino qualcosa inizia ad ingranare anche se, nel mondo della creatività, è molto dura, io faccio anche il fotografo di scena soprattutto per teatro, eventi ed attori, sono molto fermo, sto facendo tanto per la musica ma quello è il modo in cui spendo i soldi, me le sono scelte bene le attività (ride – ndr).
Il periodo di lockdown come l’hai vissuto?
Sono stato malato pure io ad inizio anno, quindi ho fatto due quarantene. Ho suonato tanto ed ho occupato il tempo inventandomi qualcosa.
Prima di partire a parlare di questo primo LP del tuo progetto solista, ti chiedo perchè hai scelto il nome Lucynine.
Più che nome d’arte è il nome del progetto, che prevede me ed alcuni ospiti. In realtà l’esigenza è di distinguermi dalla professione che faccio, come fotografo e videomaker sono rimasto Sergio Bertani, quello che faccio all’interno della musica, anche colonne sonore per video, dvd e multimedia, è tutto a nome Lucynine.
L’album tuo di debutto, da me molto apprezzato, uscirà il 31 luglio ed è stato preceduto da un EP uscito nel 2013, come mai hai fatto passare così tanto tempo prima di registrare un LP, volevi essere sicuro che il livello fosse alto?
Non è stata una cosa ponderata, in questi 6 o 7 anni in realtà qualcosa ho fatto, ovvero due cortometraggi, di uno di essi ho curato tutto, video, testo e musica, dell’altro ho fatto solo la colonna sonora, l’audio e la direzione del doppiaggio. Non sono usciti sotto il nome Lucynine perchè lavoravo con altre persone, però dal primo di essi è nata la collaborazione con Dario Penne, c’era lui come voce recitante. Poi mi è venuta un’esigenza di fare musica ed ho scritto i brani per questo LP.
Ed infatti il livello è molto alto, hai suonato tutto tu? Quanto tempo hai impiegato nella registrazione?
È stato un lavoro fatto in maniera strana, man mano che componevo registravo e mixavo, tutto il processo è durato un anno abbondante poi, alla fine, quando tutti i brani erano pronti ho dato una botta finale al mix e poi ho fatto il mastering finale.
Sei arrivato a firmare con un’etichetta scandinava, la finlandese Inverse Records, come ci sei riuscito?
Me l’ha trovata l’agenzia, la NeeCee Agency.
Ci sono tantissime influenze nel tuo modo di cantare e di suonare, dal black metal al punk rock, dal doom alla dark wave, anche qualcosa che definirei psycho/jazz, ciò fa trasparire il fatto che tu sia un divoratore di musica nella sua totalità, è così?
Sì, la mia famiglia è basata sulla musica classica, mia sorella è una pianista classica, mio cognato è un violoncellista, mio zio faceva parte dell’orchestra della RAI, per cui fin da bambino ho sempre ascoltato musica classica, poi ho scoperto i Queen e i Beatles e sono arrivato ad amare il rock, poi sono arrivati gli Iron Maiden che hanno estremizzato i miei ascolti. Nei dischi che vedi alle mie spalle c’è di tutto, dall’elettronica al brit pop, il trip hop, il mio gruppo preferito, per dirti, sono i Portishead, non ho limiti, come ben sai mi piacciono anche i Coldplay. Sto pagando un po’ l’intransigenza del mondo metal, per alcuni ci sono troppi generi nella mia musica.
Visto che te la cavi molto bene, hai fatto qualche corso di canto?
Sono autodidatta sul canto, l’unico strumento che ho studiato è il pianoforte, mi diverto molto e dedico tanto tempo alla sperimentazione, al cercare di migliorarmi. Credo che la costanza, alla fine, sia quella che porta a dei risultati. Non faccio vacanze e non esco tanto con gli amici ma, stando tanto tempo in studio, i risultati si vedono.
La peculiarità di questo lavoro è che non sai mai cosa aspettarti dalla successiva traccia, come se gli Alice in Chains cedessero il microfono al Marylin Manson di “Mechanical Animals”, e tante altre sfaccettature, c’è anche molta teatralità in alcuni brani, penso ad esempio al tuo recitare in “White Roses”, tu apprezzi ogni forma d’arte?
Sì, sono un casinista (ride – ndr). È difficile per me, e mi rendo conto che per alcuni possa essere un limite dire: “adesso faccio un album solo blackmetal”. Ciò esprimerebbe solamente il 10 % di quello che vorrei dire, allora mi incasino con altri generi. Il teatro è parte integrante della mia vita, ci lavoro e, se devo dire qualcosa, lo faccio fare a chi è del mestiere, a chi ne è capace, come ho fatto con Dario Penne e con altre doppiatrici/attrici.
Nel brano “Heartectomy”, di cui è stato girato anche il video, alla fine urli a squarciagola “Io non credo più nell’uomo”, in una tua visione dell’umanità che è molto più negativa e purtroppo penso molto più veritiera del “credo negli esseri umani” contenuto in uno spot trasmesso più volte ogni giorno. Questo virus, invece che sensibilizzare le persone, sembra averne peggiorato i comportamenti, soprattutto se parliamo di rispetto della natura e del prossimo, sei d’accordo?
Temo di sì, poi sicuramente stando sui social, che sono un po’ il cancro odierno, siamo bombardati da questa necessità di odiare, dalla politica al marketing tutto si basa sull’odio represso delle persone e questo mi fa molto paura, l’odio non scatena mai cose buone. In realtà, il “non credo più nell’uomo” del mio brano è un po’ ambiguo e paradossalmente non si riferisce all’umanità ma all’uomo maschio, è la fine di un amore, è tutto in parallelo con il mito di Prometeo.
Il tema principale dei brani è l’amore, un amore visto però nel suo lato più negativo ed oscuro, è frutto delle tue esperienze personali?
Sì, sono stato 11 anni con mio marito che è mancato nel 2018, ci siamo sposati in realtà 26 ore prima che morisse, abbiamo scoperto la sua malattia 15 giorni prima, è stata una cosa molto rapida ed è stato uno shock enorme. Avevo 33 anni, quindi un terzo della mia vita l’avevo passato con lui e mi è crollato tutto, il disco è frutto della depressione di quel periodo e adesso, dopo quasi due anni, non sono più lo stesso perchè per fortuna sto un po’ meglio. Lì c’è molto nero e scrivere quei brani è stata una terapia.
“Apostasia” parla ovviamente della defezione dalla fede, tu che rapporto hai con le religioni?
Ho un rapporto pessimo, sono cresciuto in una famiglia cattolicissima, mio padre era un diacono, poi anche i miei genitori si sono piegati un po’ ma non è stato facile. Appena ho avuto una mente pensante mi sono allontanato molto dalla religione e ora sono ateo, però, guardando da fuori questo mondo, al di là della fede che è una cosa più intima che accetto, mi infastidisce molto la religione istituzionalizzata che ha radicato nella società dei pregiudizi brutti e discriminanti verso chi è diverso da quello che loro considerano giusto, dalla loro morale. Un po’ più di accettazione di ciò che è diverso da noi farebbe vivere tutti meglio.
C’è spazio anche per una cover molto riuscita: “Everyone I Love Is Dead”, dei Type O Negative, un gruppo che secondo me non è mai stato celebrato come avrebbe dovuto accadere, sei d’accordo?
Sei il primo che mi chiede di questa cosa, nessuno ha capito che fosse una cover, speravo che venisse fuori prima o poi. È un gruppo che adoro, poi questo brano si infilava bene come concetto nell’album. Peter Steele è stato un personaggio che meriterebbe di essere celebrato molto di più.
Come mi dicevi prima, ti sei avvalso della collaborazione di artisti che lavorano in ambito cinematografico, com’è avvenuto il tuo incontro con Dario Penne, storico doppiatore di Anthony Hopkins, che presta la sua voce proprio alla fine del brano che porta il nome dell’attore gallese?
Dario è stato il primo che ho conosciuto e, come ti dicevo, ha collaborato al mio cortometraggio. L’ho incontrato perchè allora studiavo al Conservatorio di Cuneo e il mio docente di produzione audio era Carlo Rossi, scomparso purtroppo in un incidente motociclistico. Carlo era il produttore di quasi tutta la più grande musica italiana, da Caparezza ai Litfiba, passando per Jovanotti. In quel periodo era uscito “Le dimensioni del mio caos” di Caparezza e lì dentro c’era Dario Penne, lui è il doppiatore di Anthony Hopkins, allora gli ho chiesto se avrebbe potuto darmi una mano per il mio cortometraggio, mi ha dato il suo numero di telefono ed io, imbarazzatissimo, l’ho chiamato. Lui mi ha chiesto di mandargli il corto, gli è piaciuto, siamo andati a registrare a Roma e mi ha pagato metà della sala di incisione, è davvero una persona fantastica. Allora gli ho chiesto di registrare una nuova parte nel disco ed ha accettato.
E alle attrici Gianna Coletti, Claudia Lawrence e Grazia Migneco come sei arrivato?
Quel cortometraggio mi ha fatto conoscere tanti doppiatori, che sono quelli con cui lavoro anche oggi, molti sono anche nel teatro, ad esempio Gianna Coletti è un’attrice di cui curo tutta l’immagine, dai ritratti alle locandine fino alle foto di scena. Claudia e Grazia sono amiche doppiatrici ed attrici di Milano, quindi è come se avessi chiesto una mano a degli amici.
Essendo una one man band, come pensi di proporre live questo disco, una volta che sarà possibile?
Bella domanda, l’ultimo live che ho fatto in generale è stato nel 2013, misi su una band, Lucynine, per eseguire un solo brano al Teatro Toselli di Cuneo, è stato divertentissimo, era un medley riarrangiato dei Beatles, lo puoi trovare anche su Youtube. Io ho una vita molto nomade, è difficile per me mettere in piedi un gruppo, è difficile anche avere un gatto per me, quindi non so bene se per me sarà possibile portare questo disco in sede live, per adesso non è pianificato. Poi ora vedo che la situazione per locali e artisti è molto triste, anche da fan questo momento storico mi preoccupa, mi mancano i concerti e temo che sarà sempre più difficile.
Il disco uscirà solo in digitale o anche in formato fisico?
C’è anche il digipack, guardalo, è qua (ride – ndr). Ci tenevo molto che uscisse anche in formato fisico.
Qual è il tuo sogno musicale più grande?
Io non mi accontento mai (ride – ndr), però, se ti svelo il mio sogno, poi non si avvera.
Grazie mille per il tuo tempo, vuoi dire qualcosa ai lettori di questa intervista e a chi ascolterà il tuo disco?
Intanto ringrazio te e i lettori di Tuttorock e, visto che è una rivista che parla di tutta la musica, conto molto sull’apertura mentale di chi ascolterà questo disco, senza presunzione, cercando di non aspettarsi un album appartenente ad un genere preciso, perchè in realtà è una specie di montagne russe. Ciao!
MARCO PRITONI
Sono nato ad Imola nel 1979, la musica ha iniziato a far parte della mia vita da subito, grazie ai miei genitori che ascoltavano veramente di tutto. Appassionato anche di sport (da spettatore, non da praticante), suono il piano, il basso e la chitarra, scrivo report e recensioni e faccio interviste ad artisti italiani ed internazionali per Tuttorock per cui ho iniziato a collaborare grazie ad un incontro fortuito con Maurizio Donini durante un concerto.