MARONGIU & I SPORCACCIONI – Intervista alla band
In occasione dell’uscita del loro terzo album “MULO DE PAESE” ho intervistato la band MARONGIU & I SPORCACCIONI.
Marongiu & i Sporcaccioni sono usciti con il loro nuovo disco d’inediti a cui hanno dato il titolo di “Mulo de Paese”. E’ il loro terzo disco «ufficiale», godibile sotto il profilo della qualità musicale raggiunta e maturo nelle liriche spassionate. Abbiamo posto alcune domande al gruppo.
Vi chiederei innanzitutto di tracciare un breve profilo del gruppo a beneficio dei lettori di Tuttorock. Chi siete? Da dove venite? Dove vorreste arrivare?
Un saluto a tutti. Siamo Marongiu & I Sporcaccioni e proveniamo dalla bisiacaria, un insieme di paesi che costituisce parte della provincia di Gorizia. Quel che li unisce è il dialetto che vi si parla, che è lo stesso in cui cantiamo: il dialetto bisiacco (o bisiaco). Più che arrivare da qualche parte, la nostra missione è di continuare a migliorare la qualità della musica. Sono almeno tredici anni che inseguiamo la decenza e ci pare finalmente di esserci riusciti.
Abbiamo apprezzato molto il CD “Mulo de Paese”. Coinvolgente e ben suonato, sembra sublimare perfettamente la quintessenza di certo disincantato, lento e pigro vivere di provincia. Come sono nate le varie canzoni?
Grazie. È una domanda molto difficile, perché parlare dell’origine di una canzone può essere tremendamente semplice e complesso al contempo. Ci basti pensare che a un grande compositore come Kurt Weil serviva far cantare le sue cose alla moglie per capire se fossero o meno buone. Capisci? Doveva servirsi di una sensibilità extra musicale e non del parere di un rinomato direttore d’ orchestra per testare quei lavori! Spero di essermi spiegato. Le canzoni sono un mondo a parte, di cui forse è bene non parlarne troppo per preservarne il mistero (chissà se l’aneddoto è corretto o me lo sono inventato…poco importa)…
Un impianto musicale che comprende blues, garage, new wave e quant’altro e testi in dialetto bisiacco. È stato difficile mettere insieme musica e parole?
No. Con gli anni credo di aver imparato a separare le tentazioni di certa prosa cantautoriale offrendo un’aderenza equilibrata a moduli e suoni dello stile musicale che in quel momento si è scelto di abitare. Quest’ ansia continua di certi “indie rockers” italiani di doverti spiegare tutto e formulare frasi kilometriche per rassicurarti su quanto siano intelligenti e scolarizzati – trattare cioè l’ascoltatore come un ritardato – è vomitevole. Poche frasi, ben pesate, al servizio dell’intuizione alla base della canzone. È questa la nostra filosofia.
Dei numi tutelari della vostra musica conosciamo la provenienza. In genere, al di là dell’influenza che possono aver esercitato sulle vostre canzoni, quali sono gli artisti dell’attuale scena rock che ascoltate e che apprezzate maggiormente? Ascoltate qualcuno tra gli italiani?
Fra i giovani c’è Ezra Furman, che riesce a coniugare oltraggio e assenza di pudore con pudicizia e spiritualità ebraica. In pochi minuti di canzone. Ti sfido a farlo. Sessualità e politica. Impulsi autodistruttivi ed amore per la vita. Van Morrison e Bob Dylan. Bruce Springsteen e gli Stooges. Non è poco. Doo-wop e tragedia da cabaret Berlinese. Avvincenti contrasti che in tono minore si ritrovano anche nei nostri materiali. Italiani? Don Antonio, Sacri Cuori, Joe Perrino, Skiantos, John See a Day, Catarrhal Noise, Herman Medrano & Kalibro.
L’album è stato realizzato con lo speciale contributo di una selva di musicisti esterni al gruppo. Ha comportato delle difficoltà mettere a servizio delle vostre songs la sensibilità artistica di così tante persone?
No. Una volta in studio è Antonio Gramentieri a fare da collante fra le tue canzoni e gli ospiti del disco. Ha l’autorità necessaria per fargli intendere fino a che punto il loro contributo è utile e dove invece una nota in più o un qualsivoglia orpello, sarebbe nocivo per la riuscita del pezzo. Che siano affermati o meno, devono mettersi al servizio della musica. Questo con lui diventa chiaro da subito e per quanto esibisca modi all’ apparenza ridanciani, chiunque tu sia finisci subito per dargli retta. Non so quanti produttori in Italia siano in grado di operare un lavoro di scavo psicologico così completo e credo sia il motivo per cui è molto richiesto.
Consentitemi una domanda da sardo e cagliaritano d’adozione. Come è avvenuto l’incontro tra voi e Joe Perrino, rocker isolano di lungo corso e artista di cui conosco vari progetti a partire, credo, dagli anni Ottanta del secolo scorso?
A febbraio dell’anno scorso su Rai 5 l’ ho sentito cantare e descrivere la Sardegna in termini così inusuali ed efficaci che mi ha appassionato. Gli ho detto che il suo timbro vocale mi ricordava Willie DeVille e con educazione gli ho sottoposto un mio frammento musicale ispirato a quella poesia carceraria che nel tempo mi aveva sempre affascinato e che con lui toccava un grado di immedesimazione molto alto. Si è detto contento di collaborare assieme ed è venuto in studio mentre stavamo registrando “Mulo de paese”. Voce tonante di livello mondiale e persona straordinaria: un libro aperto pronto a donarti la propria forza e svelarti le proprie debolezze senza timori. Unico.
La vostra dimensione live. Vi piace suonare dal vivo? Raccontateci, se volete, qualche episodio particolare accaduto durante uno dei vostri concerti che vi è rimasto particolarmente impresso.
Suonare dal vivo è faticoso, alcune volte eccitante ma anche deprimente. Essendo quella dei bar la nostra dimensione abituale, spesse volte dobbiamo montare l’impianto audio, curare i volumi, litigare durante i soundcheck perché non si sentono le tastiere e sfiorare la scazzottata. Una volta ci davamo dentro con un blues che parlava delle prostitute di un night club fatiscente delle nostre zone. Eravamo all’ aperto e una di quelle che lavoravano in quel postribolo, ci ha sentito ed è venuta ad imprecare che dovevamo vergognarci e che non avevamo rispetto per il suo mestiere. Accadimento davvero bizzarro.
Avete mai suonato in Sardegna? Se no: vi piacerebbe?
Magari! Se qualcuno fosse interessato, siamo pronti a farlo. Sono di origini per metà Sarde e mi piacerebbe molto.
Qualche anticipazione sui vostri futuri progetti?
Questo Coronavirus ha interrotto la fonte di sostentamento di Marongiu & I Sporcaccioni, che sono i live, bloccando dunque anche parte della nostra capacità di sognare. Ciò nonostante abbiamo in programma di recuperare parte della discografia passata dando nuova linfa a vecchi brani. E poi c’è Dandy Bestia degli Skiantos che contiamo di ospitare nel prossimo disco!
GIOVANNI GRAZIANO MANCA
Band:
Andrea Farnè / basso
Claudio Marongiu / voce
Enrico Granzotto / tastiere & piano bar
Giovanni «Gioppi» Bertossi / chitarra
Michele «Kuz» Cuzziol / batteria
http://www.isporcaccioni.it/
https://www.facebook.com/SporcaccioniBisiachi/
Giovanni Graziano Manca è nato a Nuoro ma vive e opera a Cagliari. Laureato in filosofia, pubblicista, da sempre si interessa di cultura, in particolar modo di musica, poesia, arte, filosofia e letteratura. Numerose le pubblicazioni al suo attivo: oltre a collaborare con quotidiani e periodici, ha pubblicato volumi di narrativa e di poesia (ultimi, tutti in versi, "In direzione di mete possibili" Lieto Colle, 2014 , "Voli in Occidente" Eretica, 2015, e "Nel tempo che si muove", Antipodes, 2020, articoli e saggi su riviste specialistiche e web.