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MOAI – Intervista a Matteo Mantovani

MOAI – Intervista a Matteo Mantovani

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In occasione dell’uscita del nuovo progetto “MOAI” ho intervistato Matteo Mantovani.

Ciao Matteo, Moai è il tuo nuovo progetto, ce ne vuoi parlare?
Ciao Daniele! Grazie per questo spazio, innanzitutto! MOAI è un progetto nato nel 2018 e coinvolge in tutto 7 musicisti: io in veste di cantante e chitarrista, insieme a me Valentina Comelli alla voce, Cristina Gaffurini alla chitarra acustica e al mandolino, Daniele Richiedei (già presente nel mio primo disco) al violino, Nicola Ziliani al contrabbasso, Riccardo Barba al pianoforte e Paolo Zanaglio alla batteria. Una squadra di calcio, praticamente! Le nostre radici sono nel cantautorato folk americano, liberamente esplorato per trovarne il sound più intenso e genuino e profondamente contaminato, perchè ognuno di noi proviene da background musicali differenti, chi dalla classica, chi dal blues o dal jazz..Abbiamo fortemente voluto che queste sfumature trovassero spazio: il risultato è una musica che combina un linguaggio moderno alla massima creatività, dando spazio a sonorità roots rock, a ballate dal sapore irish e a coinvolgenti momenti di improvvisazione. 

Dal tuo ultimo lavoro ti sei preso un po’ di tempo e hai allargato di molto l’orizzonte suoni nel nuovo album, a cosa è dovuto questo cambiamento?
Sì, in effetti è passato parecchio tempo. Nel frattempo ho portato avanti delle collaborazioni per me importanti che sicuramente hanno influenzato la scelta del paesaggio sonoro. Negli ultimi 5 anni ho girato il nord Europa con la cantante texana Elizabeth Lee e con la band Cozmic Mojo e questo mi ha dato modo di approfondire le sonorità “roots” del country, del folk e del blues. Spesso duettando con lei mi è sembrato di capire meglio e fare ancora più mia quella musica che ascolto e suono da sempre. La collaborazione con Charlie Cinelli è stata un’altra influenza importante per la scelta accurata degli strumenti e dei musicisti da coinvolgere e per trovare le sonorità orientate al folk che avevo e avevamo in mente. Dopo aver pubblicato il mio disco “Piccoli momenti di caos” nel 2015 ho continuato a lavorare con Marco Franzoni, in particolare durante la produzione di “Elevate me to love” di Jade Hoffman (dove ho suonato qualche chitarra acustica, elettrica, slide e basso) e di “Lovecraft nel Polesine” di Jet Set Roger ho avuto modo di imparare da Franzoni alcune tecniche di produzione, in particolare delle chitarre e approfondire gli ascolti dei lavori di produttori come T-Bone Burnett. Diciamo che l’insieme di queste cose ha sicuramente, come dici tu, allargato i miei orizzonti e mi ha spinto a muovermi in mondi che fino a quel momento non avevo esplorato davvero in profondità.

A questo punto presentaci per favore Valentina Comelli, colei che più di tutti ha dato una svolta molto dolce a questo album.
Valentina, che è anche la mia compagna, è la vera mente di questo progetto. Questo disco è il risultato del nostro lavoro creativo a quattro mani nella scrittura e nella composizione dei brani; è stata lei a scoprire la filosofia che sta dietro la parola MOAI, che è anche il titolo dell’album, e a farmela conoscere. Anche la parte grafica di questo lavoro è opera sua. Ha tanta esperienza sia come cantante che come corista e insegnante di canto, ma con questo lavoro ha debuttato come autrice e secondo me l’ha fatto in modo davvero convincente. I brani parlano spesso di lei, di noi, e lo fanno in maniera sincera, con semplicità, nelle parole e nei suoni. Circa un anno fa abbiamo suonato questi pezzi in pubblico per la prima volta perchè volevamo sperimentarli dal vivo, davanti alla gente.  Siamo stati accolti con un calore e un affetto inaspettati che ci hanno incoraggiato tantissimo e diverse persone si sono avvicinate per dirci che inspiegabilmente si erano lasciati trasportare lontano e nello stesso tempo si erano sentiti riportare a casa… Diciamo che hanno saputo dire con le parole giuste l’idea che abbiamo cercato di realizzare, senza averla chiara in mente. E Valentina mi ha detto soltanto: “non mi importa del resto, per me è già abbastanza così, significa che ci siamo riusciti”. Ecco, lei è questo.

Cosa vuol dire Moai?
Questa parola viene comunemente associata alle statue dell’Isola di Pasqua; in realtà in Giappone, per la precisione a Okinawa, la società si fonda su un sistema di piccole reti di supporto e condivisione, gruppi di persone che per tutta la loro esistenza sperimentano il senso di appartenenza alla comunità, si incontrano regolarmente, discutono, scherzano, si confrontano, nello scambio reciproco e nella collaborazione. Una piccola famiglia allargata dove ognuno si stringe attorno al bisogno di ciascuno e beneficia della fortuna altrui. Ecco, queste reti si chiamano MOAI. E la cosa straordinaria è che Okinawa è una delle cosiddette “blue zone”, cioè le aree del pianeta con il più alto tasso di longevità, dove la gente vive più a lungo. Ci piace molto quest’idea che le persone vivano di più e meglio se hanno una rete che non le lascia sole, che le abbraccia costantemente, e volevamo che la nostra musica restituisse questa sensazione di appartenenza, di accoglienza, di familiarità, se vogliamo. 

Quanto ha inciso Marco Franzoni in questo lavoro? Gli avete lasciato campo libero o gli avete imposto idee vostre già chiare e definite?
Stavolta siamo arrivati da Marco con i brani finiti e le idee chiare sugli arrangiamenti, infatti avevamo fatto un lungo lavoro di pre-produzione a casa. Ovviamente in studio non sono mancati confronti, suggerimenti, modifiche e migliorie alle parti che avevamo pensato. Ci siamo rivolti a lui perchè sapevamo di andare sul sicuro, non solo perchè conosco già il suo modo di lavorare, ma anche perchè ero certo che avrebbe capito la direzione che volevamo seguire. Sono molto soddisfatto del lavoro svolto, perchè ascoltando il disco ritrovo il nostro sound e soprattutto il suono della voce di Valentina è molto fedele e “pulito”. 

Il progetto Matteo Mantovani è da ritenersi chiuso o andrà avanti in qualche modo?
”Piccoli momenti di caos” è un disco che ha significato moltissimo e che risuono sempre volentieri, ogni volta che ne capita l’occasione, magari anche solo inserendo qualche pezzo in scaletta quando il contesto è quello giusto. Non so quando, ma qualcosa sicuramente arriverà in futuro. Ho qualche brano nuovo in italiano che è rimasto chiuso nel cassetto, chissà…

Come penserete di promuovere Moai in questo 2020 alquanto grottesco?
Questa situazione sicuramente non aiuta…Come dicevo prima, quando questo progetto è nato lo abbiamo “buttato” subito sul palco anche se ancora un disco non c’era, proprio per scoprire la reazione di chi ci ascoltava per la prima volta. Il modo in cui siamo stati accolti ci ha spinti a continuare e oggi ci porta a non voler restare bloccati in attesa di tempi migliori, sicuramente più strategici. Certo, avremmo voluto pubblicare il disco e poter fare subito i concerti che avevamo in programma e che per ovvie ragioni sono saltati, ma non ce la siamo sentiti di aspettare ancora. Sentiamo l’urgenza di lasciare che vada libero per la sua strada, qualunque essa sia. Per ora proveremo a sfruttare internet e la tecnologia, gli unici mezzi che ci sono rimasti per farlo conoscere il più possibile, per farlo entrare nelle case di chi avrà voglia di scoprirci. Ci ascolterete per esempio in una diretta live sulla pagina di Tutto Rock! Saremo solo in due, io e Valentina, ma faremo del nostro meglio per farvi arrivare la nostra musica così come è nata, voce e chitarra! Speriamo che vi faccia venire voglia di conoscerci meglio!

Potessi essere il braccio destro di Conte come gli consiglieresti di far ripartire la macchina “musica”?
Domanda da un milione di dollari… Se fossi il suo braccio destro, più che altro proverei a fargli capire che non si tratta tanto di “ripartire”, ma di comprendere che non possiamo pensare di tornare alla situazione precedente, così com’era. A volte, e credo che come noi tanti colleghi, sul palco o dietro le quinte, perchè poi nella musica ci sono io che suono, ma ci sei anche tu che ne scrivi, c’è il fonico che cura i suoni, il tecnico che monta il palco, senza dimenticare l’insegnante che tiene un corso del suo strumento in una scuola, e mille altre categorie mai nominate… A volte, dicevo, abbiamo l’impressione di far parte di un sistema “fantasma”, così sottovalutato da non avere le minime tutele, ma che nello stesso tempo è ovunque, anche dove non lo vediamo, e riveste un ruolo importantissimo nella società e nella socialità. Ripartire per me significa prima di tutto preoccuparsi che agli artisti e a tutti i lavoratori dello spettacolo vengano assicurate le condizioni perchè possano svolgere il loro lavoro, perchè ci si dimentica spesso che l’arte è per moltissimi una professione, non soltanto una passione o un hobby da esercitare a tempo perso. Credo che in Italia siamo ancora lontani anni luce dal capire questo.

Il 2021 sarà al contrario un anno pieno zeppo di eventi musicali, avete già una sorta di programma?
Non sono così sicuro che sarà pieno di eventi musicali, ma mi piace il tuo ottimismo! Di certo faremo il possibile per diffondere questo progetto. Ci piacerebbe continuare a suonare con il settetto al completo, come ci è già capitato di fare in manifestazioni più grosse, ma anche portare i nostri brani suonati in duo da me io e Valentina, in situazioni più intime e raccolte. Speriamo che la situazione lo consenta: penso che la musica dal vivo non manchi solo a noi musicisti, ma anche a chi viene a sentirci, a chi vuole seguire i propri artisti preferiti sui palchi, non solo attraverso uno schermo. 

Ci vuoi parlare velocemente delle 11 canzoni di Moai?
Io e Valentina abbiamo scritto insieme i testi e le musiche di tutti i brani del disco; ci è venuto fin da subito spontaneo scrivere i testi in inglese e abbiamo assecondato questo istinto. Sono brani con sfumature diverse tra loro, nelle atmosfere e nelle influenze. Sicuramente abbiamo dato spazio alle tante esperienze variegate che entrambi abbiamo vissuto musicalmente e che liberamente emergono, qua e là, come colori. Ogni membro della band ha dato un contributo unico, prezioso e caratterizzante, con il proprio stile e la propria personalità. Nelle canzoni c’è chiaramente molto di autobiografico, parlano delle persone che hanno fatto un pezzo di strada con noi, dei sentimenti che ci legano, dei momenti di rabbia o di fatica che ognuno si trova ad affrontare. C’è molta delicatezza, ma anche momenti di energia viscerale che nel live trovano la loro dimensione più autentica. 

Raccontaci qualche aneddoto particolare sulla creazione dell’album.
Quasi tutte le canzoni sono nate nell’intimo della nostra casa. Spesso suonando con una chitarra acustica, seduti al tavolo della cucina. “Lullaby of the storm” per esempio l’abbiamo scritta una sera in cui un forte temporale ha fatto saltare la corrente elettrica. Siamo rimasti a lume di candela e ci siamo lasciati ispirare da questo momento. “My darling child” invece è un brano a cui siamo particolarmente legati, l’abbiamo scritta in un posto per noi speciale: una baita sperduta nei boschi, in mezzo alle montagne, dove oltre agli zaini e ai sacchi a pelo non dimentichiamo mai di portare una chitarra. Abbiamo ricevuto un messaggio: era nata la bimba di due dei nostri amici più cari. La felicità per loro mi ha spinto a scrivere di getto una lettera per quella bambina appena nata, immedesimandomi forse un po’ nelle emozioni di un padre. Ho dato la lettera a Valentina, che l’ha rimaneggiata e tradotta, facendone una canzone. Daniele Richiedei ha poi scritto lo splendido arrangiamento per archi che potete ascoltare nel disco.

MAURIZIO DONINI 

Band:
Valentina Comelli (Voce)
Matteo Mantovani (Voce, Chitarra Elettrica/Baritona/Acustica)
Cristina Gaffurini (Chitarra acustica, Mandolino)
Daniele Richiedei (Violino, Viola)
Nicola Ziliani (Contrabbasso)
Riccardo Barba (Piano)
Paolo Zanaglio (Batteria, Percussioni) 

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