Now Reading
FRIJDA – Intervista alla rock band catanese

FRIJDA – Intervista alla rock band catanese

frijda 4 1

In occasione dell’uscita del nuovo singolo “Lo dedico a te”, ho intervistato la rock band catanese Frijda, attiva dal 2003, ecco cosa mi ha raccontato il cantante Giancarlo Sciacca, alias Thor.

Ciao ragazzi, innanzitutto benvenuti su Tuttorock, come state passando questa quarantena?

Ciao Marco, grazie a te per questa bella vetrina che ci stai offrendo.

Inizialmente, questa quarantena non è stata benaccetta, credo per tutti, ma, pian piano, quel senso di reclusione forzata si è trasformato in riflessione e consapevolezze.
Una di queste è che stiamo vivendo giorni “surreali”, nessuno di noi avrebbe mai pensato di trovarsi a fronteggiare questa pandemia.
È una situazione allarmante: famiglie intere che non riescono a mangiare, tantissimi morti. Insomma, proprio nulla di bello.
A tal proposito, mi sembra doveroso fare un infinito applauso a tutte le figure professionali, soprattutto, il personale medico nazionale, che lavorano incessantemente affinché torni il sereno, e dirgli “Grazie”!
Poi, dovessi guardare il problema con occhi più introspettivi, potrei dire che questa tragedia ci sta consentendo di dare valore a cose che prima, forse, davamo un po’ troppo per scontate o, addirittura, non consideravamo proprio, come la famiglia, ma non solo.
L’umanità ne uscirà diversa e, spero, in meglio.

Il 17 aprile è uscito il vostro nuovo singolo, “Lo dedico a te”, accompagnato anche da un video, com’è nata questa canzone?

Si, abbiamo scelto il venerdì 17, si dice porti sfiga, ma amiamo sfidare la sorte.
Credo sia più emozionante.
Il brano è stato “partorito” in una delle tanti notti trascorse nella nostra sala prove, e di notti là dentro ne abbiamo passate, e continuiamo a passarne, veramente tante.
Ma quella notte eravamo “anime in pena” più del solito; cercavamo di trovare delle risposte, un sentiero che potesse dare un senso concreto a tutti i nostri sacrifici.
Poi, l’allora batterista, Salvo, si mise a suonare la chitarra: fu ispirazione immediata.
Io scrissi il testo pensando di rivolgermi ad Euterpe, la musa della Musica, nella speranza di ottenere le risposte che stavamo cercando in quella notte disperata.
Nacque “Lo dedico a te”.

E del video invece cosa mi raccontate?

Solitamente, quando si deve girare un video, i problemi principali sono due: la location e la creazione di una storia adatta e convincente.
Dato il contenuto autobiografico, abbiamo scelto una location a noi estremamente familiare, il mitico Waxy o’Connor’s di Catania, e abbiamo deciso di creare la storia che ci viene più naturale, ovvero, stare sul palco, suonare e manifestare quella nostalgia che ci assale quando “si spengono le luci”.
Ogni volta che lo guardiamo, non possiamo far altro che ricordare tutti live che abbiamo fatto là dentro: gran parte della nostra crescita musicale è legata a quel locale.
Un ambiente magico che, purtroppo, non esiste più.
Quindi per noi questo video ha, anche, un grandissimo valore affettivo.

 Il singolo anticipa un album?

Si, un album che, escludendo variazioni dell’ultimo momento, conterrà 12 tracce e si chiamerà “Scacco Matto”.
Grazie alla collaborazione con il nostro arrangiatore Carlo Longo, abbiamo cercato di mantenere le nostre origini Rock, anche abbastanza dure, con le innovazioni che l’elettronica ha portato alla musica dei nostri giorni.
Al suo interno, ci sono brani eterogenei che rispecchiano parecchio quello che siamo, che siamo stati nel corso del tempo e quello che ci accingiamo ad essere; perché credo che il cambiamento sia un processo naturale, e non soltanto in musica.
Il risultato di tutto, con nostro grande stupore, ci ha trovati totalmente soddisfatti.
Solitamente, i musicisti trovano sempre qualcosa da ridire sul proprio lavoro, non sono mai contenti.
Posso solo dire che siamo molto impazienti ed “elettrici”: non vediamo l’ora di poterlo condividere con chi ci segue.

Dopo vari cambiamenti di formazione, ora vi sentite una band con membri stabili?

“Bella domanda”. Credo che nella vita non esistano certezze.
Potrei darti certezze soltanto sulla mia persona, perché in 20 anni di vita rock’n’roll ne ho passate veramente troppe. Chiunque al mio posto avrebbe mollato, ma sono ancora qua.
In riferimento a quanto dicevo prima, riguardo al cambiamento, ognuno di noi nel corso del tempo cambia nel modo di vedere le cose, e cambiano, quindi, anche le priorità della propria esistenza.
Così, quando un elemento decide di abbandonare la barca, il resto della Band non può far altro che rispettare la decisione ed accettare.
La nostra formazione ha subìto molti cambiamenti di line up, ma l’importante, per chi rimane, è avere sempre le idee chiare e tenere duro.
Fare il musicista è una vocazione, ci devi nascere con quella tenacia e quella determinazione che ti faccia preferire sempre e soltanto questa strada. Ti sta parlando uno che ha rifiutato lavori stabili per potersi dedicare totalmente a quello che mi stai vedendo fare.
Avrò fatto bene o avrò fatto male, non lo so. Amo vivere il presente e fare quello che mi rende felice; e per ora lo sono.

Voi che avete provato entrambe le cose, quali sono le differenze che avete visto in termini di riscontro da parte del pubblico suonando dal vivo prima le cover, poi invece i brani scritti da voi?

Si dice che l’uomo abbia paura di ciò che non conosce e cerchi riparo su terreni già battuti.
E, stando alle nostre esperienze sul campo, è un pensiero che rispecchia, abbastanza, la realtà.
Di cover ne abbiamo suonate davvero tante: è stato grazie a loro che abbiamo portato avanti e sostenuto, inizialmente, tutte le spese del nostro progetto inedito, prima di incontrare il nostro produttore Luca Venturi.
Fare cover è, sicuramente, una fase importante per crescere e “capire il mestiere”, specialmente se al “copiare” si aggiunge l’elemento fondamentale “personalità”.
Infatti, noi abbiamo sempre cercato di eseguire ogni brano mantenendo un nostro stile, rendendo l’esibizione sempre molto personale: se imiti, sei già morto ancor prima di iniziare.
Ovviamente, per non snaturarci totalmente, abbiamo sempre creato scalette miste con cover e inediti ed è ovvio che suonare le prime renda tutto molto più semplice a livello di presa sul pubblico, ma eseguire un brano proprio non ha prezzo, soprattutto a livello emozionale.
A maggior ragione quando il tuo brano lo richiedono espressamente, magari gridandone il titolo in mezzo al pubblico: un brivido sotto pelle.
Anche se solo per 3 minuti, sei stato preferito ai tanti giganti che hai in scaletta. Dimmi se è poco!

Per chi non vi conosce, raccontatemi qualcosa sul nome della band.

Il nome non è altro che un tributo alla pittrice messicana Frida Kahlo, che ebbi la fortuna di poter “conoscere” durante i miei studi universitari.
Rimasi estasiato dalla sua forza; un carisma devastante. Mi rapì.
Infatti, originariamente, il nostro nome era proprio “Frida”, come il suo nome.
Poi nel 2015, a seguito di un totale cambiamento di line-up, decisi di aggiungere la “j” che, pur non essendo pronunciata a livello fonetico, crea un’alterazione della forma che rispecchia, simbolicamente, una sorta di allontanamento dal passato, ma anche una forma di rispetto verso i nuovi elementi che non avevano più voglia di sentirsi paragonati a quelli che li avevano preceduti.

Quali sono gli artisti del passato che più vi hanno ispirato e quali sono gli artisti di oggi che più ammirate?

Siamo una RockBand e, come tale, i nostri riferimenti dovrebbero essere artisti del genere in questione, ma non è proprio così.
Io, personalmente, sono cresciuto ascoltando musica classica, fino ai 16 anni studiavo pianoforte; in adolescenza ho aperto i miei orizzonti ascoltando e apprezzando quasi tutti i generi musicali e ho trovato la mia “confort zone” nel Rock.
Ma, essendo cinque teste, ognuno di noi ha i propri artisti di riferimento e questa nostra diversità credo sia un fattore importantissimo: è proprio dalla miscelazione di elementi differenti che si hanno più probabilità di creare qualcosa di unico.
Gli artisti che ci mettono d’accordo sono quelli che abbiamo suonato nella nostra lunga gavetta fatta di pub, palchi e “peggiori bar di Caracas”.
La rosa è abbastanza ampia: dai classici internazionali Aerosmith, Van Halen, Queen, Led Zeppelin, Deep Purple, Guns’n’Roses, Bon Jovi, RHCP, Muse, Metallica fino ai capisaldi del rock “Made in Italy” quali Litfiba, Negrita, Ligabue, Timoria e Vasco, che poi sono quelli che ci hanno insegnato il genere che professiamo a livello inedito.
Per quanto riguarda l’ammirazione verso artisti odierni, è riservata a tutti quelli che hanno realmente qualcosa da dire e non siano prodotti costruiti per fare cassa.
L’Italia ha tanti talenti, ma non sono quelli che vendono.
Il più grande difetto di molti artisti di oggi, credo, sia proprio quello di voler dimostrare piuttosto che trasmettere.
Tornando a noi, in breve, si potrebbe dire che il nostro sia un rock che ha le sue fonti di ispirazione nelle band storiche statunitensi e britanniche, adattatosi all’evolversi del tempo e alle concezioni musicali dei nostri giorni e del nostro paese, ma sempre aperto alle innovazioni e alle contaminazioni.

Avete aperto i live di artisti come Lucio Dalla, Le Vibrazioni e molti altri, qual è il vostro ricordo più bello legato alla musica?

Ogni momento che ho vissuto legato alla musica, a prescindere dal luogo, dal numero di pubblico presente, ha qualcosa di speciale.
Figurati che conservo gelosamente ogni foto, ogni video, ogni cosa.
Ho un archivio infinito: conservo, finanche, i video delle esibizioni “terribili”, ovvero, quelle in cui tutto va storto e quando ti risenti vorresti sprofondare (a quale musicista non è mai capitato?).
Le aperture di concerti di artisti importanti, invece, mettono in circolo una tensione e, al contempo, un’adrenalina pazzesca.
Ricordo Le Vibrazioni in un Tim Tour, Franco Battiato allo Stadio A.Massimino di Catania, Dalla a Piazza Armerina, Alex Britti a Isernia, e tanti altri.
Ma, tra tutti, Dalla lo ricorderò sempre con estremo affetto.
Quando, tramite l’on. Sgarbi (ideatore dell’evento), ebbi modo di contattarlo telefonicamente per capire come avrebbe voluto gestire il concerto e, quindi, capire noi quando e per quanto tempo avremmo dovuto esibirci; mi rispose dicendomi che lui sarebbe salito sul palco esattamente nel momento in cui io mi sarei scocciato e chiuse la telefonata dicendomi: “E’ il vostro concerto, divertitevi!”. E la cosa me la ribadì quando ci incontrammo di persona poco prima del live.
Quando un artista del suo calibro ti tratta come un pari livello, è emozionate.
Questa sua estrema umiltà mi ha dato la reale quantificazione della sua grandezza: infinita.
Il fatto che ci fossero circa 40.000 persone, passò in secondo piano.
Finora il brivido più grande in musica.

Quanto vi manca suonare su un palco?

Infinitamente. È come se mancasse qualcosa di vitale alle nostre giornate.
Abbiamo avuto la fortuna (almeno fino a poco prima dello scoppio della pandemia) di avere sempre un calendario abbastanza pieno, quindi l’assenza la percepiamo maggiormente.
La dimensione live è una realtà parallela; una dimensione in cui si è realmente se stessi; un sovraccarico di sensazioni ed emozioni inspiegabili.
E noi siamo famelici di emozioni, ma, soprattutto, abbiamo una malattia: più suoniamo e più vogliamo suonare.

E il vostro sogno musicale più grande qual è?

Avere la fortuna di suonare, fare musica propria, far conoscere la propria anima, è già vivere un sogno.
Possiamo soltanto sperare di non svegliarci per molto tempo e che questa fase onirica crei storie sempre più emozionanti che poi, appena ci saremo svegliati, possano trasformarsi in solide realtà.
Sicuramente, a prescindere da come andrà a finire questa avventura, ci sentiamo dei privilegiati.

Grazie del tempo che mi avete dedicato, volete dire qualcosa a chi leggerà questa intervista?

Penso di aver parlato abbastanza.
Voglio augurare a tutti un futuro migliore di quello che stiamo vivendo.
Nell’attesa che tutto si risolva, godetevi gli affetti e approfittatene per fare tutto quello che avete sempre rimandato.
Da questa catastrofe dobbiamo uscirne diversi: un cambiamento in prospettiva futura, ma che si attui già nel presente.
Chiudo con la frase di Frida che amo di più e che, in questi giorni di quarantena forzata, acquista un valore ancor più significativo: “Pies para qué los quiero, si tengo alas pà volar?”

Grazie Marco, grazie a tutti! 

MARCO PRITONI

Band:

Voce: Thor (Giancarlo Sciacca)
Chitarra: Gaetano Giuttari
Tastiere: Adrian Rus
Basso: Domenico Cottone
Batteria: Emanuele Leocata

http://www.frijda.it/
https://www.facebook.com/FrijdaOfficial/
https://www.instagram.com/frijdaofficial/
https://www.youtube.com/user/fridarockband

frijda 2