“Il genio di Battiato e l’evoluzione dell’elettronica – Intervista …
La scorsa settimana il Maestro Franco Battiato ha spento 75 candeline, e in occasione di tale evento ho avuto l’opportunità di scambiare quattro chiacchiere con Filippo Destrieri. Storico tastierista di Franco, che ha collaborato con lui per tantissimi anni, contribuendo all’unicità del suo sound.
Ecco l’intervista completa:
Ciao Filippo, è un piacere averti sulle pagine di TuttoRock!
Potresti raccontarci com’è nata la tua lunga collaborazione con Franco Battiato?
Eravamo negli anni ‘70, nell’ambito della scena progressive milanese, io ero poco più che ventenne. All’epoca già suonavo parecchio in giro per l’Europa, facendo anche molte sostituzioni. Mancava un tastierista in qualche gruppo e chiamavano me. Imparavo tutto il repertorio in un pomeriggio sul furgone insiema alla band e la sera si suonava. Con l’avvento della musica elettronica mi comprai un sintetizzatore, il mitico ARP 2600 favoloso! Ero il primo ad averlo in Italia e così mi chiamo Franco Battiato, sempre attento a tutto. Lui aveva un sintetizzatore VCS3, che gli prese il suo discografico direttamente da Londra. La collaborazione vera e propria inizia con”L’Era del Cinghiale Bianco” e poi da lì è tutto il resto.
Negli anni ‘70 Franco si è distinto per aver sfornato altamente sperimentali, a metà strada tra il prog e l’elettronica. Che ricordi hai di quel periodo?
Non suonavo con lui ancora in quel periodo, ma lo seguivo. Eravamo amici, andavamo in giro con la macchina. Tra l’altro, ora che me lo hai fatto venire in mente, negli anni ‘70 facemmo qualcosa insieme ancora prima del Cinghiale Bianco. Franco aveva scritto una performance teatrale dal titolo “Babysitter”. E girammo qualche teatro portandola in giro. Era uno spettacolo molto improvvisato, con revox e nastri magnetici. Lo conoscono veramente in pochi. Io li’ suonavo un pianoforte preparato. Andammo anche in qualche palasport, e ovviamente non venivamo capiti dal pubblico. Un palasport che ti fischia all’unisono è un’esperienza incredibile (ride ndr.) In effetti il rapporto tra il pubblico e la sperimentazione prog ed elettronica è stato bizzarro. Ricordo un periodo durato 6 mesi in cui quando suonavamo le persone ascoltavano ferme immobili, in religioso silenzio. Una volta finito tutto, pretendevano di ballare… Incredibile! Poi io sono un po’ estremista e il concetto del ballare mentre sei ad un concerto non lo capisco. Infatti ho splendidi ricordi di tournée nei teatri con Franco Battiato, dove il pubblico era lì seduto ad assistere con grande attenzione.
Tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ‘80 avviene il cambio di rotta, con dei dischi che sono entrati nell’Olimpo della musica italiana, e non solo. Cos’è che ha reso inimitabili quegli album?
Io ho sempre auspicato che Franco si mettesse a cantare perché aveva una voce magnifica. Gli consigliai poi di fare dei dischi più “commerciali” e lui realizzò appunto “L’Era del Cinghiale Bianco. Geniale. Cosa dire di un genio.?! Ma vogliamo parlare di “Patriots”? Un brano (“Up Patriots To Arms” ndr.) diventato un successo incredibile costruito su soli due accordi di chitarra. “La Voce del Padrone” poi ha sette brani di punta, diventati tutti dei classici. Franco Battiato era semplicemente un vulcano in eruzione. Ogni volta che andavo a casa sua aveva nuove idee. Ogni giorno c’era un pezzo. Una volta arrivai lì e lo trovai con la chitarra e mi iniziò ad intonare: “Per Elisa, vuoi vedere che…”, dicendo: “Questa l’ho composta per Alice, vincerà sicuramente a Sanremo”. E così fu. Un’altra volta, sempre a casa sua, era al pianoforte e mi fece: “Senti questa”. Erano due note Do Si Do Do Si Do Do, lo fermai e dissi: “Franco qui ci vuole un organo hammond!” In studio infatti la registrammo con quello, perchè la scelta del suono è fondamentale. Il brano era “Bandiera Bianca”. Devo dire è stata un’alchimia fantastica, le persone adatte che si sono incontrate in un ambiente ideale e nel momento giusto. Lo stesso Giusto Pio ha portato tantissimo nel progetto, ma non me ne voglia nessuno se dico che il 99% della creatività veniva fuori da Franco.
Qual è il tuo rapporto con elettronica? E che differenze hai notato con l’evolversi delle tecnologie ed il passaggio dalla strumentazione analogica a quella digitale?
Io sono sempre al passo con i tempi ovviamente. Purtroppo l’utilizzo del computer ha limitato un po’ il virtuosismo delle mani. Certo non perdi tanto, poi per uno che sa suonare è come andare in bicicletta. Una volta che hai imparato è fatta. L’elettronica mi ha completamente assorbito, anche perché come ti dicevo volevo stare al passo coi tempi con tutte le nuove tecnologie. Cero suonare a mano mi piaceva di più. Ricordo appunto nel periodo de “La Voce del Padrone” sia in studio che soprattutto nei live, saltavo da una tastiera all’altra, cambiavo i timbri e suonavo, tutto nel giro di mezzo secondo. E all’epoca non c’era neanche il MIDI ( interfaccia hardware, fondamentalmente un cavetto, che consentiva il collegamento fra diversi strumenti elettronici ndr.). Con “L’Arca di Noè” c’è stata la rivoluzione digitale, realizzammo quel disco con il Fairlight. Un sintetizzatore-campionatore, si suonava sempre con la tastiera ma i suoni erano campionati. Il passo successivo è stato il sequencer, con il quale prima registri e poi sistemi tutto. Non sbagli più a quel punto lì. Fai tutto a casa e vai in studio semplicemente per “riversare” Il computer ha logicamente cambiato tutto quindi, io ora utilizzo un Mac, anzi sto pensando di prenderne uno nuovo a breve.
Con Franco Battiato avete dato alla luce progetti molto complessi, non solo unicamente limitati alla musica. Ad esempio penso all’opera teatrale “Genesi”. Che ricordi hai a riguardo?
“Genesi” ha necessitato un anno di lavoro. Metterlo in scena è stato assurdo. Un’impresa mastodontica. Quel proiettore enorme, i filmati innovativi, gli attori in scena, l’orchestra, i cantanti lirici, sarebbe impossibile da riproporre oggi. Però è stato bello, andavamo tutti giorni da Milano a Parma (la location era il Teatro Regio di Parma ndr.) e tornavamo indietro. Si partiva alle cinque del mattino e si era di nuovo a casa a mezzanotte. Pensa che la Rai registrò tutto con delle telecamere pazzesche ma non è mai andato in onda nulla. Quei video non sono mai usciti dai loro archivi. Anche se molta roba sicuramente la buttano via, speriamo non sia così in questo caso. Oggi tra l’altro un mio amico mi ha ricordato il concerto telematico che realizzammo. Eravamo a suonare in quattro sedi Rai differenti. Io a Napoli, un altro a Roma, Battiato a Milano Sempione e Giusto Pio a Milano Fiera. Esperienza incredibile. Il difficile era eliminare il ritardo del segnale, e quindi del suono, dovuto alla distanza. I tecnici di Napoli sono stati bravissimi a limitare tutto ciò. Ma ovviamente il ritardo c’era quindi era improponibile suonare sincronizzati. Perciò eseguimmo più che altro delle fasce sonore. Ricordo però che quando in un preciso momento mi sentii particolarmente “allineato” accennai due note di “Propriedad Prohibida” e mi portai dietro tutti gli altri. “Propriedad Prohibida” è stato il brano simbolo del Battiato elettronico, con quel sound tipico del VCS3. Quel pezzo è composto da quattro note, ma bisogna farle. Un po’ come le tre note dei Pink Floyd di “Shine on Your Crazy Diamond”. Tre semplici note alla chitarra e poi “scende direttamente l’astronave”.
Un album di Battiato da riscoprire?
Direi “Fisiognomica”, ma tutti hanno qualcosa di differente ed è difficilissimo per me sceglierne solo uno.
Quali sono i tuoi progetti attuali?
Sto realizzando dei brani miei, ma sono molto autocritico e spesso cestino tutto. L’unico composto personalmente che mi è piaciuto, e che mi piace ancora adesso. è “Legione Straniera”. Che diedi a Giusto Pio, con il quale ebbe successo. Poi ci sono idee che ho regalato a mani piene a tutti, ma è normale che accada quando collabori nei dischi.
Una cosa che mi ha fatto molto piacere, accaduta la scorsa estate, è che sono stato chiamato a rappresentare Franco Battiato al “Blubar Festival” di Francavilla al Mare. Ho portato quattro brani di Franco: Propriedad Prohibida, Meccanica, Aria di Rivoluzione, Centro di Gravità Permanente. Quest’ultima a chiusura del festival, cantata da tutti i big progressive italiano presenti sul palco. Da Lino Vairetti ad Aldo Tagliapietra, da Bernardo Lanzetti a Vittorio De Scalzi, e tanti altri. Una bellissima serata, e mi auguro che ne possano venire altre simili a quella.
Un’ultima domanda: quali sono state le tue prime fonti d’ispirazione come tastierista?
Ascoltavo tantissime cose, specie gli Emerson, Lake & Palmer. Suonavo l’hammond all’epoca. C’era Jimmy Smith che lo suonava in una maniera incredibile. Ma poi anche gli Yes, i Jethro Tull, i Gentle Giant e altri. C’è poco dire gli anni ‘70 non tornano più. Ricordo ancora quando in quegli anni andai a sentire per la prima volta dal vivo i Pink Floyd, ne rimasi incantato. Sono vecchio ora, anzi sembro vecchio, sono diversamente giovane in realtà, ma posso dire di aver vissuto il periodo più bello della musica
Grazie mille Filippo è stato un vero piacere!
Grazie a te, ciao!
Intervista a cura di Francesco Vaccaro
Studente di Ingegneria delle Telecomunicazioni presso l'università La Sapienza di Roma, da sempre animato dalla passione per la musica. Nel 2012 entra nel mondo dell'informazione musicale dove lavora alla nascita e all'affermazione del portale Warning Rock. Dal 2016 entra a far parte di TuttoRock del quale ne è attualmente il Direttore Editoriale, con all'attivo innumerevoli articoli tra recensioni, live-report, interviste e varie rubriche. Nel 2018, insieme al socio e amico Cristian Orlandi, crea Undone Project, rassegna di musica sperimentale che rappresenta in pieno la sua concezione artistica. Una musica libera, senza barriere né etichette, infiammata dall'amore di chi la crea e dalle emozioni di chi la ascolta.